Nel corso degli anni Magnifica Ossessione [Magnificent Obsession, 1954] è stato letto in maniera contrastante con giudizi che oscillavano tra una critica alla narrazione implausibile, strappalacrime e moralista e un’esaltazione dell’astrattismo e artificiosità dello stile. Questi giudizi riflettono le inquietudini verso lo spettacolo sirkiano o, ancora più in generale, verso il supposto dualismo tra attrazione e narrazione nel sistema hollywoodiano. Primo melodramma in technicolor di Sirk prodotto per la Universal, affiancato già da parte del suo ensemble (il produttore Ross Hunter, il direttore della fotografia Russell Metty, il compositore Frank Skinner, lo scenografo Russell A. Gausman), Magnifica Ossessione è pura potenza dello spettacolo, frutto del lavoro di composizione e modellazione di forme e motivi melodrammatici da parte del “medium” Douglas Sirk1. L’analisi del film può essere utile per valutare il particolare mimetismo dell’opera sirkiana e studiare l’integrazione dei momenti attrazionali nella narrazione. Sarà così possibile riconsiderare il potenziale etico della narrazione del film.

Per un lavoro di questo tipo bisogna ritornare agli scritti di un grande teorico del cinema scomparso da qualche anno, Thomas Elsaesser. Tra fine anni ’60 e inizi ’70, attraverso i suoi scritti apparsi su Brighton Film Review2 e Monogram3, Elsaesser provò a fondare un metodo d’analisi vicino alla psicoanalisi freudiana per rivalutare, sulla linea della politique des auteurs, l’autorialità nel sistema hollywoodiano. La sua lettura di Minnelli ad esempio si proponeva di analizzare il metodo di costruzione dell’identificazione spettatoriale grazie a cui venivano gestite le pulsioni di gratificazione. Ancor prima di Bourget per Elsaesser il regista era un “medium”, in quanto gestore degli impulsi psichici dello spettatore. Così sia la narrazione che la messa in scena dovevano essere strutturate dipendentemente da energie emozionali. Anche il suo testo capitale sul melodramma (e su Sirk) “Storie di rumore e furore” si può leggere su questa linea: la progressione morale della narrazione, piuttosto che essere una sovrastruttura orientata ideologicamente e determinata da una struttura economica di fondo, è la sinfonica risoluzione di un conflitto compositivo che si è chiesto dove orientare quell’energia psichica. Intento di Elsaesser è quello di ripensare la nozione di spettacolo4 e rivalutare l’integrazione del momento attrazionale nella narrazione hollywoodiana.

Magnifica Ossessione appare come uno dei film più appropriati per un’analisi di questo tipo. Adattamento dell’omonimo romanzo del pastore luterano Lloyd C. Douglas e remake dell’omonimo film di John Stahl, la storia orchestra il “deposito di tradizione” del genere melodrammatico (incidenti, coincidenze, segreti, dicerie, catastrofi, infermità, false identità) come fossero motivi sinfonici per gestire le emozioni dello spettatore. La vicenda raccontata coinvolge Bob, un arrogante playboy interpretato da Rock Hudson, e la sfortunata Helen (Jane Wyman), il cui marito perisce per infarto a causa di un simultaneo incidente di Bob. Compito di Bob sarà di redimersi dal peccato e sostituire la figura del marito scomparso. Per farlo però Bob non dovrà solo conquistare Helen ma anche incarnare la filosofia del marito il quale aiutava generosamente le persone a patto che queste non cercassero di sdebitarsi e che non rivelassero a nessuno dell’aiuto.

Già la prima sequenza del film ci catapulta in un tipico universo melodrammatico. Un pittorico sfondo immobile di natura incontaminata viene squarciato dalla potenza della tecnologia posta in evidenza in tutta la sua spettacolarità. Un primo piano di Bob alla guida a grande velocità di un motoscafo sul lago e le dicerie di altri personaggi ci delineano il carattere di un giovane spavaldo milionario. La concitazione, un urlo, un’esplicita dichiarazione degli intenti narrativi: colpire la psiche spettatoriale attraverso grandi sconvolgimenti emotivi.

magnifica ossessione

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La contrapposizione tra cultura e natura è un grande topos non solo dell’opera sirkiana ma di tutto il melodramma5. E per tutto il film saremo trasportati in un mondo in cui, come spesso in Sirk, la natura sembra quasi irraggiungibile. In Magnifica Ossessione si esprime fuori dalla scena principale, uno sfondo fuori dalla finestra, come sarà poi nel meraviglioso finale di Secondo amore [All That Heaven Allows, 1955].

