To be or not to be, that is the question.
– Hamlet, Atto III, Scena I, William Shakespeare
Lascio ai diversi futuri (non a tutti) il mio giardino dei sentieri che si biforcano.
– Il giardino dei sentieri che si biforcano, Jorge Luis Borges
Premessa: data la natura dell’articolo, saranno presenti numerosi ed importanti spoiler di Undertale. La lettura è pertanto consigliata a chi già abbia giocato o, comunque, conosca l’opera di Toby Fox.
Parte 1. I presupposti dello studio. Uno sguardo interdisciplinare al multiverso di Undertale, tra semiotica, narratologia e meccanica quantistica
La storia delle narrazioni è (anche) una storia di scelte e decisioni. Sin dai tempi dell’Antica Grecia, e prima ancora, la scelta è motore dell’azione. Pensiamo all’Agamennone (458 a.C.) di Eschilo, nel quale «gli Atridi che piantano lo scettro nel terreno e versano lacrime, diventano il simbolo della scelta angosciosa e fatale. Ma anche qui l’uomo che fa la sua scelta sotto la più amara costrizione impegna in essa la propria volontà»1: non solo storia di scelte, dunque, ma anche storia di volontà. L’evolversi di una narrazione è dettato dalle decisioni dei suoi protagonisti e, dunque, la scelta è la pietra d’angolo dello svolgersi di una vicenda: «le scelte per ‘dare il senso’ di narrativo a qualcosa abbondano già al livello fondamentale della histoire »2, ovvero di quella che viene comunemente chiamata fabula. Nell’esperienza di fruitori di narrazioni, viviamo il momento della scelta in terza persona, come spettatori esterni, anche quando, in un romanzo, gli eventi siano narrati in prima persona: non è il fruitore a scegliere lo svolgersi di una trama, egli è solo testimone di decisioni prese da personaggi che sono altro da lui. Quando, poi, gli eventi sono fittizi, allora le scelte sono solo all’apparenza prese dai loro protagonisti, mossi su una scacchiera dalla penna dell’autore. In quest’ottica, il personaggio di finzione è costretto, relativamente al libero arbitrio, nella posizione nella quale Tommaso d’Aquino collocava l’essere umano:
Mens humana habet aliam causam sui motum quam se ipsam, scilicet Deum […]; ergo mens humana non est liberi arbitrii.
La mente umana ha una causa del proprio movimento distinta da se stessa, cioè Dio […]; dunque, la mente umana non è dotata di libero arbitrio.3
L’autore di una narrazione fittizia si sostituisce, riprendendo il paradigma tommasiano, a Dio, ereditandone la facoltà di causare il movimento – ovvero, l’azione; ovvero, le scelte – delle proprie creature. Il lettore/spettatore, in questo sistema, svolge un ruolo passivo per quanto riguarda lo svolgimento degli eventi (è, invece, attivo sotto altri punti di vista, come la comprensione, l’analisi, etc.).Ma che cosa succede quando il medium narrativo è, prima di tutto, un medium interattivo? Che cosa succede quando la narrazione avviene nel terreno del videogame? «Un libro non cambia, indipendentemente da quanto spesso lo si legge, ma quando si gioca, si fanno scelte che influiscono il corso degli eventi»4. La narrazione videoludica cela in sé, sebbene ancora ad uno stadio piuttosto embrionale, una dimensione multiversale. Pensiamo, ad esempio, a uno dei momenti più iconici di quello che è considerato come uno dei massimi capolavori del medium: lo scontro tra Solid Snake e Revolver Ocelot in Metal Gear Solid [Metaru Gia Soriddo, 1998, Konami] di Hideo Kojima. La scena si svolge in una stanza al centro della quale Kenneth Baker, presidente di ArmsTech, è legato con dei fili alle cui estremità si trovano delle cariche di C4: qui, il protagonista del videogame deve duellare con Revolver Ocelot per poter infine salvare Baker.
Al termine dello scontro, un misterioso ninja potenziato da un esoscheletro, Gray Fox, interviene asportando con impressionante abilità la mano destra del boss. Tuttavia, se si conclude il duello rispettando un certo limite di tempo, l’intervento del ninja-cyborg non priverà Ocelot della propria mano. Un altro esempio celeberrimo, tratto dal medesimo titolo, è quello che riguarda i due finali alternativi: se durante la sequenza della tortura che Revolver Ocelot esegue ai danni di Solid Snake il videogiocatore cede, l’avventura si concluderà con la fuga del protagonista accompagnato da Otacon (altro personaggio cruciale per la saga); qualora, invece, resistesse, allora Snake sarà accompagnato, nella cut scene finale, da Meryl, la nipote del colonnello che ha aiutato il protagonista. L’universo creato da Kojima – e da molti altri come lui – non può dunque dirsi monodimensionale, poiché medesime situazioni, quando rivissute, possono dare esiti differenti, a seconda del modo con cui vengono affrontate. Il videogiocatore, dunque, è naturalmente portato a esplorare uno di n mondi, laddove n indica tutte le combinazioni possibili delle varianti pensate dall’autore. A ciò si aggiunge la meccanica comunemente nota come new game plus, presente in videogames come, ad esempio, Dark Souls [Dāku Souru, 2011, FromSoftware] di Hidetaka Miyazaki, e che permette al videogiocatore di ricominciare l’avventura, una volta conclusa, con alcune aggiunte e variazioni: nel caso dell’opera appena citata, il PG (Personaggio Giocante) manterrà i livelli e le caratteristiche guadagnate durante il ciclo concluso, al costo di una maggiore difficoltà data dalla forza e dai punti vita aumentati dei nemici5. In Metal Gear Solid, invece, la nuova partita offrirà al protagonista nuovi gadget correlati a determinati eventi e risultati della partita precedente (una bandana o una mimetica ottica, a seconda dell’esito della summenzionata sequenza della tortura)6.Gli esempi ora citati forniscono un’idea di ciò che l’avventura di un videogame comporta sotto il profilo tecnico e contenutistico. Ma cosa comporta, invece, da un punto di vista filosofico e concettuale? Dopo esser sopravvissuto agli eventi di Shadow Moses, Solid Snake si ritrova catapultato nuovamente nella medesima isola ad affrontare gli stessi eventi. Il personaggio non avrà alcuna memoria di quanto già vissuto: un reset della sua esperienza o, mantenendo l’ipotesi del multiverso, una differente copia della stessa persona ignara di ciò che sta per vivere. È il videogiocatore ad avere un’accresciuta consapevolezza della trama, delle tattiche da usare per affrontare le diverse situazioni, dell’ambiente, ecc. Questa condizione di oblio dei personaggi è comune alla quasi totalità delle opere videoludiche. Vi sono però dei casi, molto rari, in cui il creatore infonde le proprie creature di una forma digitale di memoria e di consapevolezza, seppur predeterminate. Il campione di ciò è senza dubbio Undertale [id., Toby Fox, 2015], tra le opere che maggiormente hanno scatenato un terremoto nel panorama videoludico contemporaneo. Si tratta di un videogame che, pur con una longevità delle singole partite piuttosto contenuta (mediamente intorno alle 8 ore), si sviluppa in modo assai vasto, rendendolo un piccolo «Gargantua narrativo». Nonostante sia un’opera fantasy che fa scontrare gli Umani e i Mostri, Undertale parla dell’essere umano che abita l’universo al di qua dello schermo. Come per ogni opera d’arte, giocando ad Undertale «noi siamo, per così dire, introdotti in un mondo al di là di questo mondo, che è nondimeno la più profonda realtà del mondo in cui viviamo nella nostra ordinaria esperienza»7.Il videogioco di Toby Fox