Nel film spagnolo Mantícora [id., Carlos Vermut, 2022], il protagonista Julián è ossessionato da un desiderio che deve tenere segreto ma che prova a soddisfare con un programma di animazione 3D che utilizza per creare contenuti per videogiochi: «materializza» in questo modo la sua ossessione per poterne godere di nascosto, in privato, senza essere visto.
Si tratta di un atto che mette in relazione uno sguardo desiderante e un oggetto proibito: un gesto voyeuristico di un giovane di una classe sociale privilegiata (ha un lavoro creativo in una zona bella della città), ma angosciato da dubbi di natura erotica e sessuale; e per i quali trova soddisfazione nel «puro sguardo», senza il bisogno di un contatto fisico (tutto avviene, infatti, attraverso una simulazione ottica tridimensionale).
Manticora.
Questa «trasgressione» compiuta da un giovane di classe benestante che ha un lavoro connesso alla «visione» – e che risolve con un atto di simulazione che implica lo sguardo – è per certi versi comune al film che vogliamo qui analizzare.
Nel thriller erotico di Michael Mohan The Voyeurs [id., 2021], una giovane e “rampante” coppia di Montreal composta dalla oftalmologa Pippa (Sydney Sweeney) e dal sound designer Thomas (Justice Smith) si è appena trasferita in un prestigioso loft del centro. Nonostante il momento idilliaco che vivono, stanno attraversando una crisi privata: non hanno, infatti, rapporti sessuali soddisfacenti. Thomas, in particolare, ha difficoltà a letto con la donna (che, per altro, ha le forme seducenti di Sweeney: tra le attrici di punta della serie HBO Euphoria [id., ideata da Sam Levinson, 2019-in corso]). Ma la passione si riaccende quando, in segreto, iniziano a sbirciare dalle loro finestre i focosi rapporti sessuali del prestante Seb (Ben Hardy), fotografo professionista che vive in un loft di fronte al loro, e che spesso e volentieri tradisce la partner Julia (Natasha Liu Bordizzo) con le fotomodelle che conduce a casa, e che seduce durante i set fotografici.
L’arrivo di Pippa e Thomas nel loro nuovo lussuoso appartamento in centro.
Dunque, The Voyeurs incrocia alcune tematiche classiche del thriller erotico – la crisi della coppia; una tentazione sempre più pericolosa e invadente; l’ambientazione metropolitana, con alcune locations ricorrenti1 – a quelle del cinema post-hitchcockiano che fa riferimento a La finestra sul cortile [Rear Window, 1954]. Ci rivolgiamo in particolare a una serie di titoli che trovano nella (perversa) relazione tra osservatore e osservato un perno narrativo ideale per sviluppare plot metalinguistici in cui lo sguardo del protagonista invade la privacy altrui, con funeste conseguenze. Pensiamo a film come Omicidio a luci rosse [Body Double, 1984], Le due sorelle [Sisters, 1973] o Hi, Mom! [id., 1970], tutti diretti da Brian De Palma; ma anche a Windows [id., Gordon Willis, 1980], a Pericolo in agguato [Someone’s Watching Me!, John Carpenter, 1978], a La conversazione [The Conversation, Francis Ford Coppola, 1973], a La finestra della camera da letto [The Bedroom Window, Curtis Hanson, 1987], a L’inquilino del terzo piano [Le Locataire, Roman Polański, 1976], a Non desiderare la donna d’altri [Krótki film o miłości, Krzysztof Kieślowski, 1988], a Sliver [id., Phillip Noyce, 1993], fino a esempi più recenti quali Disturbia [id., D. J. Caruso, 2007], La donna alla finestra [The Woman in the Window, Joe Wright, 2021] e Watcher [id., Chloe Okuno, 2022].
Sopra, Omicidio a luci rosse; sotto, Disturbia.
