Ascolta il podcast su:
Spotify

Disco Elysium [ZA/UM, 2019] è un videogioco sull’assurdo. Non soltanto racconta dell’assurdo e lo rende giocabile, ma arriva a riflettere sull’assurdità di ogni esperienza virtuale o ludica.

Anzitutto, è opportuno (seppur brevemente) definire che cosa intendiamo per ‘assurdo’. Vogliamo riprendere l’idea di assurdo così come ce la consegnano alcuni filosofi esistenzialisti, e nello specifico Albert Camus (a cui si deve un riaggiornamento delle radici assurdiste del pensiero di Søren Kierkegaard, ma il cui rapporto con l’esistenzialismo non è così scontato, ma di questo dovremmo discutere in altre sedi). Secondo Camus, l’assurdità dell’esistenza si genera dal confronto tra uomo e mondo: è il «divorzio»1 tra un mondo irragionevole per definizione (che sia irragionevole «è tutto ciò che si può dire»2) e il desiderio di chiarezza dell’uomo, ovvero nasce da una domanda senza risposta – l’uomo che chiede e interroga, il mondo che tace.

Più o meno esplicitamente, e più o meno compiutamente, molti videogiochi rendono giocabile questa assurdità: per fare un esempio tra i tanti, basti pensare a Planescape: Torment [Black Isle Studios, 1998], di cui Disco Elysium recupera la struttura, il genere (RPG all’occidentale con visuale dall’alto e focus sui dialoghi) e alcune intuizioni. In Planescape: Torment si gioca nei panni di un protagonista privo di memoria, già morto, costretto a esplorare numerosi piani dell’esistenza alla ricerca di sé stesso. L’assurdo in Planescape: Torment sta proprio nell’alienità di chi gioca e del protagonista rispetto al mondo finzionale presentato. Il tropo del personaggio amnesico, esteso a diventare motore dell’azione e del racconto nel suo complesso, diventa il motivo per muovere un soggetto a una scoperta di sé e del mondo che vanno in parallelo. Proseguendo, non soltanto si apprendono le deliranti leggi del multiverso di Planescape, ma soprattutto i fatti del terribile passato del personaggio che si controlla. L’indagine porta a un confronto impossibile: la sfida finale del gioco consiste letteralmente nell’affrontare sé stessi.

In Planescape: Torment, il protagonista deve non soltanto capire il complesso funzionamento di un intero multiverso, ma anche fare i conti con un passato che ha dimenticato.

Recuperando l’archetipo del personaggio immemore che scopre il mondo e il suo stesso passato, di cui già altrove si sono discusse le implicazioni esistenziali,3 Disco Elysium racconta di un mondo molto meno fantastico del multiverso di Planescape e di un protagonista molto più terreno di un non-morto ricoperto di cicatrici. Dal fantasy al retro-futurismo, dal mostro senza morte al poliziotto alcolizzato – Disco Elysium presenta, fin dai primissimi minuti, un contesto narrativo ben meno altisonante: in Planescape ci si sveglia in una fornace popolata di zombie e negromanti, qua in una camera da letto distrutta, in mutande, e con postumi micidiali. Harry non è un possente titano e il mondo fuori dalla sua stanza non è un multiverso popolato di stregoni, diavoli e spiriti di assoluta potenza. È un poliziotto alcolizzato continuamente in dialogo con parti del suo stesso cervello, e si trova in un quartiere devastato da una guerra finita da tempo. Il suo mondo è popolato di fantasmi, non di mostri: siamo in un sobborgo dimenticato, dove la gente viene per nascondersi o per lasciarsi alle spalle il passato. E siamo qua per investigare su un caso di omicidio, per quanto ce ne siamo scordati a causa (forse) di una folle sbronza autodistruttiva. Di Planescape, Disco Elysium eredita comunque il parallelo tra scoperta del sé e scoperta del mondo: il gioco le fa aderire l’una all’altra pur impedendo un confronto risolutivo finale – evitando quindi di proporre una chiave di lettura definitiva sul protagonista o su Revachol (la capitale in cui si ambienta).

All’inizio di Disco Elysium ci troviamo confusi e seminudi in una stanza distrutta. La prima delle indagini del gioco consiste proprio nel trovare il colpevole della devastazione che ci circonda – e si conclude con una deduzione inevitabile: siamo stati noi.

