La vita non è una tragedia in primo piano ma una commedia in campo lungo.
– Charlie Chaplin

Joker [id., 2019] è diventato in poco tempo un fenomeno mediatico. Alla première a Venezia le reazioni della critica sono state molto eterogenee tra grida di giubilo e risolini di scherno, ma il film ha comunque vinto il Leone d’oro battendo il favorito Polanski con il suo L’ufficiale e la spia [J’Accuse, 2019]. Ai Golden Globe Joaquin Phoenix è stato premiato come miglior attore e l’artista islandese Hildur Guðnadóttir ha ricevuto il riconoscimento per la migliore colonna sonora. Per quanto riguarda il pubblico, sia in America che in Europa Joker ha ottenuto subito incassi strepitosi arrivando a un totale di 29,3 milioni di euro nel nostro paese nelle prime dodici settimane di programmazione (dati da MyMovies1) e 1,062,994,002 miliardi di dollari in tutto il mondo (dati al 03/01/2020 da IMDB2, record assoluto per un film R-rated). Todd Phillips riprende il discorso sulle discrasie e perversioni dell’American Dream iniziato con la Trilogia di Una notte da leoni (The Hangover, 2009; The Hangover – Part II, 2011; The Hangover – Part III, 2013) e con il film Trafficanti [Dogs War, 2016] e alza ancora di più il tiro spostando l’analisi nei primi anni 80 e precisamente nel 1981 che è anche l’anno dell’elezione di Ronald Reagan a presidente. Stavolta il tono da commedia viene stemperato nel dramma esistenziale di Arthur Fleck (Joaquin Phoenix), clown di strada che sopravvive facendo il sandwich-man per la pubblicità di locali di Brooklyn o esibendosi in mini-spettacoli di intrattenimento per bambini malati. Vive in un appartamento fatiscente con l’anziana madre Penny (Frances Conroy) e soffre di una particolare patologia caratterizzata da scoppi di riso incontrollabile soprattutto nei momenti di forte emozione. Todd Phillips segue l’evoluzione del personaggio che da alienato e disadattato si trasforma attraverso il rapporto con le due figure paterne surrogate (il comico Murray Franklin interpretato da Robert De Niro e il politicante Thomas Wayne impersonato da Brett Cullen) in assassino psicotico e simbolo rivoluzionario. Durante questa evoluzione esponenziale Arthur mette alla prova il proprio orientamento sessuale immaginando una storia di amore con la bella vicina Sophie Dumond (Zazie Beetz). La soppressione della figura materna è il punto di non ritorno verso la acquisizione di una figura non più regressivo/infantile, ma una chimera sessuale in cui l’ipersensibilità diventa capacità di vedere oltre.

La patologia narcisistica

Il narcisista vede la società come divisa in due gruppi che corrispondono da un lato alle celebrità, dall’altro alle persone mediocri come lui. Il narcisismo può essere affrontato come un arresto dello sviluppo normale del sé. Arthur Flech utilizza due tipi di transfert: il transfert dello specchio e il transfert idealizzante3. Nel primo è costante la presenza di un io arcaico e grandioso che recita per la madre nella speranza di riacquistare la perfezione perduta nell’infanzia; il secondo è collegato a un tentativo da parte del sé non sviluppato di riconquistare la perfezione perduta incorporando una figura parentale maschile idealizzata. Gli abusi subiti da Arthur durante l’infanzia con la complicità della madre folle hanno comportato la frattura dello specchio identitario e la frantumazione della personalità. Nell’incipit del film vediamo Arthur davanti allo specchio nello sforzo di tramutarsi da nessuno in qualcuno: le prove della messa in scena sono tutte nel forzare il sorriso dal pianto anche se una lacrima scorre a rivelare la sofferenza di questo processo interiore estremamente conflittuale.

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All’inizio questo spettacolo è messo in scena per convincere la propria madre (“put on a happy face!”) e cercare di riscattare una vita di miserie e di alienazione. Il pagliaccio di inizio film è più gioioso, danza sulla musica Temptation Rag di Henry Lodge ed esibisce il cartello “Everything Must Go” che è un po’ il simbolo dell’ottimismo degli anni ’80, l’equivalente del reaganiano “Think Pink!”. Ci pensa subito un gruppo di teppistelli di Brooklyn a rovinare la giornata al povero Arthur che si ritrova con il cartello pubblicitario frantumato in faccia. Mentre è a terra stordito, quasi come una beffa, dal fiore finto esce un po’ di acqua.

