Io non sento molta differenza fra quello che filmo e quello che sono.
– Corso Salani1

Il 16 giugno del 2010 moriva, all’età di 48 anni, uno dei più originali autori cinematografici italiani della sua generazione: Corso Salani. Nato a Firenze nel ’61, Salani era un cineasta che potremmo definire “invisibile” perché consapevolmente ai margini della grande distribuzione italiana. I suoi film infatti, salvo rare eccezioni, erano e sono difficili da vedere se non attraverso canali privilegiati quali le visioni notturne di Fuori Orario, l’home video, e iniziative di carattere retrospettivo.2 E ciò, purtroppo, a scapito dell’indubbia qualità e coerenza del corpus salaniano, tanto avvincente nelle sue continue escursioni documentarie e nei suoi intensi ritratti femminili, quanto profondo negli esiti teorici e formali. Dall’esordio, avvenuto nella metà degli anni Ottanta attraverso un pugno di cortometraggi scritti in collaborazione con Monica Rametta e poi riuniti in Voci d’Europa (1989), fino a I casi della vita, l’ultimo film realizzato nell’anno della sua morte, Salani non ha mai smesso di inseguire una personalissima idea di cinema sospesa fra finzione e realtà – e non solo fra fiction e documentario – in cui questi due aspetti si sono sovrapposti e scambiati di continuo.
Situandosi su quel «confine» della rappresentazione filmica caro a cineasti quali Abbas Kiarostami e Werner Herzog – quest’ultimo, tra i pochi registi dichiaratamente apprezzati dal nostro autore3 –, e complicandolo con un autobiografismo prossimo a certo cinema sperimentale4, Salani ha aperto una strada assolutamente inedita nel panorama nostrano. Un «pioniere» del cinema d’arte contemporaneo e di un certo modo di fare cinema, come bene ha individuato Adriano Aprà5, che vale la pena ricordare, oggi, a dieci anni dalla sua scomparsa.

corso salani - voci d'europaMonica Rametta e Corso Salani in Voci d’Europa.

Innanzitutto, ciò che colpisce osservando la filmografia di Corso Salani è la sua eterogeneità: a film girati in pellicola (16 mm, a volte riversati in 35) si affiancano altri realizzati in video (il metodo di ripresa prediletto dal regista per la sua praticità); a lungometraggi seguono corti, i quali, a volte, confluiscono in altri lungometraggi («Ci sono sempre molti film nascosti dentro i film di Corso Salani» ha scritto perfettamente Grazia Paganelli6. O ancora: a documentari su commissione, come quello realizzato per le politiche regionali in Puglia (C’è un posto in Italia [2005]), si alternano altri girati per puro desiderio personale, come la serie intitolata Confini d’Europa.
Per agevolare una mappatura di questo percorso così sfaccettato si è spesso tentato di individuare un ideale centro nel cinema di Salani, o meglio ancora quel passaggio decisivo verso l’affermata maturità artistica. Carlo Valeri e Sergio Sozzo, ad esempio, individuano in Corrispondenze private (2002) – il film che avrebbe fatto conoscere a Salani la sua “musa” Paloma Calle – un punto di svolta fondamentale nella carriera del cineasta toscano. Scrivono Valeri e Sozzo:

Corrispondenze private è l’unico film possibile tra Occidente, il potente titolo del 2000 che per Salani e il suo produttore più affezionato Gianluca Arcopinto aveva rappresentato il tentativo di approccio verso una formula più canonica, istituzionalizzata seppur dichiaratamente autoriali, di opera filmica, e Palabras, che di fatto setta per sempre la decisione di Corso di affidarsi in maniera assoluta e in qualche modo militante al basso budget, alle troupe ristrettissime, alle sceneggiature da ricostruire a posteriori una volta tornati dal ‘viaggio’ liberissimo delle riprese.7

A queste puntuali considerazioni, che pongono l’attenzione su caratteri di tipo produttivo, vorremmo aggiungere il fondamentale incontro con Paloma Calle, l’affascinante attrice originaria di Madrid che in Corrispondenze vediamo per la prima volta mentre si sottopone a un provino. La ritroveremo in due dei film più belli di Salani: Palabras (2003) e Imatra (2007). Sempre lei sarà poi il soggetto dell’«amore infranto» nel torrenziale film-diario Il peggio di noi (2006).
Si tratta di opere estremamente diverse fra loro: Corrispondenze private è un docu-fiction a episodi sulla realizzazione di un film; Palabras è un film di finzione girato in Cile; Imatra, un finto documentario (o mockumentary) su di una ragazza originaria dell’omonima città della Finlandia; Il peggio di noi, testo assolutamente inclassificabile, un lungo monologo dello stesso Salani sulle immagini di repertorio di Palabras. A fungere da fil rouge di queste opere che sembrano specchiarsi fra loro è la presenza – o l’assenza, nel caso del Peggio di noi – di Paloma Calle.

corso salani - palabrasCorso Salani e Paloma Calle in Palabras.

