LORENZO BALDASSARI
White Ash, Leighton Pierce.
P’tit Quinquin, Bruno Dumont.
The Knick, Steven Soderbergh.
Adieu au langage – Addio al linguaggio [Adieu au langage], Jean-Luc Godard.
Il segreto del suo volto [Phoenix], Christian Petzold.
Sils Maria, Olivier Assayas.
Journey to the West [Xi you], Tsai Ming-Liang.
Pasolini / Welcome to New York, Abel Ferrara.
Gone Girl – L’amore bugiardo [Gone Girl], David Fincher.
FABIO FULFARO
1. Sils Maria [Clouds of Sils Maria], di Olivier Assayas
Tra la verità e la rappresentazione ci sta in mezzo il Maloya’s Snake
2. Adieu au langage – Addio al linguaggio [Adieu au langage], di Jean-Luc Godard
Lo sguardo lucido e sperimentale di un ottantenne della “onda nueva”
3. Maps to the Stars, di David Cronenberg
David Cronenberg incontra Brucr Wagner: Hollywood brucia!
4. The Look of Silence, di Joshua Oppenheimer
Una rimozione collettiva di fronte alle domande di un investigatore oculista
5. From What Is Before [Mula sa kung ano ang noon], di Lav Diaz
Cinema resistente fino alla fine del mondo
6. Belluscone. Una storia siciliana, di Franco Maresco
Un quadro senza speranza di una inciviltà trasversale, L’Italia post berlusconista è un paese senza più radici e memoria
7. P’tit Quinquin, di Bruno Dumont
Bruno Dumont ritorna a investigare la realtà con uno sguardo feroce lievemente stemperato da un forte sarcasmo di fondo
8. Due giorni, una notte, [Deux jours, une nuit] di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
I Dardenne contro il sistema capitalistico moderno: Marion Cotillard lotta fino all’ultimo respiro per salvare il proprio posto di lavoro
9. Il sale della terra, [The Salt of the Earth] di Wim Wenders, Juliano Ribeiro Salgado
Le fotografie di Salgado raccontate da un Wenders molto a suo agio con il genere documentario
10. Tsili, di Amos Gitai
Amos Gitai alle prese con un paesaggio con bambina che diventa autobiografia esterna
MARCO GRIFÒ
1. Adieu au langage – Addio al linguaggio [Adieu au langage], Jean-Luc Godard
«Tutto quello che manca all’immaginazione si rifugia nella realtà. Resta da capire se ciò che non si pensa contamina ciò che si pensa». Esperienza sconvolgente, per rigettare i criteri dell’interpretazione del reale.
2. Sils Maria, Olivier Assayas
Un pluristratificato sistema di sguardi riflessi che fa sbalzare le incertezze della visione.
3. National Gallery, Frederick Wiseman
I protagonisti non sono i quadri del grande museo londinese, ma i visitatori, la fruizione delle opere d’arte, il significato stesso di Arte, però nella realtà vera del quotidiano.
4. Vizio di forma [Inherent Vice], Paul Thomas Anderson
Uno dei più ambiziosi, colorati, scopertamente appassionati, felicemente lisergici, incontri fra Cinema e Letteratura. Un’opera mastodontica.
5. Hungry Hearts, Saverio Costanzo
I volti appuntiti di Alba Rohrwacher sullo strato deflesso dello sguardo di Costanzo sono uno degli scenari più coraggiosi e tenaci della recente produzione del cinema italiano, nonché tra i più feroci e spaventevoli.
6. Saint-Laurent, Bertrand Bonello
Sull’uomo che diede la propria vita per l’apparenza. Quando il film diventa opera d’arte astratta.
7. P’tit Quinquin, Bruno Dumont
Nel mondo di Dumont la normalità è l’incontro fra l’assurdo e lo sguardo depurato, purificato. Candido e corrotto al tempo stesso.
8. Métamorphoses, Christophe Honoré
Sfida al mondo e ai suoi significati: cosa possono dirci la bellezza e la visione dell’inscalfibile perfezione degli dèi?
