Pensando al concetto di nostalgia come motore che alimenta la pratica del sequel, divenuta oramai quasi egemonica nel mercato cinematografico americano, non può non venire subito in mente uno dei titoli più importanti della passata stagione cinematografica, Top Gun: Maverick di Joseph Kosinski, super campione d’incassi del 20221, fenomeno mediatico e allo stesso tempo film complessivamente ben accolto dalla critica, molto più di quanto lo fosse stato il suo celebre predecessore2.

Il motivo del suo successo, che trascende e in qualche modo precede persino il valore del film, è in primo luogo imputabile a un fattore piuttosto elementare: e cioè che si tratta del ritorno, a distanza di più di trent’anni, di uno dei prodotti-simbolo di un decennio – gli eighties – che più di altri ha subito negli ultimi anni un notevole processo di riscoperta, rivalutazione e recupero. Le possibili cause di ciò sono molteplici, tanto da aver bisogno di analisi ben più profonde e circostanziate di quante gliene si possa dedicare in questa sede. Basti citare, tra le altre, le più immediate. In primo luogo quella prettamente anagrafica e quindi più direttamente connessa al concetto di nostalgia nel senso più letterale del termine. Chi, infatti, oggi ricopre le principali posizioni di rilievo in campo culturale, nonché la fascia d’età mediana della popolazione (e quindi del pubblico) appartiene alla generazione che ha vissuto la sua infanzia o la sua formazione in quel decennio, comunemente idealizzato e ricordato con particolare slancio. Si aggiungano, in secondo luogo, i motivi di carattere economico, sociale e politico che generalmente spingono gli individui a rivolgersi malinconicamente o – se si vuole adottare una chiave di lettura più strettamente ideologica – in modi tutto sommato reazionari un’epoca considerata, a torto o ragione, di maggior benessere, soprattutto se – come in questo caso – si tratta di un decennio generalmente ricordato come quello del disimpegno.

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Il fenomeno del sequel, o più generalmente della ripetizione di un pattern, presenta tutta una serie di altre e più complesse ragioni sia teoriche che commerciali, di cui in parte si prova dare conto nelle pagine di questo numero e che in alcuni casi hanno solo collateralmente a che fare con l’idea tradizionale della nostalgia e della sua elaborazione. Ma certamente assistiamo oggi a una moltiplicazione di fenomeni che rientrano nell’ambito di quel processo di mercificazione della nostalgia (concetto di per sé molto più moderno di quanto la sua etimologia greca possa far pensare) che è secondario alla sua trasformazione da fatto privato a fatto collettivo. Fenomeno che, come scrive Emiliano Morreale, coinvolge in special modo le generazioni di «trenta-quarantenni, cresciuti davanti alla televisione»3, detentrici dunque di forme di memoria collettiva fortemente influenzate dalla cultura popolare, ovvero da quello che Jameson chiama un «assortimento consumabile di immagini, segnato molto spesso dalla musica, dalla moda, dalle acconciature, dalle moto o dalle auto»4, di cui oggi siamo testimoni sia nell’universo audiovisivo che in altre modalità di manifestazione della memoria quali quelle identificabili nei social network.

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In tal senso, Top Gun: Maverick appare da subito un episodio particolarmente interessante, poiché presenta un primo e più immediato piano di lettura che lo vede come un’operazione nostalgica piuttosto elementare, fondata sulla riproposizione a favore di un pubblico pronto a farsi trascinare dai ricordi, degli oggetti feticcio del brand, dai celebri Ray-Ban a goccia di Tom Cruise alle giacche di pelle, dalla moto Kawasaki fino all’ormai superato caccia F-14. Il grande merito degli autori (tra cui risalta il nome di Christopher McQuarrie, che con Cruise ha formato un importante sodalizio su cui torneremo) è tuttavia quello di aver equilibrato in modo quasi perfetto i momenti più propriamente nostalgici – come quelli in cui si ricorda il compianto Goose o il breve ma intensissimo cameo di Val Kimer nei panni di un moribondo Iceman – alle parti dominate dall’azione, facilmente fruibili quindi da un pubblico nuovo, non necessariamente legato “sentimentalmente” al prototipo. La stessa storia del film propone, con la giusta misura di innovazione, un percorso narrativo che procede attraverso tappe non del tutto dissimili a quelle del film originale: l’addestramento, i momenti di svago nel bar, la storia d’amore, la missione. Con un considerevole alleggerimento, invece, della dimensione ideologica – che era decisamente più ingombrante nel Top Gun originale (girato in un momento di crescente tensione geopolitica nel delicato contesto della guerra fredda) – a favore invece di una maggiore profondità nella scrittura del personaggio di Maverick, qui costretto a confrontarsi con la marginalità del suo ruolo nella Marina e con il fantasma dell’amico Goose.