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Todd Phillips inquadra subito le difficoltà di relazione di Arthur con il mondo circostante: problemi con il suo datore di lavoro, rapporti conflittuali con alcuni colleghi che gli mettono in mano una pistola (la militarizzazione del cittadino per difesa personale), le sofferenti sedute con la psicologa della sanità pubblica che presto svaniranno per mancanza di fondi, la risata irrefrenabile che lo isola dal prossimo, la vicina di colore che sembra indicare una via di fuga immaginaria da tutto questo marciume. I giorni passano tutti uguali e Arthur è visceralmente legato alla madre: la accudisce, la pettina, la lava in una intimità crescente sottolineata dalla canzone romantica The Moon Is a Silver Dollar mentre i due sono in bagno.

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(Deca)dancing

Sin dai primi momenti Arthur rivela una particolare tendenza al ballo e alla pantomima. Al suono del violoncello ipnotico di Hildur Guanodittir, vediamo provare allo specchio movimenti proteiformi, evoluzioni articolate, danze di tipica impronta classica. Sembra quasi voglia inseguire un modello femminile, rinunciare alla virilità per la leggerezza fino ad un inchino in attesa dell’applauso del pubblico. Ma nello stesso istante si avverte che qualcosa si è rotto, che si è innescato un processo irreversibile psicotico che traghetta Arthur dalla nevrosi d’ansia alla psicosi maniaco-depressiva.

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Rimane iconica la sua prova di ballo sulla scalinata di Brooklyn al ritmo di Rock and Roll part 2 di Gary Glitter. A proposito dell’utilizzo di questa canzone è divampata la polemica perché Glitter si trova attualmente detenuto per reati di pedofilia e potrebbe godere dei diritti d’autore: in realtà la Snapper Music ha precisato che è lei l’unica beneficiaria e nemmeno un soldo entrerebbe nelle tasche del cantante inglese4. Che Arthur vittima di abusi infantili si dimeni proprio sulle note di Rock and roll part 2 è chiaramente un paradosso, quasi un tentativo di esorcizzare il male in una danza catartica e liberatoria

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Movimenti psicotici simili a quelli di Travis Bickle in Taxi Driver [id, 1976] sono le prove mimate di sparo mentre scorrono le musiche in Tv di Slap That Bass di George e Ira Gershwin da Voglio danzare con te [Shall We Dance, 1937] con Fred Astaire. Anche qui classico e moderno faticano a collidere e Arthur in maniera un po’ goffa fa partire un colpo che per fortuna non ha conseguenze. Il ballo coi bambini oncologici è invece una recita sul ritornello di If You are Happy And You Know It e qui il momento di tenerezza si rivolta in farsa sempre per colpa della stessa pistola che scivola in scena con effetto grottesco. A volte è lo stesso Arthur a subire canzoni di scherno come quando in metropolitana viene circondato dai tre yuppies ed uno dei tre gli urla in faccia “Send In The Clowns”. L’esibizione di Arthur come comico da Pogo’s (il nome Pogo richiama il serial killer John Wayne Gacy che negli anni 70 dietro la maschera di pagliaccio da festa nascondeva la violenza pedofila e che ispirò Stephen King per il suo It5) ha poco di danzante, interrotta dalla solita risata-pianto e si conclude ancora con la canzone beffa “Send In The Clowns”, simbolo di un Pierrot triste esposto al pubblico ludibrio. Una società che non riesce a difendere le persone più sfortunate e deboli è una società in decadenza.

