– È la natura della morte moderna, – considerò Murray. – Ha una vita indipendente da noi. Sta crescendo in prestigio e dimensione. Dispone di uno slancio mai conosciuto prima. Noi la studiamo obiettivamente. Possiamo predirne l’aspetto, seguirne il corso nel corpo. Possiamo ritrarla in sezione, registrarne su nastro tremori e onde. Non le siamo mai stati tanto vicini, mai abbiamo avuto tanta famigliarità con le sue abitudini e i suoi atteggiamenti. La conosciamo nell’intimo. Ma lei continua a crescere, ad aumentare in dimensione e portata, ad acquisire nuovi sbocchi, nuovi passaggi e mezzi. Più ne apprendiamo, più cresce. Ogni progresso in conoscenza e tecnica viene pareggiato da un nuovo tipo di morte, da una nuova specie. La morte si adatta, come un agente virale.
– Don DeLillo, Rumore bianco
Perché la morte è nell’aria, – rispose in tono soave. – Significa liberare materiale rimosso. Significa arrivare più vicini a qualcosa di noi stessi che non abbiamo appreso.
Ibidem
Cinque anni sono ormai trascorsi da quando, su queste pagine virtuali, dedicammo un memorabile speciale a quelli che definimmo «fantasmi dell’era digitale». Facciamola breve: qualità essenziale di questi «fantasmi» non era ovviamente la loro afferenza al regime del perturbante freudiano, ma la collocazione in un complesso orizzonte estetico, semantico e cognitivo situato in una nuova regione dell’immaginario dove la realtà diegetica – riprendendo quanto già scritto a proposito di Cosmopolis [id., David Cronenberg, 2012] – diventa pura «rappresentazione mentale». Un indirizzo di pensiero e una modalità di rappresentazione tutt’altro che scomparsi, tant’è che recentemente Olivier Assayas ne ha forse sfiorato i «superbi fastigi» teorici con la sua miniserie Irma Vep [id., creata e diretta da Olivier Assayas, 2022]. Eppure, quanto ai tempi sembrava essere un luogo d’approdo, una stazione terminale verso cui confluivano processi di trasformazione e di crisi linguistica, sintattica, filosofica e chi più ne ha più ne metta, in verità non era altro che l’ennesimo punto di partenza.
Un fotogramma di Irma Vep (2022)
Certo, tappa obbligata di questo nuovo viaggio non può che essere l’irruzione su scala globale della pandemia di Covid-19 e gli sconvolgimenti che ha prodotto pressoché in ogni sfera dell’agire sociale, della percezione individuale e, invariabilmente, delle strategie di racconto.
Dissipatio (2020) di Filippo Ticozzi, notevole esempio di film «intra-Covid»
Qui giunti, una premessa è doverosa: se infatti è piuttosto facile stabilire i criteri di rappresentazione di un cinema «intra-Covid» (inevitabilmente concentrazionario, coniugato alla prima persona singolare, incentrato sul rapporto tra campo e fuoricampo come prosecuzione del sempiterno legame tra visibile e invisibile: a tal proposito, si consiglia di recuperare il bellissimo Dissipatio [2020] di un autore che ci sta molto a cuore come Filippo Ticozzi), per ovvie ragioni è necessario attendere la naturale applicazione del filtro del tempo e della memoria per poter compiutamente scandagliare le dinamiche di un cinema propriamente «post-Covid». Ciò nondimeno, è possibile individuarne alcune tracce, fastelli di materia rozzamente accatastati, piccoli baluginii riconoscibili al giroscopio. Quello a cui ci interessa qui brevemente accennare (senza alcuna pretesa analitica), proprio perché intimamente connesso alla figura del «fantasma», è il ruolo giocato dalla Morte, presenza sempre più ostinata e insopprimibile.