Il fatto che Harry sia un poliziotto e che l’azione ruoti attorno a un caso di omicidio è del tutto significativo per il nostro discorso. Vorremmo partire proprio da qua per parlare dell’assurdo in Disco Elysium.

Chi gioca si trova infatti nel bel mezzo di un’indagine di cui, con tutta probabilità, non gli interessa nulla. Non solo: perfino il protagonista non ha motivo di interessarsene. La sua vita è alla deriva: ha perso la memoria, è perseguitato da incubi e da voci nel cervello, è fisicamente e psicologicamente allo sbando senza sapere perché. Eppure, si trova a indagare sul presunto linciaggio di un uomo. Abbinato alla disperazione e allo struggimento interiore del protagonista, questo disinteresse trasforma l’indagine al centro del titolo in qualcosa di pretestuoso. Malgrado questo, Harry sembra essere un bravo detective, comunque si affronti l’avventura (significativo a tal proposito che non si possa fallire, e che il caso, vada come vada, venga risolto). Come per l’uomo assurdo secondo Camus, «tutto comincia dall’indifferenza perspicace».4 In questo senso, Disco Elysium racconta di un’indagine assurda in quanto, per chi risolve il caso (Harry/chi gioca), la sua risoluzione è del tutto indifferente: c’è un mondo intero da conoscere, c’è un passato personale da ricostruire, e le scaramucce tra bande criminali (o quel che sono) sembrano tutt’altro che interessanti. In Planescape: Torment tutto ruota attorno alla scoperta del passato del protagonista e, di riflesso, del multiverso in cui ha vissuto innumerevoli volte. Qua, al centro dell’azione c’è la invece la risoluzione di un caso. E non un caso destinato a ribaltare le sorti del mondo: un omicidio come tanti altri. I segreti del mondo di gioco e del passato del protagonista restano sullo sfondo, la sua redenzione in secondo piano: c’è da trovare un colpevole in una manciata di giorni, c’è da staccare un cadavere da un albero, c’è da cercare un pacchetto di sigarette da fumare al più presto.

Su questo discorso narrativo si innestano gli obbiettivi del gioco. Pur ricalcando la classica struttura a missioni del genere, Disco Elysium elimina la consueta suddivisione tra incarichi principali e secondari. Durante una prima esplorazione del quartiere ci si trova letteralmente sommersi di obbiettivi da compiere, molti affibbiati da personaggi a seguito di dialoghi o interrogatori, molti altri decisi arbitrariamente dal protagonista a seguito di un soliloquio. Se di norma nei giochi di ruolo le ‘missioni principali’ (ovvero quelle funzionali al raggiungimento dell’end-state del gioco) sono affiancate da tutta una serie di incarichi opzionali, come aiutare un passante o superare delle prove per raggiungere un tesoro nascosto, qua nulla indica che la risoluzione del caso di omicidio abbia un maggior peso rispetto ad altri compiti da svolgere. Questa mancanza di priorità rafforza l’impressione che l’indagine, malgrado sia il motore principale dell’azione, sia fondamentalmente insensata, o che abbia senso tanto quanto riuscire a esprimere la propria disperazione cantando al karaoke (una delle prime missioni che si possono accettare in gioco). In altre parole, per motivi ludici quanto narrativi, in Disco Elysium ci si trova a compiere un viaggio la cui meta è insensata, ottusa, e in cui sembra mancare un senso ultimo – un viaggio assurdo.

Le quest del gioco non sono organizzate in ordine di priorità, ma cronologicamente.

Per quanto riguarda l’«irragionevolezza» del mondo, Disco Elysium la ottiene sommando un marasma di informazioni, di nozioni e di concetti fino a rendere l’esplorazione di un piccolo quartiere il pretesto per far addentrare chi gioca in un universo di rara complessità storica, sociale e politica. In tutto questo marasma, di nuovo, è assente qualsiasi polarizzazione: non viene cioè fornita alcuna chiave di lettura privilegiata che metta in prospettiva individui, emotività, equilibri sopranazionali, ideologie, credi religiosi, espressività artistica e chissà quanto altro. Sta a chi gioca, mentre conosce questo mondo, orientarsi al suo interno e orientarlo di conseguenza. Forse, significativamente, le più profonde verità di Elysium sono ben sotto la superficie e ben al di là degli obbiettivi (e interessi?) di chi gioca – che vanno da risolvere il caso a ritrovare il proprio tesserino. Sono pochi i dialoghi da cui per esempio emerge che il mondo di gioco è destinato a scomparire, inghiottito da una sostanza che sembra annullare la materia (e che è comparsa perfino nel quartiere in cui si ambienta l’azione). L’indagine di Harry è sulla superficie di una infinita complessità tematica, in cui si accavallano gli echi delle ideologie politiche, delle derive culturali, della Rivoluzione e del suo fallimento, della monarchia e della Coalizione, senza che nessuno prevalga sull’altro e conquisti il centro della scena – tanto che i segreti più importanti di Elysium sono letteralmente lasciati ai margini ed è facilissimo arrivare alla fine del gioco senza neanche averli percepite come tali.