Le figure surrogate paterne 

Il sogno narcisista di Arthur è quello di potere diventare un grande comico della televisione. Il modello cui ispirarsi è Murray Franklin (Robert De Niro) che fa venire subito in mente il Rupert Pupkin di Re per una notte [The King of Comedy, 1983] di Scorsese. La ricerca narcisistica dell’eroismo da parte di Rupert/Arthur non è più o meno assurda della necessità da parte della società di trasformare personaggi come Rupert/Arthur in oggetti da idolatrare. Nella parte iniziale del film Arthur sogna di essere invitato allo show televisivo e di essere apprezzato e applaudito. Nella realtà andrà invece tutto diversamente. La società dello spettacolo non tollera personaggi mediocri e Murray accortosi della totale inabilità di Arthur nel poter condurre un monologo comico sfrutta questa situazione per una gigantesca presa in giro. Il padre umilia il figlio ridendo di lui in mondovisione: lo smacco per Arthur è ancora più doloroso perché viene da una figura da lui idealizzata. Sempre attraverso la televisione Arthur segue la candidatura a sindaco di Gotham City da parte del ricco Thomas Wayne: la città è insicura, percorsa da moti di violenza e di ribellione, aggredita da mega-ratti. La svolta reazionaria di Thomas Wayne non è diversa da quella di Ronald Reagan negli anni 80 o di Donald Trump nel contemporaneo. Se la crisi economica ha reso tutti più insicuri la migliore cura è l’uomo forte, ricco e carismatico, che promette un inasprimento delle pene e la messa al bando dalla città di tutti i soggetti ritenuti indesiderati. Magari ci si può distrarre dai problemi interni inventandosi una guerra contro un nemico immaginario. Non c’è più spazio per i freaks. Nel momento in cui Arthur viene a sapere dalla madre che Thomas Wayne potrebbe essere suo padre perché la donna ebbe una relazione quando era alle sue dipendenze, allora scatta un meccanismo di identificazione. Forse si può vivere la stessa vita dorata di Bruce Wayne. La rivendicazione di Arthur/Joker non ha niente a che vedere con la lotta di classe; anzi, come nel caso del contemporaneo Parasite [id., 2019] di Bong Joon-ho il povero cerca di farsi accogliere dal ricco per parassitarne le sostanze e per vivere di luce riflessa. Non c’è alcuno spirito eversivo, rivoluzionario o proto marxista. Non si vuole l’uguaglianza sociale ma il privilegio della classe più potente: questo è un po’ il discorso che accomuna il freak Arthur ai sottoproletari sudcoreani. La scena chiave che spiega i rapporti tra Arthur e la celebrità è quella della proiezione di Tempi moderni [Modern Times, 1936] di Chaplin organizzata dall’alta borghesia di Gotham City. Arthur si fa strada tra la folla in tumulto (che invece ha forti rivendicazioni politiche nei cartelli “Kill the rich” e Wayne=Fascist), si mette la divisa della maschera da cinema e si intrufola dentro al teatro. Qui per la prima volta sorride sinceramente vedendo le evoluzioni equilibriste di Charlot sui pattini. Il cinema restituisce al nostro sguardo il mondo che desideriamo. Unico momento di felicità pura.

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Nel bagno Arthur ha l’incontro con quello che lui crede il suo padre naturale impegnato nella minzione. Todd Phillips organizza la scena in modo da mostrare i personaggi davanti allo specchio. Mentre Arthur proietta davanti a sé l’immagine di un futuro migliore per sé e per la madre, Thomas Wayne vede dietro le sue spalle un freak pericoloso che potrebbe importunare ancora il figlio Bruce e spezza il falso legame edipico rivelando ad Arthur la sua adozione in tenera età. Arthur non è il figlio di Thomas Wayne ma nemmeno della madre Penny: tutto il castello di carte creato dalla mente malata di Arthur crolla miseramente: al danno della verità rivelata si aggiunge la beffa di un gran pugno in faccia, come il cartellone dell’incipit.

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Lo specchio narcisista di Arthur subisce un colpo irreversibile perché non crolla semplicemente una figura totemica ma viene messa in discussione la veridicità delle parole della madre, anche lei vittima della sindrome da celebrità riflessa3. La immaginazione ha sostituito la realtà stravolgendola: il desiderio di essere la moglie o il figlio dell’uomo più potente di Gotham City si è trasformata in psicosi ossessiva in cui la verità viene negata, spostata, rimossa e infine ribaltata. La regressione di Arthur e della madre condotta attraverso la manipolazione dei ricordi del passato e il fraintendimento dei fatti del presente diventa follia suicida/omicida. Se la madre sceglie l’autoannullamento, Arthur, come in una reazione opposta nelle intenzioni ma uguale nella intensità, dirige i suo sforzi verso l’abbattimento delle figure d’autorità. Il desiderio di emergere, di essere unico al mondo derivano da questa deviazione narcisistica per cui un essere deve sentire sé stesso come oggetto di valore primario: primo nell’universo che riassume in sé l’insieme dei viventi, costruendo con successo un’immagine vincente che è così attraente per le masse da catapultarlo in una posizione di celebrità.