In fondo, basta partire da un semplice accertamento e prendere nota di quanti, tra i film di maggior peso (autoriale o commerciale, tralasciando per ragioni di spazio le opere a oggi confinate nei perimetri festivalieri) degli ultimi due anni, si presentino come lunghe marce d’avvicinamento alla morte. Giusto per compilare un elenco tutt’altro che esaustivo: a partire da un film di prossima uscita come Crimes of the Future [id., David Cronenberg, 2022] – che, per certi aspetti, sembra quasi un encausto del fondamentale cortometraggio The Death of David Cronenberg [id,, Caitlin e David Cronenberg, 2021] – , si configurano come tali No Time to Die [id., Cary Joji Fukunaga, 2021], Esterno notte (2022, Marco Bellocchio), Don’t Look Up [id., Adam McKay, 2021], Il potere del cane [The Power of the Dog, Jane Campion, 2021], The Northman [id., Robert Eggers, 2022], Nostalgia (2022, Mario Martone), Leonora addio (2022, Paolo Taviani), Vortex [id., Gaspar Noé, 2021], The Last Duel [id., Ridley Scott, 2021], House of Gucci [id., Ridley Scott, 2021], Macbeth [The Tragedy of Macbeth, Joel Coen, 2021], West Side Story [id., Steven Spielberg, 2021], Elvis [id., Baz Luhrmann, 2022], Judas and the Black Messiah [id,, Shaka King, 2021], I giganti (2021, Bonifacio Angius), Sir Gawain e il Cavaliere Verde [The Green Knight, David Lowery, 2021], Gold [id., Anthony Hayes, 2022], Il cattivo poeta (2021, Gianluca Jodice), The Italian Banker (2021, Alessandro Rossetto), Atlantide (2021, Yuri Ancarani), Ghiaccio (2022, Alessio de Leonardis e Fabrizio Moro) e I molti santi del New Jersey [The Many Saints of Newark, Alan Taylor, 2021]. Lo è persino Thor – Love and Thunder [id., Taika Waititi, 2022]. In maniera traslata anche Spencer [id., Pablo Larraín, 2021].
L’attesa della Morte diventa rituale individuale e collettivo: Don’t Look Up
La presenza della Morte, da elaborare o esorcizzare, si ritrova per esempio in Marx può aspettare (2021, Marco Bellocchio), È stata la mano di Dio (2021, Paolo Sorrentino), The Batman [id., Matt Reeves, 2022], Men [id., Alex Garland, 2022], Annette [id., Leos Carax, 2021], Il collezionista di carte [The Card Counter, Paul Schrader, 2021], Top Gun: Maverick [id., Joseph Kosinski, 2022], La fiera delle illusioni – Nightmare Alley [Nightmare Alley, Guillermo del Toro, 2021], La donna alla finestra [The Woman in the Window, Joe Wright, 2021], Drive My Car [Doraibu mai kā, Ryūsuke Hamaguchi, 2021], Petite maman [id., Céline Sciamma, 2021], Tre piani (2021, Nanni Moretti), Ghostbusters – Legacy [Ghostbusters: Afterlife, Jason Reitman, 2021], Madres paralelas [id., Pedro Almodóvar, 2021], Lei mi parla ancora (2021, Pupi Avati), Piccolo corpo (2021, Laura Samani), The Voyeurs [id., Michael Mohan, 2021], Welcome Venice (2021, Andrea Segre), la trilogia di Fear Street [id., Leigh Janiak, 2021], Frammenti dal passato – Reminiscence [Reminiscence, Lisa Joy, 2021], L’arminuta (2021, Giuseppe Bonito), Atlas (2021, Niccolò Castelli), The Adam Project [id., Shawn Levy, 2021], L’angelo dei muri (2021, Lorenzo Bianchini), Caro Evan Hansen [Dear Evan Hansen, Stephen Chbosky, 2021], The Forgiven [id., John Michael McDonagh, 2021] e Time Is Up (2021, Elisa Amoruso). Anche in tre film del MCU come Spider-Man – No Way Home [id., Jon Watts, 2021], Doctor Strange nel multiverso della follia [Doctor Strange in the Multiverse of Madness, Sam Raimi, 2022] ed Eternals [id., Chloé Zhao, 2021] e, sotterraneamente, nel remake di …altrimenti ci arrabbiamo! (2022, YouNuts!).