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Il vero punto d’interesse del film risiede tuttavia in quello che potremmo chiamare il secondo livello di significazione, cioè il modo in cui questa componente nostalgica viene utilizzata in chiave profondamente teorica e autoriflessiva attraverso una serie di precise dichiarazioni d’intenti e rivendicazioni riguardanti propriamente la materia cinematografica, nonché il dibattito sulla sua natura contemporanea e futura. Ciò non sorprenderà affatto i conoscitori di Tom Cruise, baluardo di un’idea classica di cinema, non solo in quanto uno degli ultimi esempi di divo appartenente a un’epoca ormai tramontata dello star system, ma anche perché sempre fedele a una certa tradizione narrativa e formale, che si manifesta ad esempio con il disinteresse nei confronti dei cinecomic e della serialità televisiva e soprattutto con le posizioni assunte riguardo alle modalità di fruizione e distribuzione, essendosi notoriamente eretto a difensore della visione in sala e avendo conseguentemente deciso di non collaborare con qualsivoglia piattaforma. La stessa campagna promozionale del film è stata impostata anche su questo tema, approfittando di un dibattito che si rende ancora più attuale dopo la pandemia di Covid-19, che ha fortemente influenzato anche l’iter commerciale del film (girato tra il 2018 e il 2019 e uscito solo nel 2022 per via di una serie rinvii dovuti anche alla decisa volontà della produzione di rimanere fedeli alla sala).

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Quest’adesione pressoché ideologica a una forma classica del cinema, come detto, non coinvolge però il solo dibattito sulla distribuzione ma riguarda più generalmente l’intero processo produttivo, che Cruise e gli autori sentono evidentemente minacciato dal dominio della serialità da un lato e dalla pervasività delle nuove tipologie di blockbuster dall’altro. Nel corso di tutto Top Gun: Maverick, dunque, sono disseminate metafore che rimandano a un confronto tra ciò che il film intende rappresentare, cioè la sopravvivenza di un cinema di intrattenimento identificabile come tradizionale su un piano narrativo, produttivo (ovvero non egemonizzato dalla CGI) e distributivo, a dispetto di chi invece ne professa la sua morte o quantomeno un superamento. Un sottotesto ottimamente riassunto dallo scambio di battute tra Maverick e il personaggio interpretato da Ed Harris, momento che funge da vero e proprio manifesto teorico di tutto il film: «La tua razza è destinata all’estinzione, Maverick», dice l’ammiraglio Chester “Hammer” Cain; a cui Maverick risponde: «È possibile signore, ma non oggi». La stessa vicenda del film, d’altronde, poggia interamente sul processo di reintegro in seno alla marina americana di Maverick, pilota le cui doti sono state apparentemente rese obsolete dal progresso tecnologico e che invece si rivelerà fondamentale per portare a compimento la missione e salvare la sua stessa vita e quella di Rooster, a bordo di un vecchio F-14 uguale a quelli utilizzati nell’originale diretto da Tony Scott.

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Ribadire che forme classiche di racconto cinematografico e di intrattenimento di massa sono ancora non solo possibili ma anche potenzialmente lucrative, dunque, è la missione che si propone un’operazione in tal senso lucidissima, capace anche di rielaborare uno dei temi forti della Hollywood contemporanea: quello della nostalgia e della ripetizione, qui declinato – anche se sembra paradossale – come modalità di riflessione critica del presente.

