L’opera di Bernardo Bertolucci prende le mosse dalla passione del proprio autore per la Nouvelle vague e il cinema d’autore europeo degli anni Sessanta. Sono in special modo due i modelli stilistici che il futuro regista di Nocevento (1976) fa suoi: il cinema di Pier Paolo Pasolini (La commare secca, del 1962), del quale fu anche assistente, e di Jean-Luc Godard (Partner, del ’68). Gli anni Sessanta sono dunque, per Bertolucci, un periodo di confronto alla ricerca di una propria personalità artistica. «C’era un bisogno competitivo di trovare una mia identità cinematografica», afferma il regista a proposito de La commare secca, «era [per me] una specie di sfida.»1 Il primo risultato maturo di questa ricerca arriva qualche anno più tardi con Strategia del ragno, film che, come nota Francesco Casetti, segna un ulteriore cambio di registro da parte dell’autore parmense: «a Partner, film “gridato” come pochi, [Bertolucci] ha fatto seguire Strategia del ragno, attento ai valori di uno stile “sublime” […].»2

strategia del ragno - 1

Sopra, Partner; sotto, Strategia del ragno.

Il film, girato nel 1969 ma uscito solo nel 1970, si rivela quale prima, fondamentale tappa della carriera del regista. In primis, infatti, l’opera sancisce il sodalizio tra Bertolucci e il direttore della fotografia Vittorio Storaro, con il quale avrà la possibilità di sperimentare negli anni uno stile visivo ricercato e raffinato; inoltre, il film introduce, nel cinema politico di Bertolucci, quegli aspetti più prettamente psicanalitici che diverranno centrali nelle sue opere successive.
Tratto liberamente da un racconto di Jorge Luis Borges (Tema del traditore e dell’eroe), Strategia del ragno è prodotto dalla Rai e trasmesso per ben due volte nel corso della stessa settimana sul canale televisivo, senza riscuotere particolare successo. La critica italiana si dimostra divisa su questo anomalo prodotto per la televisione; all’estero, invece, il film suscita maggiore interesse3. Poco configurabile in un genere preciso, Strategia del ragno è innanzitutto una detection. Il protagonista Athos Magnani (Giulio Brogi) si reca a Tara – fantomatica città emiliana – invitato dalla vecchia amante del padre, Drefna (Alida Valli). Giunto sul luogo, Athos comprende che la città è divenuta un tempio alla memoria del padre, anch’egli di nome Athos, ucciso a tradimento dai fascisti trent’anni prima. Ma la verità è più complessa. Dopo alcune indagini condotte in paese, infatti, Athos viene a conoscenza di un fallito attentato al Duce pianificato dal padre e della messa in scena della propria morte, con l’intento di divenire così un martire dell’antifascismo. Scoperta la verità – che terrà per sé – il giovane decide di abbandonare Tara, ma in stazione il treno comincia a tardare.

La trama ruota attorno alla figura di Athos Magnani, eroe ambiguo e padre di un figlio identico a lui.

Fin dalla trama si evidenzia uno dei temi principali del film, quello filosoficamente sfaccettato e complesso di «ripetizione»4. In Strategia del ragno, infatti, veniamo a conoscenza di ben due Athos Magnani, padre e figlio, interpretati per altro dallo stesso attore. Sarà proprio attraverso questa prima fondamentale ripetizione, in cui il figlio «ripete l’esperienza del padre»5, che potremo scoprire la verità su Tara. Soprattutto, è da questo geniale spunto che la regia di Bertolucci realizza uno stratificato gioco di rimandi, di specchi e di rifrazioni che, come vedremo tra poco, si struttura attorno a due motivi iconografici assolutamente paradigmatici.

 

Lo specchio e il labirinto

Dopo Partner ero molto influenzato dal surrealismo, Magritte, Cocteau, Breton, Lautréamont; e Tara ha una magicità surreale, o super-reale.
– Bernardo Bertolucci6