porta con sé un ampio ventaglio di tematiche fondamentali per il videogiocatore e l’essere umano. La principale è quella inerente, come da titolo del saggio, la scelta: quale valore ha la scelta, quando essa avviene in una realtà multiversale? Vale a dire: cosa significa scegliere in una realtà nella quale collidono temporalità diverse e parallele? E dunque, cos’è una scelta nel momento in cui avviene in una realtà che può – e, anzi, necessita di – essere resettata?La «ordinaria esperienza», per riprendere l’espressione di Dewey, impone per sua stessa natura delle scelte che potremmo definire reali, cioè con un effetto che abbia riscontro sul nostro mondo, mentre nel videogioco esse sono interattive. Alan Peacock definisce l’Interactive come «un modo di accedere, manipolare ed usare un assortimento invisibile di dati che ha una propria […] esistenza altrove ed in una qualche altra forma»8. Esso «ha un’immediatezza ed un coinvolgimento inclusivo nel quale il lettore/utente/giocatore diventa parte del discorso e, in questo processo, influenza la sua forma»9. È possibile individuare una prima, radicale differenza tra la scelta reale e quella interattiva: riprendendo la teoria letteraria e il pensiero di Aarseth, la prima è lineare, la seconda è non-lineare. Un testo lineare è quello che la convenzione impone di «leggere parola per parola dall’inizio alla fine»10, mentre quello non-lineare «è un oggetto della comunicazione verbale che non è semplicemente una sequenza fissa di lettere, parole e frasi ma uno nel quale le parole o una sequenza di parole può essere differente da lettura a lettura a causa della forma, delle convenzioni o dei meccanismi del testo»11. Il percorso della scelta reale è lineare perché da una situazione a conduce a una situazione b, una volta decisa la diramazione da imboccare al bivio; quello della scelta interattiva, invece, pur proseguendo in avanti, permette di tornare allo stato in cui ci si trovava prima di prendere la decisione in modo da effettuarne una differente. La meccanica del salvataggio è un elemento fondamentale per la non-linearità del videogame e, secondo Adams, può anche essere dannosa per l’esperienza videoludica: «se un gioco cerca di creare l’illusione che il giocatore abiti in un mondo di fantasia, l’atto di salvare distrugge quell’illusione. Una delle caratteristiche più significative della vita vera è che non si può tornare nel passato per correggere i propri errori; quando si permette al videogiocatore di ripetere il passato, si ammette l’irrealtà del mondo di gioco»12. Di tutt’altro avviso è Espen Aarseth, per il quale il salvataggio è, in certi casi, elemento fondamentale della struttura temporale del videogame e rappresenta quello che definisce come «negotiation time»13, ovvero quella dimensione temporale che chiama in causa il processo di apprendimento del videogiocatore e nella quale «i possibili tempi degli eventi vengono testati e modificati, finché viene raggiunta, o non raggiunta, una sequenza sufficientemente soddisfacente».14La non-linearità del medium videoludico, come appena presentata (sebbene quella descritta sia solo una frazione del più ampio carattere non-lineare del videogame e della scelta interattiva), pone l’accento sulla dimensione temporale del mondo di gioco. Com’è il tempo del videogame? E, avvicinandoci ulteriormente al soggetto del saggio, co’’è il tempo di Undertale? Espen Aarseth cita a ragione le parole di Paul Ricoeur15, quando, nelle conclusioni del suo colossale Tempo e racconto, scrive che «c’è un altro modo per il tempo di avvolgere il racconto, è quello di suscitare dei modi discorsivi altri che quello narrativo, che ne dicano, in altro modo, il profondo enigma»16; precisando correttamente che quello videoludico non era certo uno dei «modi discorsivi» che il filosofo francese aveva in mente, Aarseth riconosce comunque nella narrazione propria del videogame, che ha definito “ergodica”, una risposta a quella alternativa auspicata da Ricoeur. Per meglio comprendere il concetto aarsethiano di ergodic discourse giunge in nostro soccorso una delle peculiarità del videogame di Fox. Undertale può essere affrontato fondamentalmente in tre modi (o routes): pacifist, genocide e neutral (questa tripartizione avrà primaria importanza nel corso del saggio). La prima prevede che nessun nemico affrontato durante l’avventura del protagonista nell’Underground venga ucciso; la seconda, invece, richiede al contrario l’uccisione di ogni singola entità incontrata; la terza, infine, si pone all’incrocio tra le due e ammette l’uccisione di alcune entità, purché alcune – a discrezione del giocatore – vengano lasciate vivere. La stessa storia, affrontata in ciascuno di queste tre modalità, si traduce in svolgimenti e finali tra loro assai differenti; ma ciò che più è importante ora è notare come questa decisione non avvenga tramite la selezione di una opzione ad inizio partita ma tramite le azioni del videogiocatore nel corso dell’avventura. Il fruitore si trova così in quella condizione descritta da Greimas: «il soggetto sfidato [il videogiocatore/avatar, ndr] si trova insomma davanti a una scelta forzata: può scegliere, ma non può non scegliere. […] questo obbligo a scegliere può essere interpretato come parte della competenza modale del soggetto sfidato. In particolare, esso consiste in una modalizzazione secondo il /poter-fare/ situata sulla dimensione cognitiva dove occupa, più precisamente, la posizione di /non poter non decidere/, omologabile con il /dover decidere/»17. Una volta compiuta una scelta, essa mostra, nel corso degli eventi, un’aporia che coinvolge il suo effetto e le sue conseguenze. Riprendendo il linguaggio del semiologo lituano, l’effetto di una scelta le è omotopico e omocronico; le sue conseguenze, invece, sono eterotopiche ed eterocroniche. Consideriamo il caso, in Undertale, di un utente che decida di realizzare una Genocide Run: questa scelta si realizza nel momento in cui l’ultimo Mostro della prima area di gioco viene ucciso. L’effetto omocronico e omotopico è, dunque, l’uccisione di ogni singolo Mostro incontrato casualmente ma esso ha un’eco, le conseguenze eterocroniche ed eterotopiche, che si espande per tutta la durata dell’avventura, influenzandone gli eventi in ogni area di gioco successiva, sino al finale. Queste conseguenze possono assumere diverse dimensioni: da semplici descrizioni di oggetti presenti nelle ambientazioni (pensiamo, ad esempio, a quella del bancone della cucina nella casa di Toriel, che recita, scritto in un minaccioso rosso, «Where are the knives?») a veri e propri eventi unici, come il celeberrimo scontro finale con Sans (il simpatico, quanto all’occorrenza inquietante, scheletro che, insieme con il fratello Papyrus, costituisce la principale «linea comica» del titolo e ricopre uno dei ruoli più importanti).Le omo/eterocronie e le omo/eterotopie qui mostrate risultano comuni a molti videogames che consegnano nelle mani del fruitore la facoltà di modificare lo svolgimento della trama. Gli esempi più evidenti sono quelli di titoli come Heavy Rain [id., 2010, Quantic Dream] o Until Dawn [id., 2015, Supermassive], nei quali il videogiocatore viene costantemente posto davanti a «scelte forzate», per riprendere le parole di Greimas, che modellano il futuro dei propri protagonisti e, con ciò, li conducono verso finali differenti.