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Tema che impone anche una riflessione sulla figura di Tom Cruise. Non solo perché – come precedentemente ribadito – rappresentate di una forma di divismo ormai superata. Infatti, dopo una prima parte di carriera caratterizzata da una notevole varietà di ruoli, il protagonista di Eyes Wide Shut [id., Stanley Kubrick, 1999] si è più recentemente indirizzato verso un modello di action movie che ripropone sempre la medesima struttura di fondo. Cosa che lo rende, a tutti gli effetti, un esempio di attore/autore; definizione con cui si vuole designare non semplicemente un attore specializzatosi in un determinato genere ma più precisamente chi, pur non avendo mai firmato personalmente alcuna sceneggiatura o regia (ma svolgendo nella maggior parte dei casi il ruolo di produttore), gode di un potere all’interno del sistema hollywoodiano tale da potersi impiegare all’interno di progetti cuciti ad personam, dove avvalersi di un ristretto gruppo di collaboratori di fiducia. Si è parlato in questo caso di politica degli attori5, ribaltando con un gioco di parole la teoria sull’autorialismo nata sui Cahiers du cinéma.

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Il nome più importante, per ruolo e numero di collaborazioni, nel gruppo di lavoro del Cruise attore/autore è sicuramente Christopher McQuarrie, celebre in passato soprattutto per aver lavorato alla sceneggiatura de I soliti sospetti [The Usual Suspects, Bryan Singer, 1995] e che ha svolto nell’ultimo decennio il ruolo di volta in volta di sceneggiatore, regista o produttore di una serie di film con protagonista Cruise quali Jack Reacher – La prova decisiva [Jack Reacher, Christopher McQuarrie, 2012], Jack Reacher – Punto di non ritorno [Jack Reacher: Never Go Back, Edward Zwick, 2016], Edge of Tomorrow – Senza domani [Edge of Tomorrow, Doug Liman, 2014], gli ultimi tre episodi della serie Mission: Impossible (e di quelli che verranno, il primo dei quali nel 2023), fino a quest’ultimo Top Gun: Maverick. Titoli che compongono un repertorio piuttosto omogeneo di opere che, ancor prima di essere ricordate per il regista (di cui non si intende comunque sminuire l’importanza) o la trama, sono identificabili per la presenza accentratrice di Cruise e per una narrazione che ruota intorno al suo personaggio, spesso protagonista attivo di scene d’azione che comportano una sfida per lo stesso attore – come si sa alla costante ricerca, nonostante il passare degli anni, di mettere alla prova la sua capacità di svolgere personalmente i suoi stunt.

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Vista in quest’ottica, la sfida di Cruise  a un sistema che, per mille ragioni che non è il caso qui di ribadire, ha guardato sempre di più a modelli diversi da quelli da lui portati avanti, appare come una vera e propria battaglia personale di un autore che, pur non avendo mai faticato a ritagliarsi il suo spazio nel cinema americano, ha visto trasformarsi quel peculiare modello di blockbuster, in passato egemone sul mercato hollywoodiano, in una reliquia di cui egli stesso è l’ultimo rappresentante. Una battaglia che, nel caso di Top Gun: Maverick – maggiore incasso della carriera dell’attore americano – , si può definire vinta; e che forse gli permetterà di confrontarsi un giorno con quella che si prospetta essere la sfida decisiva della sua vita lavorativa: quel film – diretto da Doug Liman (un altro dei suoi frequenti collaboratori) – da girarsi , per la prima volta nella storia, nello spazio.

NOTE

1. Primo posto assoluto con un incasso complessivo di $1,488,732,821, al giorno 20 dicembre 2022. Fonte: boxofficemojo.com

2. Sul noto aggregatore di recensioni Rotten Tomatoes, Top Gun: Maverick ha un voto medio di 8.2/10 contro il 6.0/10 del Top Gun di Tony Scott.

3. E. Morreale, La nostalgia nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. https://www.filmidee.it/2012/03/la-nostalgia-nellepoca-della-sua-riproducibilita-tecnica/

4. F. Jameson, The Transformation of The Image in Id., The Cultural Turn: Selected Writings on The Postmodern 1983-1988, Verso, London-New York, 1998, p. 129. Traduzione di Emiliano Morreale, in Id., L’invenzione della nostalgia. Il vintage nel cinema italiano e dintorni, Donzelli Editore, Roma, 2009.

5. Di politica degli attori parla ad esempio Marcello Walter Bruno in riferimento a Kirk Douglas nell’omonimo articolo pubblicato su Fata Morgana Web: https://www.fatamorganaweb.it/la-politica-degli-attori-kirk-douglas/