Questo aspetto ci conduce a un punto fondamentale della nostra breve riflessione, ovvero l’importanza assolutamente centrale che detiene la «donna» nel cinema di Salani. La figura femminile, infatti, rappresenta uno degli aspetti tematici che meglio aiutano a orientarci nella filmografia del nostro autore. Lo suggerisce lo stesso regista:

Io dividerei la mia filmografia in due: Voci d’Europa e Gli ultimi giorni da una parte e poi il resto. […] Se dovessi descrivere la mia “carriera” la farei iniziare da Gli occhi stanchi. I film sono anche diventati più necessari per me. Per questo c’è sempre il tentativo di mischiarli con la vita reale. […] Devo dire che nel corso del tempo, a partire da Gli occhi stanchi, il personaggio maschile ha perso sempre più importanza a vantaggio di quello femminile […].8

Protagonista indiscusso di Voci d’Europa e Gli ultimi giorni (1991) è d’altronde lo stesso Salani, che per l’occasione assume “morettianamente” le vesti di un alter-ego di nome Alberto.9 Si tratta di opere che tradiscono ancora una certa rigidità nella struttura narrativa, ma che comunque rispecchiano appieno la personalità complessa e carismatica del suo autore; opere intimiste che restituiscono alla perfezione quello sguardo «timido ma insistente»10 che il regista rivolge alle persone e alle cose che lo circondano. Ne è una prova tangibile il bellissimo Gli ultimi giorni, film ambientato sull’isola di Capraia in cui Corso/Alberto cerca in tutti i modi di riconquistare un suo amore passato, Marina, interpretata dalla co-autrice del soggetto Monica Rametta. I gesti di Alberto si rivelano però impotenti, e la donna sposerà infine un altro uomo.

corso salani - gli ultimi giorniGli ultimi giorni.

Se la nostalgia e più nello specifico la difficoltà di allontanarsi dalle persone e dagli affetti saranno alcune delle grandi questioni che ritroveremo nei film successivi di Salani («Non riesco a scordare mai niente» afferma all’inizio di Cono Sur [1998]), è però con Gli occhi stanchi (1995) che qualcosa cambia radicalmente nel suo modo di fare cinema. Passano quattro anni dal film precedente; il regista in questo periodo viaggia e scrive un finto diario in cui appunta i ricordi di una donna di origini polacche. Assieme a Rametta scrive poi la sceneggiatura del film, nel quale interpreterà ancora una volta il personaggio di Alberto.
Ne Gli occhi stanchi, Ewa (l’attrice Agnieszka Czekanska), una prostituta polacca, viene accompagnata da una troupe di amici videomaker a bordo del loro furgoncino fino ai confini della Polonia. Il viaggio è intervallato dai ricordi che la donna narra davanti alla videocamera su insistenza di Alberto/Corso.

corso salani - gli occhi stanchiGli occhi stanchi.

Il film si caratterizza per la sua dichiarata fragilità; in primis, la fragilità della finzione che regge la diegesi del film – emblematica, da questo punto di vista, la scelta di Salani di mantenere un errore compiuto da Agnieszka nel pronunciare il nome di «Corso» anziché quello di «Alberto». Ma fragile è la narrazione stessa del film, costantemente interpuntata da eventi di carattere puramente episodico che sembrano “aprire” il film – invero, interamente scritto su carta – alla pura improvvisazione. Infine, si possono facilmente individuare tutti quei “non-luoghi” che caratterizzeranno il futuro cinema di Salani (autogrill, autostrade, caselli, ecc.).
Da qui in avanti, le opere che il regista realizzerà fino alla sua prematura scomparsa saranno testimonianze di un’idea di cinema sempre in movimento, senza confini né patria; film «apolidi», per usare una delle etichette più ricorrenti negli studi a lui dedicati. Ne è un perfetto esempio il locale “country” di Aviano in cui si svolgono gran parte delle vicende sentimentali di Occidente (2000). È qui che Alberto (sempre Salani, nelle vesti di un insegnante) conosce la rumena Malvina: un luogo anonimo, quasi metafisico, in cui i segni di un mondo definitivamente globalizzato si fanno simulacri di loro stessi.

corso salani - occidenteOccidente.

Se Occidente è forse il film più “classico” della filmografia salaniana, caratterizzato da una epilogo di grande drammaticità che potrebbe ricordare certo cinema dei fratelli Dardenne, è nelle opere più vicine al documentario che emerge con maggior forza il desiderio del regista di realizzare un cinema di viaggio e «di confine». Emblematici, da questo punto di vista, sono non solo i due film ambientati in america latina, Cono Sur e Palabras, ma anche Mirna (2009) e la serie prodotta con la collaborazione di Fuori Orario, Confini d’Europa. Si tratta di lungometraggi di breve durata che raramente superano i 70 minuti, girati con pochi mezzi, assieme a una troupe composta da una o due persone, e un solo protagonista femminile. La donna diviene l’occhio ideale per osservare paesaggi sempre diversi (Portogallo, Spagna, Finlandia, Lettonia, Moldavia, Israele, le Ande…). Come sostiene infatti Fabrizio Grosoli analizzando la serie di Confini d’Europa, se le qualità di documentarista di Salani risiedono nella capacità di far emergere, di colpo, le «verità nascoste» indugiando sui volti che di volta in volta riprende, al contempo egli è un cineasta distante da un’idea di cinema diretto. «Il reale che gli interessa è “quel” reale che lui stesso ha in qualche modo provocato, reso filmabile, anche in modo incongruo, scoperto attraverso la simbolica mediazione di quel corpo femminile.»11

corso salani - mirnaMirna.