Potremmo chiamare questa categoria videoludica, riprendendo le parole di Roland Barthes, come scrivibile, contrapposta a quella leggibile, che comprende quei titoli il cui svolgimento può essere solo in minima parte influenzato dal videogiocatore18 (si tratta, prevalentemente, di opere classiche o arcade nelle quali al fruitore non viene data molta scelta, se non nella strategia relativa al superamento di un determinato ostacolo imposto, come Space Invaders [Supēsu Inbēdā, 1978, Taito, Midway Games]). Tuttavia, una volta raggiunto uno di questi finali e ricominciato il gioco, l’universo narrativo si “resetta”, riproponendosi al videogiocatore identico a se stesso: le variazioni sono dettate dalle scelte differenti – in quanto consapevoli di ciò che già è stato fatto nel ciclo precedente – del fruitore, non da modificazioni interne a quell’universo. Poiché, in fondo, in casi simili l’universo e la linea temporale sono unici e vengono ripristinati al momento della “nuova partita”. Quando il protagonista di Dark Souls si risveglia nel Rifugio dei Non-Morti all’inizio dell’avventura, il mondo di gioco si presenta in una precisa conformazione, con le proprie regole, i propri personaggi, il proprio tempo19: ogni nuova partita riproporrà la terra di Lordran sempre con questa conformazione. L’apocatastasi e la palingenesi si accompagnano. Differente è il discorso che riguarda Undertale. La differenza risiede nella stratificazione (o, per usare un’espressione della meccanica quantistica, una sovrapposizione) delle multiple linee temporali che nella narrazione di Toby Fox si avvicinano e, talvolta, sfiorano. Nella sua tesi di dottorato, Hugh Everett III, la mente che si cela dietro la prima teorizzazione del multiverso in ambito della meccanica quantistica, afferma che «ogni osservazione iniziale di un sistema fa sì che il sistema “salti” in un autostato in modo casuale e che dunque rimanga lì per le successive misurazioni del medesimo stato»20. Questo funzionamento è il medesimo che caratterizza Undertale, al netto della casualità: trattandosi di un’opera interattiva, ovviamente, l’osservazione coincide con l’interazione, ovvero l’azione del videogiocatore che influisce sul mondo virtuale e che lo fa “saltare”, per riprendere l’espressione everettiana, in uno stato differente da quello nel quale si trovava al momento dell’inizio della prima partita e che potremmo chiamare, continuando ad utilizzare, forse anche impropriamente, il linguaggio della fisica quantistica, indeterminato. Vale a dire che, prima di prendere una decisione nel videogame (ossia, prima di fare una misurazione), tutte le alternative coesistono parallelamente, sino al momento in cui il videogiocatore effettua una scelta, come nel celebre caso del gatto protagonista del paradosso di Erwin Schrödinger21. L’indeterminazione dell’universo di Undertale è, data la natura del medium al quale appartiene, una indeterminazione codificata o programmata: tutte le possibili alternative co-preesistono al momento della scelta del videogiocatore poiché sono contenute nella scrittura stessa del codice informatico, la struttura pratico-virtuale del videogioco, e della sceneggiatura. Secondo alcuni studiosi, dunque, il videogiocatore non interagirebbe realmente con l’opera, ovvero non avrebbe su di essa alcun potere decisionale, ma reagirebbe agli input che riceve; per altri, invece, l’esperienza videoludica consisterebbe in una sintesi tra reazione e interazione e hanno così coniato il termine interreactivity (interreattività), il quale «riconosce che, sebbene i computer siano tecnicamente più reattivi che interattivi, il videogioco offre una forte illusione di interattività»22. James Newman si spinge oltre ed afferma che «i videogiochi non sono interattivi né ergodici»23 poiché essi «non presentano un’esperienza unicamente ergodica»24 ma anche momenti di “non-ergodicità”, come quelli delle cut scenes, ad esempio. Tuttavia, l’ergodicità non va intesa come una costante e ininterrotta modificazione dell’esperienza del videogiocatore, come un flusso magmatico di personalizzazione dell’avventura. Essa si manifesta a segmenti che possono essere più o meno duraturi. Dunque, la personalizzazione ergodica può tanto palesarsi in singole azioni istantanee quanto in presentazione di cut scenes immodificabili la cui presenza, però, viene influenzata dalle azioni e dalle scelte pregresse del videogiocatore. Anche quando un determinato segmento sia imposto al videogiocatore, come una cut scene introduttiva all’opera, non di rado esso può essere interrotto, messo in pausa o completamente saltato passando così direttamente al gameplay. In aggiunta a ciò, si può vedere il videogame come un labirinto. Le biforcazioni del labirinto esistono anche prima del momento in cui l’esploratore vi si addentri ma è solo in questo istante che esse assumono un senso: quella dell’interattività non è, pertanto, sempre una illusione ma può essere una vera e propria interattività. Il discrimine risiede nelle conseguenze eterotopiche ed eterocroniche delle scelte. Vi sono dei casi nei quali scelte diverse portano con sé conseguenze identiche: questo è il caso dell’interreattività, poiché la decisione implica quell’illusione di cui parla Stang. Ma quando scelte diverse in medesime situazioni comportano conseguenze radicalmente differenti, proprio come in Undertale oppure come in Detroit: Become Human [id., Quantic Dream, 2018], il videogiocatore instaura un rapporto realmente interattivo con l’opera perché egli produce senso, ovvero fornisce significato al videogame. La struttura dell’opera videoludica costituisce quello che potremmo chiamare dinatocoro (δυνατόν, dynatòn = possibilità; χῶρος, chòros = spazio), ovvero un’area di possibilità entro la quale il videogiocatore, muovendosi e agendo, crea significato. Nel suo breve saggio, Sarah Stang afferma che il videogioco non «permette la co-autorialità»25 tra creatore e fruitore poiché il giocatore ha un ventaglio di scelte limitato. Ma se torniamo a leggere le parole di Peacock, scopriamo che «una decisione di qualche tipo è una condizione necessaria dell’Interactive. Il fruitore forma una storia a partire da un ventaglio di opzioni più o meno ampio che viene presentato»26. Il videogame come medium, dunque, è sempre interattivo e co-autoriale. A seconda dei casi, comunque, il grado di interattività e di co-autorialità varia. Per poter comprendere il funzionamento del tempo in Undertale, che è il medesimo di quanto, secondo diversi studiosi, avviene nel multiverso, bisogna «abbandonare l’idea che il tempo scorra – non importa in quale direzione»27 ed accogliere quella dei balzi da una realtà parallela a un’altra. Ogni scelta che venga compiuta proietta l’Umano protagonista di Undertale, in una realtà altra rispetto a quella abitata sino a quel momento, poiché ogni scelta porta con sé un tempo che le è proprio e «altri tempi sono solo casi speciali di altri universi»28. Così, quello dell’aut-aut kierkegaardiano assume in quest’ottica una dimensione esistenziale ancor più ampia rispetto a quella descritta dal filosofo danese, per il quale la scelta imposta dall’aut-aut richiede «di scegliere giusto […], per non dover una volta o l’altra dolorosamente incominciare una ritirata al punto da cui si partì»29, poiché esso determina anche quale dei coesistenti e potenzialmente illimitati Io si diventi.
Parte 2. “In this world it’s kill or be killed”. Alcune riflessioni
2.1. Flowey the Flower. Riflessioni sull’esperienza del multiverso
Il primo incontro che il personaggio protagonista di Undertale vive è con Flowey the Flower, un fiore che si presenta come amichevole e che si propone di «insegnare come funzionano le cose da queste parti». Tuttavia, egli inganna il videogiocatore ignaro, sia attribuendo a certe statistiche definizioni e significati differenti a quelli reali e deformando la meccanica fondamentale del combat system: ad esempio, dice che LV stia per LOVE (mentre nel finale Sans rivelerà il vero significato di quella sigla che il fruitore ha sempre associato al concetto di “livello”: Level of Violence) e fa credere al videogiocatore che questo valore si accresca raccogliendo i friendliness pellets che i Mostri lanceranno contro il protagonista. Se il fruitore decide di credere alle parole di Flowey e si fa colpire da questi proiettili, l’interlocutore rivelerà infine la propria natura maligna. Il suo sprite30 assume un’espressione facciale inquietante e malvagia: «In this world, it’s kill or BE killed».