L’assurdo del vissuto individuale si intreccia con l’assurdità della storia (di cui non restano che rovine, e buchi dei proiettili sui muri – ma chi è stato fucilato in questo posto? E chi impugnava i fucili? E chi dava l’ordine di aprire il fuoco?); con l’assurdità dell’ideologia (di chi è la colpa di tutto questo? Cosa ha portato il mondo a questa deriva? È stato il fallimento della Rivoluzione?); con l’assurdità della fede e dell’arte; dell’io; forse addirittura del cosmo e dei suoi segreti (e del fatto che, come si dice a un certo punto, tutto è destinato a essere spazzato via in un battito di ciglia).

I protagonisti si imbattono sul sito di un’esecuzione e si interrogano su cosa sia successo in passato. Mentre passiamo in rassegna varie ipotesi, vediamo apparire sullo schermo fantasmi colorati in arancione che animano la scena. La Storia, in Disco Elysium, è un guazzabuglio di eventi complicatissimo di cui non restano che rovine.

Nell’ottica di una interpretazione assurdista del gioco è necessario poi riflettere sul suo finale. Il confronto finale con l’assassino raccoglie il senso di tutto Disco Elysium, in quanto fornisce risposte alla fatidica domanda sul perché si sia compiuto l’omicidio, e di fatto si sia quindi innescata la catena di eventi che ha portato Harry nel quartiere e fornito il pretesto per tutto ciò che accade nel gioco. Dal dialogo emergono svariati motivi. Ne prendiamo in esame quattro, nel tentativo di validare diverse interpretazioni del senso del gioco nel suo complesso.

– Per gelosia: perché aveva sviluppato una morbosa gelosia per la donna con cui stava la vittima – motivi individuali, passionali forse. Tutto Disco Elysium racconta in fondo di fantasmi, di individui abbandonati dal mondo e che hanno abbandonato il mondo, di solitudini che si intrecciano ai margini, tra droga, violenza e povertà. A Martinaise la solitudine è talmente spiazzante che anche un comunista che ancora lotta per la Rivoluzione, come il disertore, può trovare consolante la presenza di un monarchico nostalgico, ex-fascista e rancoroso come René Arnoux.

– Per motivi ideologici: perché il mercenario morto rappresentava ‘la mostruosità della borghesia’, e l’egemonia della Coalizione delle Nazioni che ha messo a tacere la Rivoluzione. Tutto Disco Elysium in fondo racconta di un mondo che è all’ombra di una sconfitta, e di un conflitto di cui si vedono ancora le rovine. L’assassino ha vissuto tra queste rovine, vi ha trovato rifugio, ha fatto uso dei vari bugigattoli in cui cercavano rifugio i rivoluzionari. Il fantasma della rivoluzione comunista, ormai soppressa, torna allora a colpire inutilmente, sparando da una distanza di sicurezza e incarnato in un vecchio pazzo. Sembra però che ormai, a posteriori della storia, ci sia ben poco di rivoluzionario in questo omicidio.

– Perché l’assassino sperava di creare il caos. In una situazione tesa come quella dello sciopero in Martinaise e il conflitto con la Wild Pines, l’omicidio di un mercenario inviato a sedare la rivolta può fare da innesco per una guerriglia urbana. Che avviene, poco prima della fine del gioco, mietendo un numero variabile di morti. Disco Elysium parla anche di questo, dall’inizio alla fine: di un mondo fantasma in cui il conflitto è latente, per quanto restino soltanto le rovine, e pronto a esplodere di nuovo. Ecco allora che in un mondo che sembra vivere a posteriori della storia, la nostalgia di un militante comunista fa precipitare la società in una guerriglia in cui le cose tornino ad avere un senso e a muoversi dal torpore. Potremmo usare le parole di Baudrillard e dire che la nostalgia dell’omicida, in questo modo, abbia mirato a far tornare il presente a un tempo in cui «ancora le cose avevano un senso, e ancora la vita e la morte erano in ballo».5 Un mondo meno fantasma di questo.