Nel caso specifico di The Voyeurs (titolo quanto mai esplicito), la paradigmatica situazione “thriller” vissuta da Jefferies (James Stewart) e Lisa (Gracy Kelly) nel capolavoro hitchcockiano del 1954 viene ripresa e attualizzata da Mohan nel Canada odierno. Ai palazzi ricostruiti nei teatri di posa della Paramout – che rappresentano il Greenwich Village di New York – si sostituiscono grattacieli e ampi lofts provvisti di enormi finestre che permettono di guardare nella vita privata altrui; e, naturalmente, di essere visti2. Una situazione che stimola tanto la curiosità quanto l’esibizionismo dei personaggi, che, come nel caso di Seb, non si curano di poter essere osservati durante atti che, invece, si vorrebbe o si dovrebbe nascondere, come il sesso e l’omicidio.
Si tratta di una chiara allusione al mondo odierno, invaso da una incessante e narcisistica esposizione di sé sui social network che permettono a chiunque di sbirciare nella vita degli altri3. Ed è in questa tentazione (che implica questioni morali che, a ben vedere, coinvolgono tanto il thriller erotico quanto il cinema di Hitchcock4) che cadono Pippa e Thomas, prima vivendola come un semplice gioco erotico che possa riaccendere la fiamma della loro passione, e poi spingendosi sempre più in là, fino a rimanere coinvolti nelle macchinazioni dei loro dirimpettai.
«Scommettiamo che nove persone su dieci, se vedono dall’altra parte del cortile una donna che si spoglia prima di andare a letto o semplicemente un uomo che mette in ordine la sua stanza, non riescono a trattenersi dal guardare? Potrebbero distogliere gli occhi dicendo: “Non mi riguarda”, potrebbero chiudere le loro persiane, e invece non lo fanno, staranno lì a guardare.»5
Entrati in questo meccanismo, Pippa e Thomas non riusciranno a fermarsi. Anzi, uniranno le forze per avere un quadro sempre più preciso degli accadimenti che coinvolgono i loro vicini: Pippa, che lavora in uno studio ottico ed è un’esperta di “visione”, diventerà amica e confidente di Julia, mentre Thomas userà le sue conoscenze con gli apparecchi di registrazione audio per captare i dialoghi nell’appartamento di fronte.
Oltre ad aspetti più propriamente thriller, come la gestione della suspance – che lega in maniera esplicita The Voyeurs a La finestra sul cortile (pensiamo alla scena in cui Thomas e Pippa, agitatissimi, osservano Julia nascondere il fax prima che arrivi il suo compagno) –, il film di Mohan affronta un’altra questione più sottesa ma non meno importante del film di Hitchcock: quella dell’erotismo.
Il piacere erotico di osservare senza essere visti e di trasferire in questo atto voyeuristico parte del «desiderio» nei confronti dell’oggetto osservato6 è sicuramente una delle scintille che spingono Pippa e Thomas a spiare i loro vicini – piacere che diventerà presto un’ossessione che li porterà alla separazione. Si tratta sostanzialmente di una evoluzione (esplicita e trasgressiva) di quanto già contenuto in nuce ne La finestra sul cortile. Anche Jeffries e Lisa sono infatti una coppia in crisi che proietta idealmente desideri e frustrazioni all’interno delle «finestre-cornici» che circondano il loro appartamento. Eppure Hitchcock non si spinge mai oltre all’allusione. Come puntualizza Stoichita:
«[…] spesso è stato osservato [che] si tratta di un film incentrato sul problema della coppia. Jeff ha dei dubbi sulla propria relazione con la bella ed elegante fidanzata: che sia un segno o un semplice pretesto della sua indecisione, l’uomo cerca dei punti di riferimento spiando la vita degli altri. La pellicola, però, è intrisa di un spirito vittoriano (come d’altronde l’intera filmografia di Hitchcock), tanto è vero che la vita delle varie coppie è mostrata con grande pudore. Nella Finestra sul cortile ciò che viene censurato è spesso più importante e più significativo di ciò che viene ostentato e, in fin dei conti, è proprio questo aspetto a contribuire in maniera decisiva ad accrescere la suspense.»7
Nel film di Mohan, come in gran parte dei titoli che fanno riferimento al capolavoro di Hitchcock, la questione è invece affrontata in maniera opposta rispetto a quanto affermato da Stoichita, ovvero facendo esplodere il contenuto erotico presente “tra le righe” in Rear Window.