Questa affermazione, all’apparenza banale, assume, nell’ottica dell’analisi che con questo articolo stiamo conducendo, un’importanza fondamentale. Essa, infatti, non pone l’accento sul valore primario che ha in Undertale la scelta ma crea una relazione diretta, sebbene nascosta dalla semplicità della formulazione della frase, tra la scelta stessa e il mondo in cui essa viene compiuta. Naturalmente, nessuno sceglierebbe la seconda opzione, essere ucciso, ma l’affermazione di Flowey, con questa biforcazione, è sintomatica dell’intero sistema-Undertale. La scelta di un’opzione esclude necessariamente le altre. Il dinatocoro è uno spazio insieme includente ed escludente: includente, poiché in esso coesistono, come nel multiverso, tutte le possibilità; escludente perché la realizzazione di una implica la non-realizzazione delle altre. Ciò significa che quando il videogiocatore-avatar si trova nel dinatocoro e traduce in azione una delle possibilità che lo abitano, le altre collassano dallo “spazio di possibilità” a uno “spazio di ipotesi” che chiameremo adelocoro (ἄδηλος, àdelos = non chiaro, incerto). In questo modo nel videogiocatore pone le proprie radici un secondo livello di piacere che va oltre quello dell’immediata esperienza ludica. È il piacere dell’in(de)finito leopardiano, quello indotto dall’impossibilità di vedere ciò che oltre la siepe si espande, quello dell’immaginazione e dell’indefinitezza: «e il naufragar m’è dolce in questo mare»31.Questa determinazione non va intesa come la intendeva Heisenberg nel suo celeberrimo principio di indeterminazione: «mediante la determinazione sperimentale dello “stato m”, fra tutte le diverse possibilità (cnm) ne scegliamo una determinata: m, ma allo stesso tempo distruggiamo […] tutto ciò che, relativamente alle relazioni di fase, era ancora contenuto nelle quantità cnm »32. In Undertale, così come nelle opere summenzionate a esso assimilabili, le varie possibilità irrealizzate non vengono distrutte ma restano sospese nel limbo adelocorico. Esse esistono, come esiste la possibilità realizzata dalla scelta del videogiocatore-avatar, in due modi, tra essi complementari: esistono nei tempi paralleli interni al software installato nel dispositivo del singolo fruitore che possono essere esplorati in successive partite; esistono nei software degli altri videogiocatori che hanno optato per soluzioni e decisioni differenti rispetto alle mie. Il collasso che dall’indeterminazione conduce alla determinazione di uno “stato” narrativo non concerne direttamente la realizzazione di una alternativa a discapito delle altre ma la “caduta” dell’Io protagonista in una realtà nella quale quella possibilità determinata è realizzata. Il celebre racconto di Jorge Luis Borges Il giardino dei sentieri che si biforcano, che ha anticipato di oltre vent’anni l’interpretazione everettiana a Molti-Mondi della meccanica quantistica, fornisce un eccellente supporto allo studio della narrazione di Undertale. Il protagonista dell’opera di Borges è l’omonimo testo dell’antico monaco cinese Ts’ui Pên, un libro che apparentemente «è una confusa farragine di varianti contraddittorie»33 (così viene descritto dall’Io narrante, Hsi P’êng, discendente del monaco) ma che, in realtà, cela la misteriosa natura del labirinto del tempo. L’interlocutore di Hsi P’êng, Stephen Albert, gli rivela la vera interpretazione del testo: «in tutte le opere narrative, ogni volta che s’è di fronte a diverse alternative ci si decide per una e si eliminano le altre; in quella del quasi inestricabile Ts’ui Pên, ci si decide – simultaneamente – per tutte. Si creano, così, diversi futuri, diversi tempi, che a loro volta proliferano e si biforcano»34. La scansione temporale, che non può più dirsi ovviamente lineare (né, tanto meno, ciclica), è, nell’ottica borgesiana/everettiana/deutschiana, caratterizzata da una successione di «casi di ripetizione con una differenza ontologica»35.Sebbene nel modello di multiverso descritto sinora i differenti tempi non interagiscono tra di loro (l’Io che sta scrivendo questo articolo in questo presente non ha modo di avere contatti con l’altro-Io che non lo sta facendo in un altro presente), in Undertale si possono trovare alcuni casi in cui una realtà lasci traccia nelle realtà parallele o successive. Uno dei primi esempi di ciò ha per protagonista Toriel, il Mostro che salva l’Umano dal primo incontro con Flowey. Durante la prima partita, dopo averci lasciati soli, ci telefonerà per chiedere quale di due dolci preferiamo, se la torta alla cannella o i toffee: al videogiocatore è lasciata la possibilità di scelta. Una volta completato il gioco e iniziata una nuova partita, giunti al medesimo punto Toriel ci telefonerà per porci il medesimo quesito. In questo frangente, però, ella farà riferimento a una sorta di sensazione, come un ricordo sopito e offuscato. Esso non va interpretato come un movimento circolare del flusso cronologico, poiché un cerchio presuppone la reiterazione dei medesimi passi. Nel caso del videogame di Toby Fox, invece, i passi si assomigliano, spesso anche molto e non di rado sono pure identici ma non sono mai gli stessi. Alla luce di quanto detto sinora, la presentazione dell’Underground, il luogo ove si svolge l’avventura di Undertale, da parte di Flowey come un mondo nel quale vige l’antica regola del mors tua vita mea pone diversi quesiti fondamentali, quanto sottaciuti, due dei quali affronteremo ora. Le sue parole, infatti, pongono due accenti, uno più esplicito e uno meno evidente, ognuno dei quali cade su un nucleo differente della sua frase: il primo riguarda la scelta, se così si può definirla, tra l’uccidere e l’essere ucciso; il secondo, invece, celato dalla maggior enfasi (anche grafica, dato che “essere”, “be”, è stato scritto a caratteri maiuscoli) della quale è investito il primo, riguarda la prima metà della frase, «in this world», “in questo mondo”, che pare, in superficie, innocua, poiché apparentemente fa riferimento alla realtà immediatamente presente ai sensi dei personaggi che la abitano. Tuttavia, se è vero che quello di Undertale è un multiverso, con linee temporali diverse e parallele, allora deve essere necessariamente vero che ci siano mondi diversi e paralleli. Dunque, in quale mondo vige la regola del “kill or BE killed”? È quest’ultimo il primo quesito che vogliamo affrontare, poiché rappresenta un ostacolo ontologico di primaria importanza nonché il punto di partenza per poter poi analizzare quello morale (e non solo) inerente la scelta: in fondo, non si dà scelta senza un essere che la scelga. Punto di partenza saranno dunque la definizione di “mondo” e il dubbio esposto e analizzato da Martin Heidegger nel terzo capitolo, intitolato La mondità del mondo, del suo fondamentale Essere e Tempo: «quando si pone il problema del «mondo», a quale «mondo» ci si riferisce? Non a questo o a quello, ma alla mondità del mondo in generale»36. Questa prima, seminale formula heideggeriana, apre già uno spiraglio nella nostra riflessione su Undertale e sul significato delle parole di Flowey. Questo spiraglio coinvolge la discrepanza tra il mondo-particolare e il mondo-generale, essendo il primo manifestazione ontica del secondo: si tratta della medesima distanza che separa, platonicamente, l’imitazione dall’εἶδος (eidos, idea). Nel summenzionato capitolo della sua massima opera, Heidegger scrive che «il mondo è già sempre pre-aperto. Esso è quindi qualcosa «in-cui» l’Esserci, in quanto ente, già sempre era […]»37. La pre-apertura del mondo all’Esserci (ovvero all’uomo) sta a significare la pre-esistenza del mondo all’uomo ma, soprattutto, l’evidenziazione che il filosofo tedesco fa della formula «in-cui» è l’evidenziazione di una mono-universalità. Il significato che Heidegger dà al termine “mondo” è quello «preontologicamente esistentivo» di «ciò «in cui» un Esserci effettivo «vive» come tale»38. Egli, dunque, crea un rapporto di interdipendenza tra l’uomo e il mondo: si dà Esserci in quanto essere-nel-mondo e si dà mondo in quanto in-cui dell’Esserci. Tale descrizione, tuttavia, non può esaurire il mondo di Undertale, poiché esso eccede la mono-universalità heideggeriana. Tale mono-universalità è dettata dall’individualità degli uomini: se guardiamo solo all’Esserci, ovvero all’uomo, non possiamo limitarci che all’interpretazione mono-mondana del mondo. La meccanica quantistica e Undertale, tuttavia, ci parlano di un’interpretazione a molti-mondi, che prevede, dunque, una pluralità potenzialmente illimitata del medesimo individuo. Non al Dasein, dunque, dobbiamo guardare per svelare il mistero dell’ambiguità celata delle parole di Flowey. Uno dei maestri di Heidegger, tuttavia, può aiutarci: Edmund Husserl. Folgoranti, per la nostra ricerca, sono le prime righe del primo capitolo del suo impegnativo Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, nelle quali possiamo leggere che «l’orizzonte complessivo delle possibili indagini viene designato con una parola: il mondo»39. È fondamentale, per il punto d’osservazione nel quale ci siamo posti, notare come, pur non negando l’importanza dell’essere umano nella definizione di mondo (non v’è indagine senza uomo che la conduca), Husserl indirizzi la propria attenzione a definire il mondo sulla possibilità di ciò che con-esiste con l’uomo: «il mondo è l’insieme degli oggetti dell’esperienza possibile e della conoscenza empirica possibile di oggetti che poi, sulla base di esperienze attuali, diventano conoscibili dal pensiero teoretico esatto»40. L’apertura di Husserl alla possibilità è un’apertura alla Multiversalità. Come abbiamo visto, infatti, il multiverso è tale poiché ad ogni possibilità la linea del tempo si ramifica e ogni ramo così formato conduce a esiti differenti derivati da scelte, ovvero da attualizzazioni della possibilità, differenti. Rileggiamo e parafrasiamo le parole di Flowey alla luce di quelle di Husserl:
– «in questo mondo», ovvero “in questo «orizzonte complessivo delle possibili indagini»”, intendendo con “indagine” la determinazione di un dinatocoro che fa dunque collassare, in ognuno degli universi paralleli, in quello che abbiamo chiamato adelocoro tutte le alternative escluse da detta determinazione;
– «è uccidi o SII ucciso», vale a dire “le tue «esperienze attuali» rendono conoscibili le «esperienze possibili»”, esemplificate nella dicotomia “uccidi-sii ucciso”.