Marx può aspettare e la Morte come strumento per ridare significato alla Vita.
Suggestioni tanatologiche (dirette o per metafora) si riscontrano poi p.e. in Titane [id., Julia Ducournau, 2021], America Latina (2021, Damiano e Fabio D’Innocenzo), Candyman [id., Nia DaCosta, 2021], Nope [id., Jordan Peele, 2022], Matrix Resurrections [The Matrix Resurrections, Lana Wachowski, 2021], France [id., Bruno Dumont, 2021], The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun [id., conosciuto anche col titolo The French Dispatch, Wes Anderson, 2021], Old [id., Manoj Night Shyamalan, 2021], Re Granchio (2021, Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis), Acque profonde [Deep Water, Adrian Lyne, 2022], Ultima notte a Soho [Last Night in Soho, Edgar Wright, 2021], Beckett (2021, Ferdinando Cito Filomarino), La nave sepolta [The Dig, Simon Stone, 2021], Maninstream – Nessuno di speciale [Mainstream, Gia Coppola, 2021], tick, tick… Boom! [tick, tick… BOOM!, Lin-Manuel Miranda, 2021], Zeroes and Ones [id., Abel Ferrara, 2021], Darkling [id., Dušan Milič, 2022] e Downton Abbey II – Una nuova era [Downton Abbey: A New Era, Simon Curtis, 2022]. In chiave antispecista anche in Cow [id., Andrea Arnold, 2021].
Titane: aggiornamento dell’imperituro legame tra Eros e Thanatos.
Senza contare film marcatamente di genere dove la Morte è per tradizione un elemento imprescindibile, come (tra i milioni di esempi possibili) Occhiali neri (2021, Dario Argento), Halloween Kills [id., David Gordon Green, 2021], No Sudden Move [id,, Steven Soderbergh, 2021], Army of the Dead [id., Zack Snyder, 2021], Assassinio sul Nilo [Death on the Nile, Kenneth Branagh, 2022], Ambulance [id., Michael Bay, 2022], Moonfall [id., Roland Emmerich, 2022], Malignant [id., James Wan, 2021], Black Phone [The Black Phone, Scott Derrickson, 2022], A Classic Horror Story (2021, Roberto De Feo e Paolo Strippoli), Fino all’ultimo indizio [The Little Things, John Lee Hancock, 2021], Firestarter [id., Keith Thomas, 2022], Non mi uccidere (2021, Andrea De Sica), Old Henry [id,, Potsy Ponciroli, 2021], La scuola cattolica (2021, Stefano Mordini), Yara (2021, Marco Tullio Giordana), Prey [id., Dan Trachtenberg, 2022], Appunti di un venditore di donne (2021, Fabio Resinaro) ed Ero in guerra ma non lo sapevo (2022, Fabio Resinaro).
In Occhiali neri la Morte diventa rappresentazione simbolica di una sovversione di tutte le forze: cosmiche e astrali (l’eclisse), individuali e biologiche (il ruolo degli animali).
Figuratamente, la morte aleggia anche in film d’autore come Cry Macho – Ritorno a casa [Cry Macho, Clint Eastwood, 2021] e Qui rido io (2021, Mario Martone).
La morte in Qui rido io diventa immagine simbolica di un Super-Io che cerca di riportare all’unità un’Io pirandelliamente polverizzato e frantumato, scisso in una molteplicità di maschere che sono la prospettiva della fine può ricomporre.
Come accennato, è impossibile allo stato attuale dare una spiegazione a questa onnipervasività della Morte. Si possono tuttavia formulare alcune ipotesi, sulle quali sarà necessario ritornare con le inevitabili verifiche a posteriori. Ci limiteremo qui a elencare le principali, aggiungendovi tutt’al più qualche piccola riflessione.