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Ma queste contrapposizioni non sono così definite e risultano infine molto più ambigue. Così questa natura lontana dall’umano appare anche molto vicina, nella forma di fiori da vaso la cui morta presenza rende le case dei mausolei, delle tombe della natura6. L’umano sembra cieco di fronte a questa condizione.

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Bob ispirato dalla filosofia del dottore cerca di fare buone azioni ma il tentativo di mostrarsi come persona diligente di fronte a Helen porta alla tragedia: in un incidente stradale la moglie viene investita e perde la vista. La cecità diviene pervasiva7: Bob non riesce a incarnare la filosofia del dottore e tenere fuori la sfera pubblica dalle sue buone azioni; Helen non capisce che il suo destino è di sostituire l’oggetto d’amore simbolizzato dal marito ormai defunto con Bob. Un gioco di luci negli interni cerca di avanzare l’identificazione spettatoriale con la cecità della protagonista, eppure subito dopo l’identificazione viene spezzata e la cecità vista dall’esterno.

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Sfruttando la cecità fisica ed emozionale di Helen, Bob si finge un’altra persona per poter rimanere accanto a lei. Nasce un’amicizia e un amore non attesi. In una spiaggia assolata Bob cerca di ridare uno sguardo al buio mondo di Helen.

magnifica ossessione jane wyman

Sirk, scettico del linguaggio8, si lascia affascinare da una storia in cui il linguaggio cerca di ridare una visione al mondo. Alcune analisi9 hanno letto meta-cinematograficamente il film a partire dal personaggio del pittore Randolph. Introdotto come debitore del dottore scomparso e adepto della sua filosofia, è lui a introdurre Bob alla sua filosofia e a cercare di trasformarlo nello stesso dottore, nella nuova figura patriarcale. Ad accompagnare le scene in cui si parla della filosofia del dottore un coro celestiale dalla Sinfonia n. 9 di Beethoven rivela allo spettatore la potenza divina delle buone azioni. Randolph, simile a Sirk nell’aspetto, cercherà di trasformare Bob in Dio, nel creatore, nel regista. I tentativi di Bob di ridare lo sguardo a Helen e di superare la sua impotenza si possono leggere come i tentativi del regista di ridare uno sguardo potenziato allo spettatore, di fargli superare le sue cecità.

magnifica ossessionePer spiegare la potenza divina delle buone azioni nella sua filosofia Randolph paragona l’uomo a una lampada che si accende nel momento in cui fa una buona azione.

Helen vola in Svizzera per vedere se è possibile operarsi agli occhi. La Svizzera appare come una cartolina, immobile, lontana, un luogo di fuga10. Durante l’esame oculistico un nuovo gioco di luci e ombre costruisce l’impossibile identificazione con il personaggio cieco, il tutto solo per far calare tutto nel buio più totale nel momento del verdetto: Helen non si può operare. I forti chiaroscuri dell’illuminazione low-key antinaturalistica, così come la prevalenza di colori freddi, rimanda alla tradizione stahliana11.

magnifica ossessione svizzera

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La lunga scena successiva costruisce una contrapposizione tra il buio della vita della protagonista e la luce divina. In una stanza illuminata solo da un lume che non può vedere, Helen si muove a penzoloni nella stanza, toccando gli oggetti per renderli presenti in assenza di vista. In contrasto al suo cieco cammino ritorna il coro celestiale. Presa dalla necessità incombente che qualcosa ancora si dia come presenza nel suo mondo buio, finisce però per far cadere un vaso di rose. Un semplice incidente diventa un colpo di scena spettacolare che spezza l’immersività e l’identificazione con il personaggio, distanzia dalla sua psicologia e fa sperare a un altro possibile sguardo.