2.2. Toriel. Riflessioni sulla scelta nel multiverso
L’analisi filosofica di Undertale e, in generale, dell’esperienza videoludica permette di comprendere la struttura tripartita del Dasein heideggeriano come presentata da Jan Patoka in Body, Community, Language, World. Il filosofo ceco afferma che «entriamo sempre in uno spatium (possibilità) che è aperto a noi e che noi sappiamo essere aperto a noi»41, il che comporta, nel ragionamento di Patočka, «tre momenti strutturali del Dasein»:
1) «io sono davanti a [ahead of, nella traduzione inglese dal ceco di Dodd usata come riferimento, ndr] me stesso»;
2) «io sono situato da qualche parte, sono sempre già da qualche parte – dove?- in ciò che sblocca per me quelle possibilità, da dove io percepisco ciò che posso, cioè, dal mondo – io sono nel mondo»;
3) «sono davanti a me stesso ed in quel già ciò che devo fare si apre dinnanzi a me – così è come incontro le cose, esistenti intramondani».42
Facciamo un po’ di chiarezza. Essere davanti a se stessi significa, nelle parole dell’autore, che «noi che viviamo così, in un certo modo, abbiamo tali possibilità»43. Quando il videogiocatore, ad esempio, si trova dinnanzi a un nemico, in Undertale, ha un ventaglio di possibilità determinato dalla scrittura e dal codice dell’autore. Quando entriamo in questo spatium, come chiamato dal filosofo ceco, o dinatocoro, secondo la nomenclatura da noi proposta, siamo davanti a noi stessi poiché giungiamo all’incontro tra noi stessi e le possibilità, anello di congiunzione tra l’Io-giungente e l’Io-decidente: il momento nel quale la schermata di Undertale mostra l’”arena”, nella quale solo il cuore del protagonista, simbolo della sua Anima, viene mostrato, è il momento in cui l’avatar (diegeticamente) e il videogiocatore (extradiegeticamente) devono compiere la scelta, ovvero sono filosoficamente collocati tra l’avatar e il videogiocatore che precedono l’incontro e quelli che lo seguono. Poiché le possibilità definiscono quale versione di noi siamo, il momento della decisione assurge a momento di autodeterminazione: la scelta è uno specchio che riflette la nostra immagine, superato il quale diveniamo uno dei potenzialmente infiniti noi stessi. Il mondo patočkiano, similmente a quello husserliano, è ciò in cui si danno le possibilità. V’è però una differenza tra il maestro e l’allievo. Per Husserl, poiché il mondo è l’«orizzonte complessivo delle possibili indagini», tali possibilità sono a disposizione dell’uomo come libri su uno scaffale: il movimento che unisce uomo e possibilità va dal primo alla seconda, ovvero l’uomo “va verso” la possibilità e il mondo è solo il palcoscenico sul quale tale movimento avviene. Per Patočka, invece, il movimento è di natura diversa, poiché il mondo è ciò che «sblocca per me le possibilità»: non sono io che mi muovo verso la possibilità né essa si muove verso di me ma è mossa dal mondo nella mia direzione. Poiché, in questa dinamica, io non mi muovo ma “ricevo” dal mondo le possibilità nel mondo, va da sé che la natura del mio essere-nel-mondo è la natura del già. È, il nostro, un essere-già-nel-mondo.
Tale concezione del rapporto mondo-uomo-possibilità, che si conclude con l’incontro degli “esistenti intramondani” (ovvero gli enti che esistono nel mondo), trova una sua traduzione pratica nell’esperienza videoludica. Prendiamo a esempio l’immagine qui sopra: il Dummy è il primo “nemico” affrontato in Undertale e giunge dopo un dialogo con Toriel che prima spiega al nostro avatar che, dopo esser stati attaccati, bisogna parlare con i Mostri, non contrattaccare e poi ci invita a parlare a quel manichino inanimato. Al videogiocatore viene dunque richiesto di muovere il proprio personaggio verso il Dummy e di interagirvi, innescando così la battaglia. Il mondo di gioco, giunti a questo punto degli eventi, apre al videogiocatore una possibilità, mascherata da imposizione. Il dover-parlare-con-il-Dummy appare, infatti, come un obbligo poiché impedisce lo sviluppo dell’avventura qualora ci si rifiutasse di farlo. Quest’obbligo è tale solo diegeticamente, ma in qualità di scelta si configura anche extradiegeticamente. Al videogiocatore, infatti, è sempre aperta una possibilità, taciuta e nascosta in bella vista: l’abbandono del videogioco. Il movimento che imponiamo all’avatar in direzione del manichino, nel caso in cui optassimo per proseguire nell’avventura, ha luogo poiché il mondo si è aperto alla possibilità di muoversi: durante il dialogo, infatti, all’avatar sono impediti ogni movimento e ogni interazione con il medesimo mondo. Una volta attualizzata tale possibilità e interagito con il manichino, ecco che il mondo apre all’avatar/videogiocatore un nuovo dinatocoro, che si sviluppa su numerosi livelli di scelta differenti. Possiamo individuare una macro-possibilità e diverse micro-possibilità: la macro-possibilità riguarda la scelta morale tra l’assecondare le parole di Toriel e, dunque, parlare amichevolmente con il Dummy oppure il disobbedirle e aggredirlo; le micro-possibilità interessano invece, in questo caso specifico, le modalità pratiche di attualizzazione della macro-possibilità. In un’opera videoludica come Undertale, il videogiocatore non è un mero agente pragmatico, ovvero non è solo colui che, tramite l’azione fisica sulla tastiera o sul joypad, genera un effetto nel mondo virtuale. Egli è soprattutto, come scrive Miguel Sicart, un agente etico che ha il potere di «esercitare i propri valori su un mondo che li contempli o di vivere i valori del sistema e riflettere sulle sue conseguenze e sui suoi significati»44. Tuttavia, date la struttura dell’opera in questione e la sua “multiversalità, questo carattere di agente etico del videogiocatore potrebbe dissolversi, proprio perché di partita in partita egli è spinto a sperimentare nuove soluzioni e nuove scelte, spesso affrontando i propri valori, ignorandoli e contraddicendoli. Amanda Lange afferma, illustrando i risultati di un suo sondaggio sulla relazione tra i videogiocatori e le loro scelte morali, che «scegliere di fare la cosa giusta è la scelta della maggior parte dei partecipanti [al sondaggio, ndr] nella loro prima partita»45, sia tra coloro che affrontano un titolo una volta sola che tra coloro che rigiocano la medesima opera più volte.
Alla luce di quanto detto sinora, cosa significa dunque “scegliere” in un sistema multiversale? Esiste scelta nel momento in cui ogni scelta si auto-determina da sé facendo collassare una medesima situazione in n universi paralleli in ciascuno dei quali essa si sviluppa in maniere alternative? Nella sua prima partita il videogiocatore può decidere di assecondare Toriel e di parlare con il Dummy, in quella successiva può scegliere di ignorare le parole del Mostro e attaccare il manichino; oppure, possiamo ora decidere di non uccidere Papyrus, generando così una certa reazione da parte del fratello Sans nel finale dell’avventura, per poi sperimentare come quest’ultimo reagirebbe se, nella partita successiva, uccidessimo il simpatico guardiano; o, ancora, possiamo optare per la Genocide Run, affrontando così un’avventura totalmente diversa da quella della Neutral o della Pacifist. In una stupenda pagina di Enten-Eller, Kierkegaard si getta su una formulazione piuttosto complessa del significato della scelta e dell’oggetto della scelta:
Ciò che io scelgo non lo pongo, perché qualora non fosse posta non potrei sceglierlo, e però qualora non lo ponessi grazie al fatto che lo scelgo, non lo sceglierei. Esso è, perché qualora non fosse non potrei sceglierlo; esso non è, perché viene ad essere solo grazie al fatto che lo scelgo, e altrimenti la mia scelta sarebbe un’illusione.