Il cinema di Bernardo Bertolucci si è spesso contraddistinto da un’urgenza espressiva che si è tradotta in uno stile registico ricercato e barocco. L’uso enfatico di determinate figure stilistiche, quali il dolly, il carrello laterale o la composizione pittorica dell’immagine, hanno accompagnato storie dal sapore edipico (l’uccisione metaforica del padre è uno dei leitmotiv del suo cinema). Nel caso specifico di Strategia del ragno, il film si struttura attorno a due figure iconografiche principali – e che la regia traduce filmicamente –, quelle dello «specchio» e del «labirinto». Ciò crea un denso gioco di rifrazioni che riconducono al tema della ripetizione, condizionando scelte di carattere filmico e profilmico. Ma procediamo con ordine, iniziando a discutere dello specchio.
Figura dai forti connotati simbolici, lo specchio ha avuto nel corso della storia del cinema grande fortuna. Il suo richiamo allo schermo cinematografico ne ha fatto un elemento metalinguistico fondamentale per la teoria del cinema7, in special modo per quella di derivazione psicanalitica8. Ma lo specchio è anche figura che allude al concetto di ripetizione, di duplicazione, di copia.
In Strategia del ragno, uno specchio arreda la camera d’albergo di Athos. Più volte, nel corso del film, il giovane si specchia in esso – così come, simbolicamente, egli si specchierà nel padre.

Il giovane Athos allo specchio.

Il confronto con la figura paterna è evidenziato fin dalla sequenza dell’arrivo di Athos a Tara. Qui, tra le vie del paese, il giovane contempla le numerose effigi dedicate al padre. Un busto in marmo, nonché nomi di vie e di circoli culturali richiamano con insistenza il nome del coraggioso eroe popolare. Jefferson Kline nota9 come il riferimento pittorico principale in questa sequenza sia La riproduzione vietata di René Magritte, celebre quadro surrealista nel quale vi è una (mancata) riflessione allo specchio. La tela rappresenta infatti un uomo di spalle nell’atto di specchiarsi, ma, anziché vederne il volto riflesso, ne scorgiamo nuovamente la figura da dietro. Si tratta di una vera e propria ripetizione, che, reinterpretata nel film da Bertolucci, conferisce uno carattere surrealista alla pellicola – tendenza che troverà conferma col procedere dei minuti.

strategia del ragno - 8Confronto fra Strategia del ragno e La riproduzione vietata (1937) di René Magritte.

strategia del ragno - 10Confronto fra Strategia del ragno e Golconda (1953).

strategia del ragno - 12Confronto fra Strategia del ragno e L’impero delle luci (1949).

Un altro esempio di ripetizione figurativa ci è offerto nuovamente all’inizio del film, ovvero quando Athos giunge in stazione. In questo caso, egli si specchia nei movimenti del marinaio che scende con lui dal treno, ripetendone specularmente i gesti. La scena si ripeterà, pressoché identica, nel finale del film. In entrambi i casi, le due figure sono riprese in campo lungo, di modo tale da non rivelare il volto.

O ancora, lo specchio ritorna nel racconto dei tre amici di Magnani, Gaibazzi, Rasori e Costa, durante la sequenza al teatro. Qui, l’oggetto assume un ruolo rivelatore, permettendo ad Athos-padre di vedere i propri assassini riflessi in uno specchio.

Motivo iconografico altrettanto complesso ed evocativo, il labirinto richiama alla nostra mente gli scritti di Jorge Luis Borges, l’autore del Tema del traditore e dell’eroe a cui Bertolucci si ispira per Strategia del ragno10. La capacità del labirinto di farci perdere al suo interno grazie alla propria complessità strutturale ha, come conseguenza, l’eterno e illusorio ripetersi di luoghi e movimenti identici. Nel caso specifico di Strategia del ragno, la figura del labirinto viene tradotta non solo attraverso la «struttura del racconto, costruita come un labirinto all’interno del quale si dissolve la realtà degli esseri e delle cose»11, ma soprattutto per mezzo di complessi e articolati movimenti della macchina da presa. In particolare, i frequenti carrelli laterali, associati al deep focus, hanno la funzione di costituire uno spazio stratificato: «questo percorso nel labirinto del proprio passato e dei rapporti con le figure genitoriali è reso visivamente da Bertolucci con un uso controllato della profondità di campo e di carrellate laterali e circolari che immergono lo spettatore dentro un quadro dai contorni metafisici.»12
Un esempio ci è dato dal primo carrello per le strade di Tara, in cui, continuamente, perdiamo e ritroviamo la figura di Athos. Bertolucci utilizza questo ipnotico movimento di macchina per suggerirci che Tara è un labirinto; «le linee ortogonali dell’architettura e dell’urbanistica disegnano una gabbia perfetta, un labirinto costruito per ingannare, rinchiudere, confondere, celare».13