Un esempio estremamente perturbante8 delle possibili declinazioni del (velato) erotismo de La finestra sul cortile lo aveva già offerto David Lynch in Velluto blu [Blue Velvet, 1986], dove il protagonista Jeffrey (nome non a caso simile al “Jeffries” di Rear Window) spiava, desideroso, dall’interno di un armadio la seducente Dorothy Vallens, per poi sostituirsi all’amante della donna, passando così da una condizione passiva a una attiva.
Velluto blu.
L’atto «scopico» che contraddistingue i film che si rifanno, in un modo o nell’altro, alla Finestra sul cortile assume, come vedremo tra poco, caratteri esplicitamente «masturbatori» in The Voyeurs. A ben vedere, qualcosa di simile in ambito hitchcockiano lo aveva già compiuto Gus Van Sant nel suo omonimo remake di Psyco [Psycho, 1960], dove, a un’altra situazione voyeuristica (quella del Norman Bates di Anthony Perkins che osservava da un foro nel muro Marion Crane spogliarsi), se ne sostituiva una esplicitamente masturbatoria.
Il Norman interpretato da Vince Vaughn nello Psycho del 1998, che si masturba mentre spia Marion.
Anche in The Voyeurs, l’atto voyeuristico è collegato a un piacere sostanzialmente autoerotico. Mentre Pippa e Thomas osservano per la prima volta Seb fare sesso, si eccitano praticando inizialmente la masturbazione (è lei ad avere l’iniziativa). Durante tutto l’atto sessuale non si guardano mai tra loro – anche quando, infine, Thomas penetra da dietro Pippa, lei continua a osservare dal binocolo – , ma contemplano un desiderio altro – un fantasma. Questo breve ma intenso momento erotico (che, per chi scrive, è anche uno dei migliori dell’opera) rivela, come vedremo tra poco, la natura solipsistica dei protagonisti del film. In più, fa luce su alcune modalità adottate dal regista per la sua personale rilettura del genere: un’avventura “thriller” fatta soprattutto di proiezioni ingannevoli e fantasmatiche in cui i veri protagonisti saranno l’occhio e lo sguardo dei personaggi.
Pippa masturba Thomas mentre osservano di nascosto Seb.
Thomas penetra Pippa come fa Seb, mentre lei continua a guardare dal binocolo.
Come già anticipato, i protagonisti di The Voyeurs soffrono di una personalità dai tratti narcisistici. Forse anche per questo, vedono in una proiezione esterna (Seb che fa sesso) un desiderio che, in fondo, è soprattutto interiore (il sogno di Pippa di essere posseduta da Seb). Sono in qualche modo dei «fantasmi dell’Eros».
Questo termine, utilizzato dal filosofo Giorgio Agamben nel fondamentale Stanze, sancisce un profondo legame tra il pensiero psicanalitico di Sigmund Freud sulla sessualità, la filosofia antica greca e il poema romantico medioevale, delineando una concezione dell’Eros che si configura come un «processo essenzialmente fantasmatico»9. Uno studio (naturalmente qui semplificato per ragioni di spazio) che, partendo dall’isolamento (saturnino) dell’uomo malinconico, conduce alla (narcisistica) creazione fantasmatica di un oggetto perduto: un fantasma (erotico) da noi stesso creato, irraggiungibile perché immagine, e per questo adatto per essere contemplato e amato.