Ma cos’è allora che io scelgo, è questo o quello? No, perché io scelgo assolutamente, e assolutamente io scelgo, appunto, grazie al fatto che ho scelto di non scegliere questo o quello. Io scelgo l’assoluto, e che cos’è l’assoluto? È me stesso nel mio eterno valore.46
La scelta assoluta è la determinazione del sé: quando scegliamo assolutamente, non scegliamo un oggetto ma determiniamo il nostro essere. Può dunque darsi una scelta assoluta in Undertale? Può darsi un «me stesso nel mio eterno valore»?
Stando alle posizioni sul multiverso illustrate più sopra, verrebbe da pensare che non possa darsi una scelta assoluta né che si possa essere padroni delle proprie scelte, poiché tutte le scelte verrebbero prese contemporaneamente, generando altrettanti tempi paralleli. Christian D. Schade, tuttavia, propone un modello differente di multiverso, che chiama clustered-minds multiverse, «nel quale un effettivo libero arbitrio esiste nella forma dell’esistenza di alternative possibilità e di un’influenza dell’individuo su quale ed in che misura verrà esperita»47. Questa concezione del multiverso prevede l’esistenza di un’unica realtà fisica nella quale gli individui prestino, alle diverse possibilità coesistenti, un differente grado di coscienza. Gli universi paralleli, dunque, non sono paralleli in quanto fisicamente differenti. In questa concezione del multiverso, la “versione” dell’Underground nella quale l’Umano stermina tutti non è diversa da quella nella quale egli non uccide nessuno. I due Underground sono il medesimo Underground nel quale le coscienze dei diversi personaggi di Undertale si “aggregano” con intensità diverse attorno alle differenti alternative. Consideriamo il True Lab, un’area di gioco esplorabile solamente perseguendo la Pacifist Run, nascosta dietro una porta all’interno del laboratorio di Alphys, la scienziata dell’Underground. Questa è una porzione del mondo fisico o virtuale, a seconda che lo si osservi dal punto di vista dei personaggi che lo abitano oppure come una finzione oggetto di studio narratologico, che è presente ai sensi solo se ci si immerge in una delle alternative possibili ma esso esiste all’interno del mondo, indipendentemente dall’universo parallelo nel quale ci si sia addentrati. Le singole partite iniziate e concluse dal videogiocatore gli permettono di esplorare di volta in volta il medesimo mondo, inteso nell’accezione di Husserl discussa più sopra, immedesimando uno dei livelli di intensità della coscienza dell’Umano. Allo stesso modo, reagendo a quella del protagonista, anche le coscienze degli altri personaggi di Undertale si addensano, con differente intensità, attorno alle varie alternative possibili, inclusa quella della morte di ciascuno di loro. Questa visione di Schade, che potrebbe apparire a taluni piuttosto fantasiosa se applicata al mondo reale, ben si adatta alla struttura di Undertale, poiché prevede che ogni individuo sia dotato di una coscienza che si suddivide nelle differenti alternative, le quali recano con sé l’esistenza di una serie potenzialmente infinita di universi paralleli. In questo modo risulta facile spiegare, superando la ciclicità del tempo che potrebbe manifestarsi a una visione superficiale dell’opera, come mai alcuni dei personaggi mantengano, tra una partita e l’altra, una sorta di cognizione di sé che supera i confini del proprio universo di appartenenza. È il caso di Toriel. Torniamo ad osservare le primissime battute dell’avventura successiva alla prima: il narratore illustra il prologo, come i Mostri siano stati costretti a vivere nell’Underground e come il nostro avatar si ritrovi in questo posto misterioso, divertente e inquietante. Egli si risveglia su di un letto di fiori d’oro e fa (nuovamente) la conoscenza di Flowey, che lo accoglie con un paio di battute che lasciano intendere una continuità con la partita precedentemente conclusa. A questo punto, Toriel si avvicina al nostro Umano ed il percorso con lei inizia identico a quello dell’avventura precedente. Dopo averlo lasciato solo, però, lo chiamerà, come in passato, per chiedergli la sua preferenza tra “butterscotch” e “cinnamon pie”. Riportiamo di seguito le battute di questo frangente, cruciale ai fini della nostra analisi:
Hello? This is TORIEL. For no reason in particular… Which do you prefer? Cinnamon or butterscotch? … wait. Do not tell me. Is it butterscotch? [Il videogiocatore deve scegliere tra “Yes” o “No”. Le battute successive si riferiscono alla risposta positiva] Hee hee hee. I had a feeling. When humans fall down here, strangely… I… I often feel like I already know them. Truthfully, when I first saw you, I felt… like I was seeing an old friend for the first time. Strange, is it not?
Vi è una sorta di comunicazione inconscia e inter-universale tra le Toriel che costellano il multiverso di Undertale, poiché l’entità-Toriel è dotata di una macro-coscienza (o potremmo chiamarla coscienza-ombrello) che contiene in sé tutte le micro-coscienze che, come detto, si suddividono tra le realtà parallele con “intensità” differenti. Dato che il Mostro parla di feeling e non di certezza, si può escludere senza timore di smentita, come accennato poco sopra, l’ipotesi della ciclicità del tempo di Undertale. È una sensazione evanescente che risiede nel fondo della micro-coscienza di questa Toriel, non un sapere. Se il tempo fosse unico e ciclico, allora Toriel avrebbe avuto una intuizione empirica, strettamente legata alla visione. L’’ntuizione empirica diviene un vedere eidetico (Wesenserschauung, che Husserl chiama anche ideazione) che consente di vedere «la corrispondente essenza pura o eidos [corsivo nell’originale]»48: “questa” Toriel non ha mai visto il protagonista ma, in un certo senso, lo ha visto. Si tratta di una visione metafisica, che è stata empirica in un altro universo parallelo e che si è riverberata in tutti gli altri.
2.3. Sans. Riflessioni su differenza e ripetizione nel multiverso
Diverso è invece il discorso che riguarda uno dei personaggi più importanti e misteriosi dell’opera di Toby Fox: Sans. La sua natura ambigua, che lo vede tanto come “linea comica” del videogioco quanto come creatura estremamente inquietante e minacciosa, non riguarda solo il suo atteggiamento e le sue parole ma anche una sua particolare abilità, oggetto di numerose speculazioni da parte degli amanti di Undertale: teletrasportarsi usando gli “shortcut”. Egli ha una consapevolezza del “sistema” unica in tutta l’opera. Facciamo solo un paio di esempi:
– all’inizio dell’avventura, appena fatta la sua conoscenza, egli scambia alcune battute con il fratello Papyrus, facendo ricorso a simpatici giochi di parole in inglese. In questo frangente, ogni pun è accompagnato da uno zoom della “macchina da presa” su Sans, che si gira verso l’obiettivo e fa un occhiolino, rompendo la quarta parete, direttamente al videogiocatore. Sans sa dunque sia di essere osservato da un’entità esterna e, se vogliamo, superiore – il videogiocatore stesso -, sia dove questa entità si trovi;
– egli conosce il “salvataggio” (SAVE), sa quale sia il suo potere e, qualora il videogiocatore completasse Undertale senza salvare, durante la chiamata post-finale, Sans pronuncerebbe queste parole: «it’s been a while. Shouldn’t you SAVE?», dando prova di aver accesso ai dati di gioco.