Altro «labirinto» è la casa di Draifa. L’edificio è presentato allo spettatore attraverso un complesso movimento di 360 gradi che complica vertiginosamente lo spazio filmato. Gli interni sono ripresi da Bertolucci «inquadrando incessantemente l’immagine attraverso porte, finestre e colonnati»14, duplicando così l’inquadratura attraverso il motivo metalinguistico del “quadro nei quadro”. La casa, poi, ha un aspetto antico, mitologico, con le sue edere, i suoi affreschi, le sue stanze spoglie. Così come, parallelamente, Draifa assume i connotati di una figura mitica, senza tempo. Come scrive Kline, «il personaggio di Draifa funziona in modo assai simile alla donna-ragno della tradizione Vao. Ella è sia Aracne, l’architetto, sia Arianna, la guida (fallace) in questo labirinto di storie (…)».15

La casa di Draifa, presentata allo spettatore da un movimento circolare di 360 gradi.

Un paio di esempi di “quadro nel quadro”.

Queste due figure di ripetizione, che come abbiamo illustrato la regia mostra o suggerisce, hanno un preciso scopo: quello di nascondere la verità, di falsificarla, e, al contempo, di smascherare questa stessa falsificazione.

 

Il vero e il falso

La ripetizione in qualità di falsificazione, nel film, è esemplificata in primis attraverso l’uso dei flashback. Come scrive Gilles Deleuze, il flashback cinematografico può essere utilizzato in senso informativo, e dunque lineare, oppure come «polo estremo dell’immagine ricordo (…). Non si tratta affatto di una spiegazione, di una causalità o di una linearità (…), al contrario, si tratta di un segreto inesplicabile, di una frammentazione di ogni linearità, di biforcazioni continue (…)».16 Il ricordo – che nel pensiero di Deleuze è strettamente correlato alla questione della modernità – non ci fa avvicinare alla verità, ma ce ne allontana progressivamente attraverso un complesso gioco di specchi e riflessi.
In Strategia del ragno, l’uso del flashback è depistante. Prendiamo come esempio la sequenza del leone fuggito dal circo. Qui, il passaggio tra presente e passato non è dichiarato: tutto si confonde vertiginosamente. Come scrive Casetti, «si parte da un rapporto quasi occasionale [col passato], per arrivare ad una vera e propria fusione. (…) Passato e presente entrano sorprendentemente nella stessa inquadratura e tendono così a diventare lo stesso tempo»17. Uno dei topoi del cinema della modernità, quello di sovrapposizione tra passato e presente – magari nella stessa inquadratura18 –, contribuisce a creare, in Strategia del ragno, uno stato di confusione e incertezza dovuto alla sovrapposizione tra identità identiche e differenziali: i “due” Athos Magnani. «Ne deriva un nuovo statuto della narrazione: la narrazione cessa d’essere veridica, cioè di pretendere al vero, per farsi sostanzialmente falsificante (…) perché pone la simultaneità di presenti incompossibili o la coesistenza di passati non-necessariamente veri»19. È la «potenza del falso» – per usare ancora la terminologia deleuziana – tradotta filmicamente attraverso un lavoro di specchi e ripetizioni che coinvolge, dunque, anche la rappresentazione del tempo cinematografico.

Nella sequenza del leone, presente e passato convivono: Draifa sta narrando il fatto, e alle sue spalle assistiamo all’evento.

Ma la ripetizione come falsificazione, nel film, è altresì evocata dai numerosi riferimenti all’universo del teatro – nonché, ovviamente, dalla teatralità della messa in scena.
Luogo per eccellenza dove si rappresenta e si simula, il teatro non è infatti solo quello di Tara, dove, sulle note del Rigoletto di Verdi, si sarebbe dovuto compiere l’attentato al Duce. La città stessa diviene un vasto teatro di posa dove si recita (si ripete) un testo non scritto. Tara, paese fantastico il cui nome rievoca la storia del cinema (Via col vento [Gone with the Wind, Victor Fleming, 1939]), è luogo in cui il passato è solo messa in scena, finzione. E a questa messa in scena “tutto il popolo di Tara vi parteciperà, senza sapere. Tutta Tara diventerà un grande teatro.” Un piano, quello progettato dal padre di Athos, che prende ispirazione dai grandi maestri: come ricordano i suoi amici, infatti, egli “copiava, copiava… prendeva spunto da Shakespeare, dal Macbeth, dal Giulio Cesare”.
Copiare, ripetere. Edificare un passato mai esistito; una fitta rete di menzogne per avvolgere l’intera città. Come la tela di un ragno.