9. Turner [Mr. Turner], Mike Leigh
Sulle possibilità dell’arte e dell’uomo che diede al colore e alla composizione sempre più astratta dell’immagine un nuovo ruolo da protagonisti.
10. Maps to the Stars, David Cronenberg
La normale evoluzione del cinema del regista canadese: la carne putrescente dell’inconscio collettivo, impastato in uno sfondato, esploso, condiviso, virtuale e invisibile altrove.
ALBERTO LIBERA
I 10 DEL CUORE…
1. L’attesa del maggio, di Simone Massi
«[…] mi pare che questo nuovo film sia la summa della mia«carriera»: una sgangherata barchetta nel mare in burrasca che a dispetto di ogni logica e di ogni scommessa resiste e, miracolosamente, trova sempre un approdo di fortuna.» Per animi resistenti.
2. Adieu au langage – Addio al linguaggio [Adieu au langage], di Jean-Luc Godard
Non solo un home movie in stereoscopia che si fa, contemporaneamente, anamnesi e spettrografia di (quasi) tutto il cinema di Godard, ma anche un capolavoro spartiacque girato in un «3D, che intreccia, interrompe e confonde sagome, voci, luci, fino a violentare l’occhio» [Luigi Abiusi]. Una pietra miliare: negli anni si parlerà di un prima e un dopo Adieu au langage.
3. National Gallery, di Frederick Wiseman
Perso tra i quadri del celebre museo londinese, Wiseman per la prima volta sembra ricercare quella «frontalità» che il suo percorso di documentarista ha sempre disatteso. Lo sguardo della m.d.p si trattiene, indugia, esita quasi a voler interrogare ogni opera passata in rassegna: per penetrare, forse, il mistero della loro imperitura bellezza.
4. From What Is Before [Mula sa kung ano ang noon], di Lav Diaz
La piccola Joselina come il popolo filippino: offesa, vilipesa, vittima di un potere che cinicamente abusa di debolezze genetiche e del silenzio indotto. Diaz diluisce il proprio racconto corale in cinque ore, guarda a Dostoevskij e lo combina con García Márquez. E mentre il Presidente Marcos ottiene il suo terzo mandato, una torsione finale azzera il film, riportandolo al punto di partenza: le Filippine della dittatura sono un girone infernale.
5. Il segreto del suo volto [Phoenix], di Christian Petzold
Forse, Phoenix potrebbe essere considerato come l’epicentro di tutto il cinema di Petzold/Farocki, indispensabile per leggere retrospettivamente capolavori come Yella o Gespenster: contemporaneamente riverendo e negando La donna che visse due volte di Hitchcock, il film viviseziona la crisi d’identità di una Nazione (sorta di«gabbia d’acciaio» weberiana) che vive il trauma della rimozione mnestica.
Mentre, sottecchi, s’affaccia lo spettro del capitalismo: «distruggere il passato per creare il futuro».
6. One Cut, One Life, di Ed Pincus, Lucia Small
Per Pincus il documentario è sempre stato una questione (di) soggettiva, la macchina da presa una protesi dello sguardo del filmmaker. Malato terminale, con One Cut, One Life estremizza la riflessione sul trascorrere del Tempo dei suoi Diaries: solo una volta accettata la natura transeunte delle cose, si può riempire di significato ogni singolo istante.
Eppure, il film non è solamente questo. Punteggiato da una natura ripresa con sensibilità pressoché impressionista, diventa una riflessione su qualcosa che è non-documentabile: il processo interiore d’elaborazione della perdita.
7. The Little House [Chiisai ouchi], di Yôji Yamada
Per raccontare le proprie storie, Yamada continua ad attingere al serbatoio del cinema classico giapponese: qui, più che al nume tutelare Ozu, pare rifarsi ai melò di Naruse, Kinoshita e Ichikawa. Eppure, non si scambi il suo gesto d’autore per una semplice operazione di decalcomania. The Little House è invece saturo di una delle grandi ossessioni della contemporaneità: l’effige di un mondo sull’orlo dell’apocalisse.