Insomma, Sans è un personaggio che eccede la quarta parete, un personaggio in e off, al tempo stesso interno ed esterno alla struttura narrativa di Undertale. In questa terza sezione della seconda parte del nostro saggio ci concentreremo sulla funzione del SAVE e sulla capacità di Sans di viaggiare tra gli universi paralleli o, per proseguire sulla linea di pensiero di Schade, di aumentare e ridurre la “intensità” dei suoi singoli “frammenti” di coscienza disseminati per il multiverso (come vedremo, questa abilità è condivisa anche con il protagonista di Undertale). Andiamo con ordine: che cos’è il SAVE? Banalmente è la meccanica del salvataggio della partita, la quale però è stata inglobata da Toby Fox nel sistema narrativo della sua opera. Esso non è quindi un semplice meccanismo extradiegetico che consente al videogiocatore di «catturare un’istantanea del mondo di gioco e tutti i suoi particolari in un dato istante e [di] immagazzinarli»49. Il SAVE è un meccanismo strettamente connesso con il tempo, poiché consente di tornare indietro e rivivere la propria linea temporale oppure di tornare indietro e sviluppare la propria coscienza lungo il sentiero che appartiene a un altro universo parallelo. Tra i personaggi di Undertale che appartengono alla principale linea narrativa, Sans non è il solo a essere a conoscenza di questo potere, che è conferito solo a quelle creature dotate di un’elevata determinazione (Determination, altro elemento cruciale nella narrazione di Undertale): anche Flowey sa dell’esistenza del SAVE e, quando nel finale della Neutral Run assorbe in sé le sei anime umane custodite dal re Asgore, trasformandosi così di Photoshop Flowey, si impadronirà anche dei salvataggi del videogiocatore, corrompendoli, sovrascrivendoli e usandoli contro il protagonista. Insieme a loro, c’è un terzo e misterioso personaggio, oggetto di infinite speculazioni da parte degli amanti dell’opera, tanto evanescente quanto fondamentale. Incontrarlo durante l’avventura è una sfida assai ardua, poiché per farlo è necessario seguire precise indicazioni e, anche qualora si riuscisse a interagire con esso, si tratterebbe di momenti brevissimi che lasciano più dubbi che risposte: D. W. Gaster, lo scienziato di corte che ha preceduto Alphys, e sul cui lavoro, che è possibile approfondire nel True Lab, si fonda un ampio numero di elementi narrativi. Come abbiamo più volte ripetuto, tutto Undertale ruota attorno alla scelta del videogiocatore in una misura raramente riscontrata in altri videogiochi choice-based e al tempo stesso evidenzia come, nel multiverso, quale che sia l’interpretazione di esso che si scelga (quella di Everett, di Schade, ecc), poiché tutte le possibilità si realizzano in differenti Universi, la vera scelta non è una risposta agli stimoli che l’individuo riceve dal Mondo ma concerne la decisione di addentrarsi in questa o in quella linea temporale parallela. Il tessuto narrativo creato da Toby Fox risponde a quello che Alan Peacock chiama senso di completezza nella sfera della cursality (una delle tre che contribuiscono a definire le qualità dell’Interactive).
Con cursality egli intende quell’ambito dell’interazione che riguarda il numero delle scelte disponibili e il conseguente sviluppo degli eventi50: a una maggiore densità delle scelte corrisponde il senso di completezza; viceversa, una minore densità implicherà un senso di incompletezza. A questa prima definizione, Peacock aggiunge che la cursality «è la percezione sia della singola linea che risulta dalle azioni sia la possibilità di tutti i sentieri alternativi che portano a e partono da questo punto»51 e, dunque, essa è profondamente connessa con il concetto di ripetizione. Facciamo un rapido riepilogo: in Undertale il SAVE riveste un ruolo fondamentale; esso permette al videogiocatore e al suo avatar di viaggiare nel tempo e di tornare a un punto della linea temporale precedente rispetto a quello nel quale si trova in un certo momento; in questo modo, egli può eseguire nuovamente azioni già eseguite, correggere errori, esplorare nuovi universi incamminandosi verso linee temporali parallele a quella di partenza. Per Gilles Deleuze la ripetizione non è la reiterazione, per così dire, in scala 1:1 di qualcosa che ha già avuto luogo. In essa è insita la differenza. «Sotto ogni aspetto, la ripetizione è la trasgressione»52 di un immutabile, poiché ciò che è avvenuto è sigillato in uno stato quasi di ibernazione: solo questo coincide con l’identità. Undertale è la perfetta traduzione videoludica del concetto deleuziano di ripetizione e Sans ci aiuta a comprenderlo. Abbiamo già menzionato lo scontro che si ha con lui nella parte finale della Genocide Run: sconfiggerlo è una sfida complicata, sfiancante e frustrante che giunge a compimento di un’avventura essa stessa complicata, sfiancante e frustrante.
Qualora il videogiocatore/avatar ne uscisse sconfitto, sarebbe costretto a ricaricare l’ultimo SAVE, tornando così indietro nel tempo e addentrandosi in un nuovo universo parallelo. Tornato davanti a Sans, questi, di volta in volta, terrà il conto delle morti, non senza una nota di sadica e cinica ironia: egli, come già detto, è in grado di spostarsi tra le linee temporali, proprio come il protagonista, che, di morte in morte, si renderà più torvo in volto. Questo movimento laterale tra medesimi istanti di universi paralleli assume in sé l’eliminazione dall’esperienza – dunque non “materiale”-, di volta in volta, del momento appena abbandonato. Nell’esempio appena illustrato, la vita del protagonista si estingue nell’universo A ma insiste nell’universo B, nel quale la sua macro-coscienza “sposta” la frazione di coscienza estinta nell’universo A. La ripetizione della lotta con Sans, come si evince, risponde a quanto descritto da Deleuze: «[e]lementi identici non si ripetono se non sotto la condizione di un’indipendenza dei «casi», di una discontinuità delle «volte» che fa sì che l’uno non appaia senza che l’altro sia scomparso»53, ovvero differenza e ripetizione sono elementi intimamente intrecciati. «E non si creda […] che la differenza sia esterna alla ripetizione, poiché ne è parte integrante, parte costitutiva, profondità senza di cui nulla si ripeterebbe alla superficie»54.Nell’esempio che abbiamo fatto dello scontro con Sans, resta evidente la natura della differenza descritta da Gilles Deleuze. Per il filosofo francese, tra le menti più brillanti dello scorso secolo, essa «è bifronte». Citiamo ora un passaggio fondamentale della sua tesi di dottorato:
Così la differenza viene a trovarsi tra due ripetizioni: la ripetizione superficiale degli elementi esterni identici e istantanei che contrae, e la ripetizione profonda delle totalità interne di un passato sempre variabile, di cui è il livello più contratto. E così si può dire che la differenza è bifronte o che la sintesi del tempo si presenta sotto due aspetti: l’uno, l’Habitus, teso verso la prima ripetizione che rende possibile; l’altro, Mnemosine, offerto alla seconda ripetizione da cui promana.55
Osservando con lo sguardo di Deleuze l’esperienza di Undertale in generale, e dello scontro con lo scheletro in particolare, si può finalmente squarciare il velo che avvolge il multiverso, almeno, per come è ritratto da Toby Fox. Quando si considerano, con uno sguardo d’insieme, tutte le linee temporali si vede come l’empeirìa sia la coesistenza di stati contraddittori del Medesimo: nell’universo A si avrà il caso a, che è coerente con sé stesso ma differente dal caso b, reazione al medesimo impulso a cui reagisce a, dell’universo B. Come scrive Gérard Genette, «l’Autre est un état paradoxal du Même»56, “l’Altro è uno stato paradossale dello Stesso”.