Il teatro di Tara.

Athos aiuta un amico del padre a riavvolgere lo schermo di un cinema all’aperto. Il posizionamento della macchina da presa suggerisce l’idea di un tendone alzato su Tara.

Athos-padre illustra il proprio piano agli amici che hanno smascherato il suo tradimento. Ripreso in silhouette, la sua ombra si staglia su Tara, luogo in cui tesserà il proprio inganno.

In questo labirinto che è Tara, dove il tempo pare essersi fermato, la verità, ad Athos, continua a sfuggire. E «quando manca la coscienza del sapere o l’elaborazione del ricordo, il sapere così come è in sé non è altro che la ripetizione del suo oggetto: è recitato, vale a dire ripetuto, messo in atto invece d’essere conosciuto. (…) Sulla scena l’eroe ripete, perché è separato da un sapere essenziale infinito.»20 Serve dunque uno scarto tale da permettere un movimento in avanti, differenziale, per elaborare freudianamente il ricordo; una ripetizione che consenta ad Athos di scoprire la verità sul padre. Ciò avverrà verso la fine del film.
Il giovane sta assistendo all’esecuzione del Rigoletto dal balconcino del palco. Di fronte a lui siedono i tre amici del padre, Gaibazzi, Rasori e Costa. Più volte la macchina da presa cambia la messa a fuoco, prima inquadrando il balcone dei tre compagni, e poi, successivamente, il volto di Athos. Questo cambio di focale accompagnata da un minimo movimento di macchina – che si chiude sempre con una dissolvenza in nero – mostra uno scarto: ogni volta, sul balconcino di fronte, è presente un personaggio in meno. In più, si inserisce la ripresa di un esterno (uno splendido “notturno” di Tara) che altera la simmetria della sequenza. È attraverso questa ripetizione differenziale, al contempo filmica (la messa a fuoco e il movimento) e profilmica (l’uscita di campo, quasi rituale, dei tre uomini per compiere l’omicidio), in cui si ripete un evento del passato, che Athos intuisce infine la verità.

strategia del ragno - collage

Eppure, nonostante l’avvenuta risoluzione della detection e la «rielaborazione del ricordo», il film si chiude con un ulteriore impasse.

 

La verità non porta da nessuna parte. Una conclusione

Dopo aver sciolto la fitta rete di inganni che avvolgeva Tara, rivivendo l’esperienza paterna21, Athos vorrebbe lasciare il paese: il giovane ha deciso difatti di non rivelare la verità agli abitanti della città, e di mantenere così intatto il segreto del padre. Ma, una volta giunto in stazione, Athos si ritrova nuovamente “bloccato”: il treno che dovrebbe riportarlo a Parma comincia a tardare. Il film si chiude così nel luogo dove era cominciato, in stazione, ma l’incipit – che, come nota Casetti22, contiene un omaggio al lumièriano L’Arrivée d’un train à La Ciotat [id., 1895] – non trova corrispondenza nel finale. La panoramica verso sinistra che apriva Strategia del ragno non si chiuderà mai, restando sospesa. La sostituisce, piuttosto, un carrello laterale verso destra; un movimento che rivela allo spettatore le erbacce che avvolgono i binari, probabilmente inutilizzati da molto tempo.

L’arrivo di Athos a Tara è presentato attraverso una panoramica.

Un carrello laterale ci mostra le erbacce che coprono i binari.

Il passato ha dunque imprigionato Athos. Egli è un fantasma che, con tutta probabilità, non ha mai davvero raggiunto Tara – e che sicuramente non la lascerà mai. Il passato non è mai morto e non è nemmeno mai passato, aveva scritto William Faulkner, e Strategia del ragno, questo, lo conferma con forza.
Il film abbraccia dunque un’idea di cinema moderno che nega al proprio eroe un futuro positivo, privandolo al contempo di un avvenire e di un passato23 – ché il passato di Athos è solo quello del padre. Bertolucci, che con Strategia del ragno e Il conformista [1970] tenta di uccidere i propri maestri (Pasolini e Godard), mette qui in scena, sintomaticamente, una storia di padri che imprigionano i figli. E il finale del film non fa altro che sancire questo stallo definitivo.
Congelato nel non-tempo di Tara, Athos si trova condannato, come fu per Drogo ne Il deserto dei tartari, ad aspettare, aspettare… E come nel capolavoro di Buzzati, qualcosa ci fa supporre che la sua lunga attesa, alla fine, non verrà ricompensata.