Celebrity

Nella società dello spettacolo non conta ciò che un uomo fa, conta solo che ce l’abbia fatta. I destini paralleli di Travis Bickle e di Rupert Pupkin rispettivamente in Taxi Driver e Re per una notte [The King of Comedy, 1983] dimostrano che in una società ossessionata dai mass media come quella occidentale un individuo con seri disturbi della personalità può incredibilmente essere elevato al rango di eroe o di modello da imitare. La scena dell’esibizione di Joker nello studio televisivo semplifica il discorso sullo sciacallaggio del dolore e sulla ricerca di sensazionalismo della società contemporanea. Prima di entrare nel salotto degli ospiti Joker riprova la sua gestualità rituale quasi a battezzare i suoi quindici minuti di celebrità. Ha soppresso la figura materna e ora si appresta ad eliminare l’altro genitore. Non c’è più da ridere o sorridere, non è più il tempo di indossare la faccia felice. In un certo senso Arthur si appropria della figura materna e la interiorizza come il Norman Bates di Psyco [Psycho, 1960]. L’angoscia e il vuoto interiore potranno essere colmati solo da un applauso, da un gesto folle che fa irrompere la violenza nelle case degli americani. Lo studio televisivo coloratissimo disegnato sul modello del The Tonight Show Starring Jimmy Carson (1962) è lo sfondo su cui si muove il grido di protesta di Arthur, umiliato e offeso.

Have you seen what it’s like out there, Murray? Do you ever actually leave the studio? Everybody just yells and screams at each other. Nobody’s civil anymore. Nobody thinks what it’s like to be the other guy. You think men like Thomas Wayne, men at ease, ever think what it’s like to be a guy like me? To be anybody but themselves.They don’t. They think we’ll all just sit there and take it like good little boys. That we won’t werewolf and go wild. Well, this is for all of you out there6.

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Queer Joker (Joker mezzo e mezzo)

Ma quale è la differenza tra il Joker di Todd Phillips e i precedenti Joker cinematografici? Lasciando da parte quello di Cesar Romero del 1966 e l’ultimo di Jared Leto in Suicide Squad [id, 2016] anche i precedenti più famosi, quello di Jack Nicholson nel Batman [id, 1989] di Tim Burton e la versione di Heath Ledger in Batmam – Il Cavaliere Oscuro [The Dark Knight, 2008] di Nolan sembrano abbastanza distanti fisicamente e filosoficamente. Non c’è la follia sadica iconoclasta o l’intento anarcoide e destabilizzante consapevole. Il Joker di Joaquin Phoenix è una figura scheletrica, anoressica, ossuta come in un quadro di Egon Schiele: i suoi movimenti teatrali richiamano l’espressionismo queer di Lindsay Kemp e la danza televisiva di The Old Soft Shoe di Ray Bolger nel 1957 (l’attore ha dichiarato in un’intervista questo modello7).

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La figura magra e malsana del Joker non può non ricordare la trasformazione fisica di Christian Bale per il suo Uomo senza sonno [The Machinist, 2004]. La cura e l’attenzione con cui Joaquin Phoenix si trucca e prova i colori delle sue maschere appartengono più ad un immaginario eccentrico, simbolo di una identità sessuale non propriamente definita. La stessa intonazione di voce dell’attore (apprezzabile nella versione originale del film) quando si trova nello studio televisivo cambia da cupa e rauca a stridula e ghignante, quasi un verso dell’intonazione materna. Arthur rimprovera Murray Franklyn come una madre furibonda, che tiene in pugno il figlio per il solo fatto di averlo messo al mondo. Alla regressione fanciullesca colma di ingenuità e stupore, il nuovo Joker sostituisce una violenza fredda e calcolata che tende a sublimare tutte le offese e tutte le ingiustizie subite. È un essere fuori dal normale, fuori dal genere sessuale, che riesce filosoficamente a trasformare la possibilità in necessità. Joker è come Batman, un prodotto naturale di Gotham City, ed è il nemico che questa città merita. Ma non nel senso anarchico di Heath Ledger o iconoclasta di Jack Nicholson. Qui siamo più dalle parti dei Freaks [id, 1932] di Tod Browning, come quando Joker riconosce nel nano Gary (Leigh Gill) un fratello nella umiliazione e sofferenza (“E’ uno di noi!”). Non solo quindi uno “Zorro mezzo e mezzo” (Zorro The Gay Blade del 1981 campeggia in bella mostra in una insegna di un cinema insieme a Excalibur [id.] e Blow Out [id.], sempre dello stesso anno) ma anche un Joker mezzo e mezzo che organizza la rivolta dei disadattati contro i razzismi e le intolleranze dei cosiddetti normali. L’io castrante materno viene incanalato in una confabulazione isterica che sfocia nel gesto fulmineo e mortale, come le coltellate in un occhio o lo sparo in faccia. Abortire i figli come i sogni.