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Bob che era rimasto negli States entra in scena e con un bacio si rende presente ad Helen, ridà lo sguardo all’amata. “Let me be your eyes again” chiede Bob ad Helen, e il regista al suo pubblico. La scena è una tipica montagna russa melodrammatica di pulsioni sprigionate, dai peggiori istinti negativi di impotenza e cecità alla più piena espressione di desiderio dell’altro e di salvezza per poi tornare circolarmente a nuove paure. Il gioco di luci va in accordo a questo sali e scendi con il trucco lucente dei volti ad accendere la scena per poi farli ripiombare subito nel buio. Allo stesso modo tortuoso si svolge la scena successiva con un crescendo di romanticismo in cui tornano come fosse una sinfonia alcuni motivi precedenti (i fiori, il linguaggio) per sfociare in una danza in pubblico e precipitare ancora nel vortice delle ansie più intime. È l’orchestra diretta da Sirk a giungere coerentemente all’anticlimax della narrazione: presa dalla sua impotenza Helen rifiuta di legarsi a Bob per non imprigionarlo ma così facendo imprigiona entrambi a un destino che necessiterà così di anni per compiersi. Ancora il gioco di luci evidenzia l’apocalisse trasformando in negativo il precedente bacio.

magnifica ossessione rock hudson

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Seppur dimostrando una certa distanza, Sirk rimane fedele all’identificazione con le situazioni in cui i suoi personaggi si ritrovano e sfrutta sempre al massimo il potere affettivo del cinema. Il “distanziamento”12 di Sirk non giunge mai all’anti-mimetismo brechtiano13. Piuttosto la mimesis sirkiana rimane ambigua, allo stesso tempo affascinata dallo spettacolo sensazionalista e scettica rispetto a una pura immersione al suo universo. Di certo in Sirk la verità non sta “dietro” lo spettacolo, come se lo spettacolo fosse contraffazione di una realtà più vera. E gli specchi riflettenti tipici del suo cinema non riflettono pure forme senza sostanza14. Piuttosto c’è una verità dello spettacolo, una “verità del gioco di specchi” che rimanda a una verità dell’essere-con15. Indagare l’autorialità di Sirk è domandarsi ogni volta di questo tipo di verità.

Si giunge infine all’atto finale: Bob diventato chirurgo scopre dove si trova Helen fuggita da anni. Ricoverata in ospedale e necessitante di un’operazione, Helen verrà operata dallo stesso Bob in una celebre sequenza del film. Colto da un senso d’impotenza, Bob pare riluttante finchè non vede sporgersi da una posizione rispetto a sé elevata, Rudolph, l’artista alter ego del regista.

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Ritorna la Sinfonia n. 9. È il tempo dell’ascesa al piano divino, al mistico, allo spazio dell’impossibile. Ancora una contrapposizione di immagini a inizio e fine scena evidenzia la trasformazione spettacolare in atto. Un paesaggio oscuro e lontano fuori da una finestra con le tendine apre la scena. Una serie di primi piani sui protagonisti rende partecipi gli spettatori della potenza emotiva dell’atteso ritrovo tra i due amanti e del miracolo della guarigione.

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Ora il pittorico paesaggio risplende in maniera astratta, da sfondo passa a coincidere con l’intero film, si realizza come spazio dell’impossibile.

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L’euripidesco deus-ex-machina16 è l’atto spettacolare che costituisce lo spazio impossibile tipico del melodramma17. Piuttosto che definire un’ordine morale dell’universo18, la potenza spettacolare spinge l’immaginazione a riordinare il mondo secondo il proprio desiderio. Quello melodrammatico è uno sguardo quasi mistico, che vede “il mondo come un miracolo”19. La verità del gioco di specchi sirkiano è lo spettacolo melodrammatico come spazio dell’impossibile. Negli spazi impossibili della narrazione creati dallo spettacolo si rivela “la verità del gioco di specchi”. Attraverso un rapporto privato intollerabile per la sfera pubblica viene costituito uno spazio impossibile in cui la sfera pubblica viene riformulata, in cui “la verità del gioco di specchi” diventa “verità del con”, in cui gesti impossibili diventano immaginabili e socializzabili. Bisogna allora rivalutare Magnifica Ossessione come la grande narrazione sulla cecità di un mondo che non crede più nell’impossibile e sulla potenza immaginifica dello spettacolo melodrammatico.