Tara.

 

NOTE

1. Tratto dall’intervista contenuta in F. Casetti, Bernardo Bertolucci, La Nuova Italia, Firenze, 1976, p. 2.

2. Ivi, p. 16.

3. In Italia, il film è stato aspramente criticato da Fofi (G. Fofi, «Quaderni Piacentini», n° 42, 1970) ma difeso da Rondi (G. L. Rondi, «Il Tempo», 1970) e Kezich (T. Kezich, «Il Millefilm», Milano, 1977). Più unanime appare invece il responso critico in Francia, con i giudizi più che positivi dell’«Ecran» (M. Martin, «Ecran», n° 1, gennaio 1972), «Cinéma» (P. Billard, «Cinéma 72», n° 62, gennaio 1972) e «Le Monde» (J. de Baroncelli, «Le Monde», Novembre 1971).

4. La speculazione filosofica attorno al tema della «ripetizione» è sfaccettata e complessa, e non è di certo questa la sede giusta per affrontarlo. Vogliamo però perlomeno citare il fondamentale testo di Gilles Deleuze Differenza e ripetizione, edito in Italia da Cortina Editore. Prendendo le mosse dagli studi compiuti su Nietzsche e l’eterno ritorno (già affrontati nel precedente Nietzsche e la filosofia), qui il filosofo francese definisce ulteriormente il proprio pensiero attorno l’idea di una ripetizione del similare in senso non esclusivamente negativo (e dunque stagnativo), ma vitalmente positivo, come movimento in avanti creativo e dinamico. E dunque differenziale.

5. T. Jefferson Kline, I film di Bernardo Bertolucci, Gremese, Roma, 1993, p. 74.

6. Intervista citata.

7. Gli esempi sarebbero troppo numerosi per elencarli tutti. Preferiamo ricondurci all’analisi proposta da Paolo Bertetto ne Lo specchio e il simulacro, edito da Bompiani.

8. Cfr. Metz, Cinema e psicanalisi, Marsilio, Venezia, 2002.

9. T. Jefferson Kline, Op. cit., pg. 69.

10. Vera e propria ossessione borgesiana, il labirinto è tematicamente presente in gran parte della bibliografica di Borges. Pensiamo, ad esempio, a La biblioteca di Babele ed a Il giardino dei sentieri che si biforcano, entrambi contenuti in Finzioni.

11. J. de Baroncelli, «Le Monde», 30.11.1971.

12. http://www.sentieriselvaggi.it/film-in-tv-strategia-del-ragno-di-bernardo-bertolucci/

13. F. Prono, Teatralità e messa in scena in Strategia del ragno di Bernardo Bertolucci, in R. Tessari (a cura di), Frammenti di un discorso sullo spettacolo, Edizioni del Dams di Torino, Torino, 2003, p. 308.

14. P. Billard, «Cinéma 72», n° 62, gennaio 1972.

15. T. Jefferson Kline, Op. cit., p. 70.

16. G. Deleuze, Cinema 2: L’immagine-tempo, Ubulibri, Milano, 2006, p. 62.

17. F. Casetti, Op. cit., p. 66.

18. Pensiamo, ad esempio, all’uso del flashback nel cinema di Theo Angelopoulos, dove passato e presente spesso convivono nella medesima inquadratura (La recita [O Thiasos, 1975]; Lo sguardo di Ulisse [To vlemma tou Odyssea, 1995]).

19. G. Deleuze, Op. cit., p. 148.

20. G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1997, pp. 24-25.

21. F. Casetti, Op. cit., p. 63.

22. Ivi., p. 64.

23. Raymond Bellour, confrontando incipit ed excipit in Gigi [id., Vincente Minnelli, 1958], notava che, in un sistema classico, la differenza tra due situazioni simili è spesso sinonimo di un superamento di una situazione verso un “futuro” se non necessariamente positivo perlomeno differente. Cfr. R. Bellour, L’analisi del film, Kaplan, Torino, 2005, pp. 206-227.