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Più che ai riferimenti cinefili si dovrebbe cercare di dare uno sguardo ai fumetti. Qui troviamo sicuramente più di una analogia. Il materiale dal quale Todd Phillips sembra attingere a piene mani è The Killing Joke (1988), il graphic novel di Alan Moore e Brian Bolland8. La citazione del “bad day” è molto precisa: «Ho dimostrato la mia teoria. Ho provato che non c’è nessuna differenza tra me e gli altri! Basta una brutta giornata per ridurre alla follia l’uomo più assennato del pianeta. Ecco tutta la distanza che c’è tra me e il mondo. Una brutta giornata.» (The Killing Joke) Anche la possibilità che tutta la storia vissuta da Joker sia semplicemente un parto della immaginazione di un pazzo imprigionato all’Arkam State Hospital (la coincidenza della figura della psicologa di colore interpretata da Sharon Washington potrebbe esserne una conferma) è menzionata proprio in The Killing Joke e regala al film una variante onirica che rimette in discussione tutta la storia.

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That’s life (that’s what people say9)

Il trionfo della morte avviene quando attraverso la TV il caos interiore di un singolo individuo diventa rivolta collettiva, espandendosi a macchia d’olio per le strade di Gotham City. La diffusione metastatica degli schermi televisivi è una citazione piuttosto esplicita da Quinto potere [Network, 1976] di Sydney Lumet e da Osterman Weekend [The Osterman Weekend, 1983] di Sam Peckinpah.

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Sulle trascinanti note di White Room dei Cream, il “king of tragedy” prende possesso della città come “king of comedy” in campo lungo: vetrine distrutte, incendi, atti di teppismo. Il corpo del Joker prima esanime sul cofano di una macchina viene portato in trionfo dai rivoltosi. Con il sangue si disegna il sorriso sul volto tumefatto (“smile though your heart is aching, smile even though is breaking”) e ci si appresta a guidare la folla inferocita contro i simulacri del potere, economico, finanziario e politico.

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La folla riconosce in Joker la proiezione delle proprie paure e frustrazioni, Arthur Fleck ritrova nella gente acclamante quell’io frantumato e disperso dalla madre schizofrenica e da figure paterne millantatrici. Questa è la vita, pazza come può sembrare, puoi prendere la tua dose di calci camminando sui sogni e puoi essere un burattino, un povero, un pirata, un poeta, un pedone o un re9. E alla fine di quel corridoio invaso dalla luce c’è la realtà contingente che ti si avvolge addosso come una camicia di forza. Ma in fondo a quella luce bianca , nel sorriso e nel pianto, nel singhiozzo e nella risata, Joker finisce per diventare insieme ritratto conoscitivo e messa in crisi di una società in decadenza.

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NOTE

1. https://www.mymovies.it/film/2019/joker/

2. https://www.imdb.com/title/tt7286456/

3. Glen O Gabbard, Krin Gabbard. Cinema e Psichiatria, Raffaello Cortina Editore, 2000.

4https://www.virginradio.it/news/rock-news/307380/joker-gary-glitter-non-ricevera-le-royalties-per-lutilizzo-di-rock-and-roll-part-2-nel-film-con-joaquin-phoenix.html

5. https://steemit.com/ita/@martacantatore/serrial-killer-3-la-veria-storia-di-it-il-clown-assassino

6. https://pmcdeadline2.files.wordpress.com/2019/12/joker-script-final.pdf

7. https://www.comicsuniverse.it/joker-joaquin-phoenix-racconta-la-sua-preparazione-al-ruolo-come-ha-perso-25kg-e-come-ha-sviluppato-la-sua-danza/

8. https://movies.gamesource.it/joker-tutti-i-riferimenti-al-fumetto-e-al-mondo-di-batman/

9.https://it.wikipedia.org/wiki/That%27s_Life_(brano_musicale)