– Infine, forse, anche perché un gigantesco fasmide che vive sull’isola dell’assassino ne stava offuscando le capacità cognitive (!). In fin dei conti, Elysium è un mondo dominato dal caso anche a livello meccanico – ogni prova può riuscire o fallire indipendentemente dal relativo punteggio di caratteristica. Il caso è più o meno dappertutto e testimonia l’esistenza di forze che vanno oltre la comprensione di chiunque: dalla misteriosa materia che inghiotte il reale alla cripto-zoologia. Dopo una lunga indagine coadiuvata da logica, deduzione, ma anche da concettualizzazione e ispirazioni sciamaniche (per trovare una sospettata a un certo punto si deve ascoltare il vento, come nei panni di un novello Dale Cooper di Twin Peaks [id., 1990-1991, creata da David Lynch e Mark Frost]), scoprire che dietro all’omicidio c’è proprio la caotica e indiscernibile forza della natura (e tra l’altro di un ‘fantasma’ della natura, un fasmide) non è che una riaffermazione dell’irragionevolezza del mondo.

L’incontro finale con il fasmide gigante.

Nel momento in cui si trova l’assassino e lo si interroga si capisce che questo percorso non è stato che un pretesto per scendere a patti con l’assurdo dell’esistenza. Harry e il giocatore ci arrivano risolvendo un caso di presunto linciaggio in periferia. Non una missione eroica, non un’indagine importante, non qualcosa che cambierà il mondo: del resto «il senso dell’assurdo, alla svolta di una qualunque via, può imbattersi faccia a faccia con un uomo qualsiasi»6, e quello di Disco Elysium non è che un percorso tra i tanti possibili in un mondo semplicemente irragionevole. La soluzione ultima dell’enigma, sempre che il movente dell’omicidio sia un enigma da risolvere, è allora impossibile: ogni soluzione è solo un tentativo, effimero, di imprimere una regolarità all’assurdo. Harry e chi gioca invece questo assurdo non possono che accettarlo, soprattutto quando il caso è risolto e arriva il momento di abbandonare Martinaise. E accettarlo significa proprio rinunciare a «spiegare e risolvere» e provare piuttosto «a descrivere»7: il videogioco si chiude infatti con un resoconto sugli eventi dell’indagine che ha tutta l’aria di una mera elencazione di vicende, senza la minima pretesa di cogliere la realtà di Revachol nella sua complessità. Descrivere, non spiegare. Similmente, è controproducente cercare una risposta ultima al senso di questo racconto.

Per questo, più di altri videogiochi, Disco Elysium è un mondo virtuale che si presta a innescare una riflessione esistenziale sull’assurdità dell’esistenza. Una riflessione che si conclude con una prospettiva parziale, di sicuro non risolutiva, tanto sul caso di omicidio quanto sul mondo di Elysium nel suo complesso, tanto sul passato del protagonista quanto sulla società di cui fa parte, e che emerge dall’esperienza diretta della propria limitatezza all’interno di un mondo complesso, caotico e irragionevole. In questo senso, riflettendo sulla vanità di ogni azione ludica (il dialogo finale col fasmide sembra parlare proprio delle varie task completate durante il gioco), Disco Elysium afferma con grande lucidità il potenziale dei mondi virtuali di fungere da «strutture esistenziali»8 attraverso cui, e all’interno di cui, fare esperienza della propria limitatezza o dell’irragionevolezza e complessità del mondo reale.

 

NOTE

1. A. Camus, Il mito di Sisifo (1947), Bompiani, 2020, p. 29.

2. Idem, p. 21.

3. S. Caselli, Thrown Into the World. Trasformative Aesthetics of Avatars’ In-game Awakenings, The 13th International Philosophy of Computer Games Conference, St Petersburg 2019.

4. A. Camus, op. cit., p. 92.

5. J. Baudrillard, History: A Retro Scenario, in S. Glaised (a cura di) Simulacra and simulation, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1981, p. 44.

6. A. Camus, op. cit., p. 12.

7. Idem, p. 92.

8. Vedi S. Gualeni, D. Vella, Virtual Existentialism: Meaning and Subjectivity in Virtual Worlds, Basingstoke: Palgrave Macmillan, 2020.