8. Maps to the Stars, di David Cronenberg
Tra Ballard (la «nuova carne») e Debord (La società dello spettacolo), tra The Canyons di Paul Schrader e Un oscuro scrutare di Philip K. Dick: il controcanto di Cosmopolis, la radiografia di un mondo in decomposizione, un perverso aggiornamento di Cantando sotto la pioggia.
Perché (ogni storia di) Hollywood è una storia di fantasmi.
9. Nobi, di Shin’ya Tsukamoto
Procedendo sulla falsariga del percorso inaugurato con Kotoko, Tsukamoto trasforma il romanzo di Shōhei Ōoka – e la sua meravigliosa trasposizione di Kon Ichikawa del’59: Fuochi nella pianura – in un’allucinazione baconiana di corpi marci, polverizzati, accatastati, disgregati e sgretolati. Un’esperienza sensoriale che percuote il nervo ottico e, soprattutto, martella i timpani: una danse macabre «futurista» [Michele Sardone] capace di visualizzare la percezione di quell’orrore connaturale ad ogni conflitto.
10. Vizio di forma [Inherent Vice], di Paul Thomas Anderson
Anderson incontra Pynchon: What’s Up, Doc?
…E ALTRI 10 FILM IRRINUNCIABILI (Segnalati in ordine alfabetico. Spiace, per giunta, non poterne citare almeno altrettanti più che apprezzati)
Aimer, boire et chanter, di Alain Resnais Belluscone. Una storia siciliana, di Franco Maresco Il giovane favoloso, di Mario Martone Jauja, di Lisandro Alonso Journey to the West [Xi you], di Tsai Ming-liang Os Maias – Cenas da Vida Romântica, di João Botelho Queen and Country, di John Boorman Tsili, di Amos Gitai Turner [Mr. Turner], di Mike Leigh O Velho do Restelo, di Manoel de Oliveira
#appendice
#Serie Tv: The Knick [Steven Soderberhgh] – P’tit Quinquin [Bruno Dumont]
#Esordi: Honeymoon [Leigh Janiak] – Lost River [Ryan Gosling]
SEBASTIANO LOMBARDO
1. Jauja, Lisandro Alonso
L’itinerario del cinema di Lisandro Alonso si aggiorna fino alla tappa del miraggio, luogo (mai ritrovato?) di definitiva identificazione fra lo spazio del paesaggio con quello della famiglia. Il tempo e le sue tracce svaniscono alla linea dell’orizzonte in questa trasognata riflessione sulla consunzione dei legami di discendenza.
2. Il segreto del suo volto [Phoenix], Christian Petzold
Contro la rimozione. L’immagine del passato appare invisibile pur vestendosi di rosso. Un fantasma, quello della Shoah, alla ricerca di un proprio volto e di una propria carne per sfuggire all’oblio. Petzold ammanta con eleganza e musicalità sopraffine un dramma capace di intersecare vividamente cinema e storia.
3. From What Is Before [Mula sa kung ano ang noon], di Lav Diaz
Grande narrazione e puntiglio formale raggiungono un punto di perfetta congiunzione dando vita alla rappresentazione di un terribile preludio. I lamenti cosmici di un barrio nelle Filippine dei primi anni settanta annunciano la fine di un tempo, prodromi della legge marziale proclamata da Marcos.
4. Tales of the Grim Sleeper, Nick Broomfield
Nick Broomfield torna a ficcare il naso nel torbido provando a gettare luce sul caso dell’omicida seriale Lonnie David Franklin Jr. Il risultato è un raggelante documentario, montaggio di testimonianze ambigue e discordanti raccolte per le strade dei quartieri sud di Los Angeles, intercalate fra una galleria di immagini a dir poco infernale.