Il suo sguardo (e di conseguenza il nostro), poco alla volta, quasi silenziosamente, si identifica sempre più con quello della camera, mentre “stringe” sui volti delle sue amate attrici. «Ripensandoci, probabilmente credo che questo volere avvicinarsi fino a cercare i dettagli più minuscoli di un volto sia come un rapporto d’amore con i personaggi. C’è da parte mia la necessità di diventare lo stesso personaggio, che si manifesta nella ricerca di un contatto così ravvicinato, fino a confondersi con esso.»12 Per chi scrive, tale identificazione si manifesta in maniera compiuta nei suoi film più “astratti”, quelli in cui Corso non è mai presente davanti alla macchina da presa. Avviene ad esempio ne Il peggio di noi, film che «porta a conseguenze estreme l’autobiografismo confessorio del cineasta toscano, immergendolo esteticamente nella sua operazione più estrema e ‘violenta’.»13 E soprattutto nello struggente Le vite possibili (2008), corale flusso di coscienze, tutte femminili, dove possiamo leggere, grazie a dei sottotitoli, i pensieri, forse veri o forse inventati, delle donne che la camera di volta in volta inquadra. Un ultimo confine, quello del pensiero e del possibile, che Salani ha infine cercato, o sperato, di esplorare.

corso salani - le vite possibiliLe vite possibili.

NOTE

1. https://www.youtube.com/watch?v=xITKfDb0Is8

2. Segnaliamo, ad esempio, le retrospettive curate dalla rivista cinematografica «Sentieri Selvaggi», che si è sempre occupata di diffondere il cinema del regista toscano. Per quanto riguarda l’home video, alcuni film di Corso Salani sono (o sono stati) reperibili in DVD: Palabras, Imatra, Mirna, Occidente e Gli occhi stanchi, quest’ultimo come supplemento al libro di Giuseppe Gariazzo Conversazioni. Il cinema nelle parole dei suoi autori, edito per Lineadaria, Biella, 2009. Per informazioni più dettagliate riguardo le programmazioni, si suggerisce la consultazione del sito della Associazione Corso Salani: http://www.corsosalani.it/

3. Corso Salani non si definisce affatto un regista cinefilo; in un’intervista, ad esempio, dichiara di ammirare Werner Herzog più che altro per la sua «dedizione al lavoro», ma i richiami finiscono lì. Cfr. Serena Augusto, Conversazione con Corso Salani, in Alberto Morsiani, Serena Agusto (a cura di), South by Southwest. Il cinema di Corso Salani, Il Castoro, Milano, 2008, p. 7.

4. I film “autobiografici” del cinema sperimentale italiano guardano sovente al cinema underground statunitense, e in particolare alle lezioni di Stan Brakhage e Jonas Mekas. Per un approfondimento, si rinvia al seguente articolo: https://specchioscuro.it/altrove-breve-viaggio-nel-cinema-sperimentale-italiano/

5. https://www.youtube.com/watch?v=Sz4Q1i4CFt4

6. Grazia Paganelli, Film come lettere di nostalgia, speciale Cinema del reale. Il documentario italiano 2000-2015, in «Cartaditalia», Anno VII, n° 1, Novembre 2015, p. 144.

7. Sergio Sozzo, Carlo Valeri, Il motivo per filmare. Il confine del cinema tra Corso Salani e Paloma Calle, in Daniele Dottorini (a cura di), Per un cinema del reale. Forme e pratiche del documentario italiano contemporaneo, Forum, Udine, 2013, p. 82.

8. Intervista citata, pp. 8-9.

9. È proprio la Sacher Film di Nanni Moretti a distribuire il lungometraggio d’esordio di Salani, Voci d’Europa.

10. Pierpaolo Loffreda, Uno sguardo discreto: Gli occhi stanchi, in Alberto Morsiani, Serena Agusto (a cura di), South by Southwest. Il cinema di Corso Salani, Il Castoro, Milano, 2008., 45

11. Fabrizio Grosoli, Confini, in Alberto Morsiani, Serena Agusto (a cura di), Op. cit., pp. 70-71.

12Giuseppe Gariazzo, Intervista contenuta nel libro Conversazioni sopra citato, p. 36-37.

13. Sergio Sozzo, Carlo Valeri, Op. cit., p. 80.

(Desidero ringraziare Fabio Pezzetti Tonion, Fabiana Proietti e Ivan Orlandi per l’aiuto nel recupero del materiale su Corso Salani.)