Si tratta forse di semplice casualità o coincidenza? Oppure, in essa, è stato identificato un nuovo strumento di mediazione tra l’individuo e la società, conseguenza di quella che Noam Chomsky ha definito come una «crisi di civiltà»1? Forse l’emersione prepotente di una forza trascendente è una risposta o una reazione immediata di fronte all’anomalo scacco portato da un nemico invisibile? O invece è la riesumazione dell’antica idea che riflettere sulla Morte, «evocando un qualche senso di trascendenza ispirato dal sentirsi parte di una dimensione superiore nella quale con-fondersi», serva «per costruire la propria identità»2, specie al termine di un periodo di crisi o smobilitazione di verità e certezze? La Morte è diventata l’experimentum crucis capace di dirimere ogni controversia, cancellare le polarizzazioni e d’imporsi come unica realtà incontrovertibile? E se essa costituisse l’unico punto fisso all’interno della ricerca di un nuovo ordine (morale, civile, spirituale in senso laico), necessaria per intraprendere un percorso di rinnovamento (egualmente morale, civile, spirituale in senso laico)? O si assiste invece alla definitiva riconversione di una rete simbolica, poiché, se «dal secondo dopoguerra, l’Occidente ha costruito progressivamente uno scenario capace di eclissare la presenza della morte come evento concreto, per allestirne la rappresentazione all’interno di un immaginario funzionale alla rimozione collettiva»3 – affermazione vera peraltro più dal punto di vista ideologico che squisitamente estetico –, oggi questo scenario è diventato tristemente anacronistico e tra realtà e rappresentazione non c’è più separazione ma coincidenza?
In Leonora addio, la Morte diventa strumento d’interrogazione della vita, del mondo, della storia e del senso della rappresentazione artistica.
Oltre alla constatazione matematica della diffusione invadente e indiscreta della Morte, l’unico, piccolissimo appiglio a cui ci si può aggrappare per foraggiare il discorso consiste nel rivelare alcune generalità di questa nuova modalità di rappresentazione. Proviamo a fare un breve confronto con quanto accaduto nel lustro precedente. Nell’orizzonte mentale ed estetico dominato dai «fantasmi dell’era digitale», infatti, la Morte diventava spesso una a forma a priori sulla quale costruire il mondo narrato: quanti film, infatti, sembravano collocare il proprio universo in una specie di limbo post o intra-mortem, un tartaro a volte glaciale e altre volte ribollente dove le tradizionali dimensioni di spazio e tempo assumevano attribuzioni incerte e a dominare era un sentimento di Weltschmerz, una specie d’inquietudine atrabiliare provocata da un senso di separazione tra il soggetto e la realtà (si penso – tra i film di cui abbiamo approfonditamente discusso in questa sede – allo stesso Cosmopolis, Personal Shopper [id., Olivier Assayas, 2016], Cavallo Denaro [Cavalo Dinheiro, conosciuto anche col titolo internazionale Horse Money, Pedro Costa, 2014] o INLAND EMPIRE – L’impero della mente [INLAND EMPIRE, David Lynch, 2006])? Oppure si pensi anche al carattere paradossalmente transitorio della Morte, un tentato esorcismo attuato attraverso il superamento del suo carattere conclusivo, incorruttibile e risolutivo: quante volte la Morte è stata sfidata (come in un altro romanzo di DeLillo: Zero K), sconfitta, ingannata, beffata, quante volte un personaggio è tornato in vita dopo essersi leopardianamente chiuso alla luce? Basti pensare almeno al caso, di vasta eco mediatica, del Jon Snow di Il trono di spade [Game of Thrones, creata da David Benioff e D.B. Weiss, 2011-19].