5. Silvered Water, Syria Self-Portrait [Ma’a al-Fidda], Wiam Bedirxan, Ossama Mohammed
Accedere alla visibilità della guerra civile siriana grazie allo spazio di interlocuzione fra più sguardi costruito dal cinema. Civili e registi s’identificano nel ruolo del testimone, riproducendo una visione del conflitto sporca, cruda e brutale che provoca sgomento.
6. The Look of Silence, Joshua Oppenheimer
Qualcosa di più di una semplice appendice al precedente The Act of Killing, The Look of Silence presenta nuovamente, a distanza ravvicinata, alcuni responsabili dell’eccidio di comunisti perpetrato dalle forze paramilitari dispiegate in Indonesia con l’avvento del regime dittatoriale alla metà degli anni sessanta. Faccia a faccia con la morte, senza paura.
7. Lost River, Ryan Gosling
Rutilante esordio alla regia per l’attore canadese che, pescando dalla schiera di cineasti di passata e prossima collaborazione (Refn, Malick), dipinge manieristicamente un affresco adolescenziale pulsante grazie alle potenti suggestioni visive angeriane fornite dall’apporto fotografico di Benoît Debie.
8. Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza [En duva satt på en gren och funderade på tillvaron], Roy Andersson
Interlocutorio, compassato, malinconico. L’ultimo film di Roy Andersson procede per contrasti e anacronismi, usi padroneggiati con maestria al fine di esprimere liricamente lo stato presente della condizione sociale dell’uomo nel suo confronto con la storia.
9. Foxcatcher – Una storia americana [Foxcatcher], Bennett Miller
La lotta per la gloria si colora di nero in questo ritratto della parabola sportiva dei fratelli Schultz, protagonisti di una vicenda impregnata di pathos e sudore. La regia dai toni rarefatti di Bennett Miller scandaglia con grande rigore gli animi repressi e contraddittori di personaggi destinati allo scacco.
10. Nightcrawler, Dan Gilroy
Quando lo studio maniacale della manifestazione della realtà e dei suoi orrori fornisce le chiavi del successo professionale, la notte losangelina assurge a scenario di caccia euforica per il famelico Lou, in un’autentica escalation di bulimia mediale e di vattimiana «im-posizione» dell’evento.
MARTINA MELE
1. P’tit Quinquin, di Bruno Dumont / Andromeda, di Peter Paul Rubens (1640)
2. Torneranno i prati, di Ermanno Olmi
3. Il sale della terra, di Juliano Ribeiro Salgado e Wim Wender
4. Les tourmentes, di Pierre Yves Vandeweerd/ Pastora con su rebaño, di Jean-François Millet (1893)
5. Il giovane favoloso, di Mario Martone / Man and Woman Contemplating the Moon, di Caspar David Friedrich (1824)
6. Sils Maria [Clouds of Sils Maria], di Olivier Assayas / Das Wolkenphänomen von Maloja, di Arnold Fanck (1924)
7. Gone Girl, di David Fincher / Rolling Stones, 1981, di Annie Leibovitz
8. The Iron Ministry, di J.P. Sniadecki / Woman with Dead Child (1903), di Kathe Kollwitz
9. Vizio di forma [Inherent Vice], di Paul Thomas Anderson/ Vitamin C, dei Can
10. The Knick, di Steven Soderbergh / Lezione di anatomia del dottor Tulp, di Rembrandt (1632)
NICOLÒ VIGNA
1. | 10. From What Is Before [Mula sa kung ano ang noon] | Storm Children, Book One [Mga anak ng unos, Unang aklat], di Lav Diaz
2. Adieu au langage, di Jean-Luc Godard
3. Cavalo Dinheiro, di Pedro Costa
4. Maps to the Stars, di David Cronenberg
5. Vizio di forma [Inherent Vice], di Paul Thomas Anderson
6. National Gallery, di Frederick Wiseman
7. Jauja, di Lisandro Alonso
8. Fires on the Plain [Nobi], di Shin’ya Tsukamoto
9. The Absent [Los ausentes], di Nicolás Pereda
Menzione speciale: ovvero, “fuori formato”.
Washingtonia, di Konstantina Kotzamani