NOTE
1. Lesky, Storia della letteratura greca. Vol. I, Lesky, p. 290.
2. «Choices for ‘making sense’ of something as a narrative abound already at the foundamental level of histoire», Narrative models: narratology meets artificial intelligence, P. Gervàs, B. Lönneker-Rodman, J. Meister, F. Peinado, https://www.semanticscholar.org/paper/Narrative-Models-%3A-Narratology-Meets-Artificial-Gerv%C3%A1s-L%C3%B6nneker-Rodman/2219a6024f1d660c2a17b6f1129aa762e34af150 (url consultato in data 09/09/2020)
3. T. d’Aquino, F. Fiorentino (a cura di), Sulla verità, Bompiani, pp. 1580-1581.
4. «A book doesn’t change, no matter how often you read it, but when you play, you make choices that affect the course of events», Fundamentals of game design, p. 4, E. Adams, New Riders
5. Dark Souls Wiki, New Game Plus, https://darksouls.wiki.fextralife.com/New+Game+Plus (url consultato in data 14/09/2020)
6. Metal Gear Planet, Segreti, https://metalgearplanet.it/giochi/metal-gear-solid/segreti (url consultato in data 14/09/2020)
7. J. Dewey, L’arte come esperienza, La Nuova Italia, p. 230.
8. «[…] a way of accessing, manipulating and using an invisible set of data that has its own […] existence somewhere else in some other form»Towards an aesthetic of ‘the Interactive’, A. Peacock, in Digital Creativity, 12:4, pp. 239-240
9. «[…] has an immediacy, and an inclusive involvement in which the reader/user/player becomes part of the discourse and in that becoming directs the form of it», ivi., p. 240
10. «the linear text may be seen as a special case of the nonlineare in which the convention is to read word by word from beginning to end», E. J. Aarseth, Nonlinearity and literary theory, in G. Landow (a cura di), Hyper/Text/Theory, Johns Hopkins University Press, p. 762.
11. «A nonlinear text is an object of verbal communication that is not simply one fixrd sequence of letters, words, and sentences but one in which the words or sequence of words may differ from reading to reading because of the shape, conventions, or mechanisms of the text», Ibid.
12. «If a game tries to create the illusion that the player inhabits a fantasy world, the act of saving destroys the illusion. One of the most significant characteristics of real life is that you cannot return to the past to correct your errors; the moment you allow a player to repeat the past, you aknowledge the unreality of the game world», E. Adams, op. cit., p. 280
13. E. Aarseth, Aporia and Epiphany in Doom and The Speaking Clock. The temporality of ergodic art, in M.-L. Ryan (a cura di),Cyberspace textuality. Computer technology and literary theory, Indiana University Press, p. 37
14. Ibid.
15. Ivi, p. 32
16. P. Ricoeur,Tempo e racconto, volume terzo. Il tempo raccontato, Jaca Book pp. 410-411
17. A. J. Greimas, Del senso 2. Narrativa, modalità, passioni, Bompiani, p. 209
18. Per Barthes, lo scrivibile ha lo scopo di «fare del lettore non più un consumatore ma un produttore del testo», mentre il leggibile immerge il lettore «in una sorta di ozio, di intransitività, e, per dir tutto, di serietà [corsivo nell’originale]», R. Barthes, S/Z, Piccola Biblioteca Garzanti, p.10.
19. Il tempo della saga di Dark Souls non è, come evidenziato recentemente dal noto youtuber ed esperto italiano Michele Poggi (a.k.a. Sabaku No Maiku), ciclico ma «stagnante». Per questo motivo, Dark Souls può essere a pieno titolo considerato come antitetico rispetto ad Undertale e vicino a quei titoli che hanno una narrazione lineare: a differenza di quanto comunemente sostenuto dagli appassionati del videogame di Miyazaki Hidetaka, non vi sono universi paralleli e timeline alternative, come spiega Poggi. Al contrario, tutto è immobile e, appunto, stagnante, a differenza di quello che, come già accennato e meglio approfondito più avanti, avviene in Undertale. Dark Souls 3, L’Anima Oscura III [2] – Sabaku No Maiku, “Il Vincolo del Tempo”, https://www.youtube.com/watch?v=U9KqIqfqVKM.
20. «[…] each initial observation on a system caused the system to “jump” into an eigenstate in a random fashion and thereafter remain there for subsequent measurements on the same system», H. Everett III, The theory of the universal wave function, in B. DeWitt, N. Graham (a cura di), The Many-Worlds interpretation of quantum mechanics, Princeton University Press, p. 70
21. Cfr. J.D. Trimmer, The present situation in quantum mechanics: a translation of Schrödinger’s “cat paradox” paper, p. 328, in Proceedings of the American Philosophical Society, vol. 124, n. 5
22. «[…] recognize that although technically computers are more reactive than interactive, videogame play nevertheless affords a strong illusion of interactivity», S. Stang, “This action will have consequences”: interactivity and player agency, Gamestudies.org, http://gamestudies.org/1901/articles/stang (url consultato in data 23/09/2020)
23. «[…] videogames are not interactive, or even ergodic», The myth of ergodic videogame. Some thoughts on player-character relationship in videogames, J. Newman, Gamestudies.org, http://www.gamestudies.org/0102/newman/ (url consultato in data 25/09/2020)
24. «videogames do not presente a singularly ergodic experience», ibid.
25. S. Stang, op. cit.
26. «[…] decision making of some kind is a necessary condition of the Interactive. The user forms story from more or less open sets of options which are presented to them», A. Peacock, op. cit., p. 241
27. «[…] give up the idea that time flows -no matter in what direction», C. D. Schade, Free will and consciousness in the Multivere. Physics, philosophy and quantum decision making, Springer, p. 43
28. «Other times are just special cases of other universes», D. Deutsch,The fabric of reality, Penguin Books, p. 278
29. S. Kierkegaard, Enten-eller. Tomo quinto, Adelphi, p. 20
30. Con il termine inglese sprite si indicano i modelli 2D di quegli enti che possono essere mossi, in opposizione alla fissità del background, lo sfondo che, per sua stessa natura, è immobile. Per approfondire, cfr. Sprite su TechTerms, https://techterms.com/definition/sprite (url consultato in data 28/09/2020)
31. G. Leopardi, L’infinito, in F. Bandini (a cura di), Canti, Garzanti, p. 120. Cfr. anche la relativa nota al testo: «non naufragio mistico, ma piacere e abbandono del sentimento e della fantasia, «un piacere che l’anima non possa abbracciare, cagione vera per cui l’infinito le piace» (Zibaldone, 180) […].»
32. W. Heisenberg, Il contenuto intuitivo della cinematica e della meccanica nella teoria quantistica, in S. Boffi (a cura di), Il principio di indeterminazione, Quaderni di fisica teorica, Università degli studi di Pavia Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica, p. 58
33. Il giardino dei sentieri che si biforcano, in J. L. Borges,Tutte le opere, Arnoldo Mondadori Editore p. 696
34. Ivi, p. 698
35. «[…] instances of repetition with an ontological difference», D. M. Baluch, Time, narrative, and the Multiverse: post-newtonian narrative in Borges’s “The Garden of the Forking Paths” and Blake’s Vala or The Four Zoas, The Comparatist, Volume 27, May 2003, The University of North Carolina Press, p. 64
36. M. Heidegger, P. Chiodi (a cura di), Essere e Tempo, UTET, p. 135
37. Ivi, p. 150
38. Ivi, p. 136
39. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Mondadori, p. 13, corsivo nell’originale
40. Ivi, p. 14
41. J. Patoka, J. Dodd (a cura di), Body, Community, Language, World, Open Court Publishing, p. 128
42. Ibid.
43. Ibid.
44. «[…] to either apply her own values to a world that acknowledges them, or to live the values of the system and reflect upon its consequences and meanings», M. Sicart,The ethics of computer games, The MIT Press, p. 163
45. «Choosing to do the right thing is the majority opinion among participants in their first playthrough», A. Lange, “You’re just gonna be nice”: how players engage with moral choice systems, Journal of Game Criticism, http://gamescriticism.org/articles/lange-1-1 (url consultato in data 20/10/2020)
46. S. Kierkegaard, op. cit., p. 93
47. «[…] where an actual free will exists in the form of the experience of alternative possibilities and an influence of the individual on what will be experienced to what extent», C. D. Schade, op. cit., p. 4
48. E. Husserl, op. cit., p. 16
49. «Saving a game takes a snapshot of a game world and all its particulars at a given istant and stores them away […]», E. Adams, op. cit., p. 279
50. A. Peacock, op. cit., p. 242
51. «Cursality is the perception of both the single line that is the outcome of actions and the possibility of all alternative paths leading to and from this point», ivi, p. 244
52. G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Il Mulino, p. 12
53. Ivi, p. 454
54. Ivi, p. 455
55. Ivi, p. 456
56. G. Genette, Figures I, Éditions Du Seuil, p. 20