Oggi, invece, la Morte sembra avere assunto nuovamente una funzione rituale, si è rimpannucciata in un abito greve e solenne, mostra le stimmate della verità contemporaneamente fisica e metafisica, è il punto di commessura del sapere scientifico e spirituale, come testimonia perfettamente Crimes of the Future, dove addirittura la sua ineluttabilità si cristallizza nell’orizzonte estetico della performance. Per certi versi, se il cinema di fantasmi (di cui sopra) portava alla massima astrazione quel processo di creazione nato dalla profonda autocoscienza dei meccanismi del linguaggio tipico della postmodernità, certificando – come ha sostenuto Alfonso Berardinelli – la fine del Novecento4, oggi la Morte sembra riappropriarsi dei suoi caratteri pienamente ottocenteschi dove, riprendendo quanto scrisse Leonid Grossman a proposito di Dostoevskij5, essa torna a essere posta sotto il segno dell’agonia.
Le performance artistiche del protagonista di Crimes of the Future si svolgono su un tavolo autoptico.
L’autopsia come performance: ancora Crimes of the Future.
– Io dico loro che non è decomposizione quella a cui stanno assistendo, ma innocenza. Il film si stacca dalle passioni umane complesse per mostrarci qualcosa di elementare, qualcosa di fiero, stentoreo, pieno di orgoglio. È un appagamento conservatore, un’aspirazione all’innocenza. Vogliamo tornare a essere semplici. Vogliamo ribaltare il flusso dell’esperienza, della mondanità, con tutte le sue responsabilità. Gli studenti mi dicono: «Ma guardi i corpi storpiati, gli arti smembrati. Che razza di innocenza sarebbe?»
– Don DeLillo, Rumore bianco
La rappresentazione della Morte, dunque, non sembra voler più acquartierare in cambusa certi suoi prerequisiti un tempo insanabili, ma riaccreditarne la natura quasi mitica di limes, di confine inevitabile tra essere e nulla, tra prima e dopo, tra realtà e illusione, tra certezza e mistero, tra finitudine ed eternità. Se si tratti di un piccolo bagliore strettamente connesso a un periodo di profonda insicurezza (con le ombre del conflitto che pian piano subentreranno a quelle dell’emergenza sanitaria) oppure se in trasparenza germoglino i semi di un qualche rivolgimento, è – come più volte ribadito – troppo presto per dirlo. E, allo stesso tempo, se si tratti di una sorta di resipiscenza delle ansie millenaristico-apocalittiche post-11 settembre che hanno segnato la produzione a cavallo tra i primi due decenni del millennio (rifacendoci ancora una volta a opere qui prese in esame, citiamo tra i tanti Melancholia [id., Lars von Trier, 2011] o invece di un recupero di una vecchia saggezza (quella, pitagorica e quasi mistica, del Fedone o quella, pragmatica e concreta, di Epicuro prima e Montaigne poi6) capace di rimettere in discussione il rapporto con l’assoluto e l’inconoscibile, mai come in questo caso ai posteri l’ardua sentenza.
La morte non costituisce proprio il limite di cui abbiamo bisogno? Non ti sembra che dia una consistenza preziosa alla vita, un senso di chiarezza? Bisogna chiedere a se stessi se tutto ciò che si fa in questa vita avrebbe le stesse caratteristiche di bellezza e significanza senza la consapevolezza che si tende a una linea finale, a un confine, a un limite.
Don DeLillo, Rumore bianco
NOTE
1. cfr. N. Chomsky, Crisi di civiltà. Pandemia e capitalismo, Adriano Salani Editore, Milano, 2020
2. I. Testoni, Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Il Saggiatore, Milano, 2021
3. Ibidem.
4. cfr. A. Berardinelli, Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione, Quodlibet, Macerata, 2007.
5. vedi il saggio introduttivo a F. Dostoevskij, Delitto e castigo, Einaudi, Torino, 2014
6. Brutalmente semplificando: se Platone, attraverso Socrate, concepisce la Morte come forma di liberazione dell’anima, Epicuro bolla come insensata ogni preoccupazione per la Morte poiché essa è inconcepibile, mentre Montaigne sostiene invece che è necessario imparare a morire senza tuttavia averne paura.