NOTE

1. Sull’autorialità di Sirk e il lavoro d’orchestrazione con l’Universal si fa riferimento allo studio di Jean-Loup Bourget presente in questo speciale. https://specchioscuro.it/douglas-sirk-lautore-gli-studios-il-genere

2. In particolare il suo scritto in due parti su Vincente Minnelli apparso su Brighton Film Review n. 15 (dicembre 1969) e n. 18 (febbraio 1970). Oggi incluso come The Name for a Pleasure that has No Substitute: Vincente Minnelli in T. Elsaesser, The Persistence of Hollywood, Taylor & Francis, 2012.

3. Storie di rumore e furore. Osservazioni sul melodramma familiare, in A. Pezzotta (a cura di), Forme di melodramma, Bulzoni, Roma, 1992. Originariamente in Monogram n. 4, 1972. Ma fondamentale è anche il suo articolo-manifesto sul primo numero di Monogram “Why Hollywood?” oggi incluso in T. Elsaesser, Op. cit.

4. In uno dei suoi ultimi talk “Spectacle: Making the Visible Invisible” definirà lo spettacolo come “A form of public display that draws attention to its own construction”. È possibile visionare il talk a questo link https://www.cinema-ideology-criticism.de/session1.html

5. Per una trattazione dell’archetipo in tutto il melodramma hollywoodiano JL Bourget, Le Mélodrame Hollywoodien, Stock, 1985, pp. 101-133.

6. Sul motivo floreale del film P. Holzapfel, Full Bloom: Lilacs in Douglas Sirk’s ‘Magnificent Obsession’ https://mubi.com/notebook/posts/full-bloom-lilacs-in-douglas-sirk-s-magnificent-obsession

7. Anche la cecità è un archetipo molto sfruttato nel melodramma hollywoodiano. JL Bourget, Op. cit., pp. 36-42.

8. Così si descrive lo stesso Douglas Sirk “Ben prima di Wittgenstein, io e alcuni dei miei contemporanei avevamo imparato a non fidarci completamente del linguaggio come mezzo di comunicazione e come interprete fedele della realtà. Così imparai ad affidarmi ai miei occhi piuttosto che alla vacuità delle parole” in D. Sirk, J. Halliday, Lo specchio della vita, Il Saggiatore, Milano, 2022, p. 97.

9. JL Bourget, God Is Dead, or Through a Glass Darkly: On Sirk’s Magnificent Obsession, in Bright Lights, inverno 1977-78. Reperibile online https://brightlightsfilm.com/god-is-dead-or-through-a-glass-darkly-sirk-magnificent-obsession

10. Per una trattazione dell’escapismo il capitolo dedicato al film in A. Haux, Melodramatischer Eskapismus:Affekt-Ökonomien und Exit-Optionen bei Sirk, Fassbinder, Akin, Schüren, 2016.

11. Per una trattazione del colore in Sirk si fa riferimento all’articolo di Scott Higgins presente in questo speciale, https://specchioscuro.it/innovazione-e-tradizione-nelluso-del-colore-in-secondo-amore-di-douglas-sirk/

12. P. Willemen, Distanciation and Douglas Sirk, in “Screen”, Vol. 12, No. 2, Summer 1971.

13. Tentativi di lettura brechtiana di Sirk erano molto presenti durante la sua riscoperta a inizi anni ’70, come ad esempio P. Willemen, Towards an Analysis of the Sirkian System, in “Screen”, Vol. 13, No. 4, Winter 1972. Per una “critica della critica” del Sirk progressista B. Klinger, Melodrama and Meaning. History, Culture, and the Films of Douglas Sirk, Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis 1994.

14. Una lettura formalista è avanzata da F. Camper, The Films of Douglas Sirk, in “Screen”, Vol. 12, No. 2, Summer 1971.

15. JL Nancy, Essere singolare plurale, Einaudi, 2022, p. 76.

16. Sirk cita Euripide per giustificare l’uso del deus-ex-machina in D. Sirk, J. Halliday, Op. cit., 178-180.

17. J. Goldberg, Melodrama: An Aesthetics of Impossibility, Duke University Press. 2016.

18. N. Carroll, The Moral Ecology of Melodrama: The Family Plot and Magnificent Obsession, in M. Landy (a cura di), Imitations of Life: A Reader on Film and Television Melodrama, Wayne State University Press, 1991.

19. L. Wittgenstein, Lezioni E Conversazioni, Adelphi, 1995, p. 17. Sul concetto del mistico in Wittgenstein: F. Cimatti, La vita estrinseca. Dopo il linguaggio, Orthotes, 2018.