Scrive Agamben:
La perdita immaginaria che occupa così ossessivamente l’intenzione malinconica non ha alcun oggetto reale, perché è all’impossibile captazione del fantasma che è diretta la sua funebre strategia. L’oggetto perduto non è che la parvenza che il desiderio crea al proprio corteggiamento del fantasma, e l’introiezione della libido è soltanto una delle facce di un processo in cui ciò che è reale perde la sua realtà perché ciò che è irreale divenga reale. Se il mondo esterno è infatti narcisisticamente negato dal malinconico come oggetto d’amore, il fantasma riceve però da questa negazione un principio di realtà ed esce dalla muta cripta interiore per entrare in una nuova e fondamentale dimensione.10
Ma il desiderio per l’immagine, per la proiezione, per il fantasma, anziché manifestarsi in ultima istanza nell’atto sessuale, scaturisce piuttosto dallo sguardo; e lì resta vincolato. «L’occhio appare come uno specchio in cui si riflettono i fantasmi»11.
Scrive ancora Agamben:
Ma anche amare è necessariamente una speculazione […] perché l’amore [è] come un processo essenzialmente fantasmatico, che coinvolge immaginazione e memoria in un assiduo ritornello intorno a un’immagine dipinta o riflessa nell’intimo dell’uomo.12
[…] come allegoria d’amore, tanto la storia di Narciso che quella di Pigmalione alludono esemplarmente al carattere fantasmatico di un processo inteso essenzialmente all’ossessivo vagheggiare in un’immagine, secondo uno schema psicologico per cui ogni autentico innamoramento è sempre un “amare per ombra” o “per figura”, ogni profonda intenzione erotica è sempre rivolta idolatricamente a un’ymage.13
Il narcisismo del soggetto malinconico lo porta a erotizzare il fantasma (“amar per ombra”), che come il mito di Narciso è semplice specchio di sé. Ed è ciò che, in fondo, compiono Pippa e Thomas nella sequenza di cui abbiamo parlato, in cui praticano atti sessuali (anche autoerotici) mentre osservano altre due figure (che in quel momento sono ancora senza un nome e una storia) fare sesso. La scena assume così un carattere fantasmatico – i due, scrutati dalla finestra e incorniciati in uno spazio ideale e idealizzato, potrebbero essere delle proiezioni virtuali della coppia che, invece, non ha più rapporti intimi. Il desiderio si manifesta, così, nello sguardo dei personaggi.
Pippa osserva con desiderio il corpo di Seb.
E se inizialmente si tratta di un desiderio che coinvolge la coppia (d’altronde, nel film, l’erotismo è attentamente bipartito tra uomini e donne per sottostare ai parametri imposti dal #MeToo), sarà poi Pippa a cercare una vera e propria sessualizzazione di sé, e a diventare un (nuovo) soggetto desiderato e desiderante, dopo la delusione con Thomas. Una ricerca che la porta ad «oltrepassare lo specchio» (raffigurato dalla finestra-cornice dell’appartamento di fronte), entrare in casa di Seb, e fare infine l’amore con lui. Un gesto che diventerà, a sua volta, oggetto dello sguardo di Thomas.
Purtroppo questa nuova condizione di Pippa, che «infrange lo specchio-cornice», avrà un prezzo: diventerà lei stessa una immagine attraverso i suoi nudi scattati dal fotografo e la sua immagine verrà sfruttata da Seb per una mostra fotografica con la quale si vendicherà degli sguardi indiscreti della coppia.
Lo sguardo diventa il piacere e, al contempo, il pericolo nel film. I dettami del thriller erotico si piegano dunque alle ossessioni scopiche tipiche del cinema post-hitchcockiano, scatenando gli elementi più propriamente fantasmatici del genere, e incontrando una interessante riformulazione del mito di Narciso.
Questa «storia dell’occhio» si concluderà con un’ultima vendetta: quella di Pippa contro i suoi due aguzzini. E che altro potrà fare, la ragazza, se non colpirli proprio nell’organo che ha dato il via al tutto?
E quando le domandai a cosa la facesse pensare la parola urinare, lei mi rispose bulnare, gli occhi, con un rasoio, qualcosa di rosso, il sole. E un uovo? Un occhio di vitello, a causa del colore della testa (la testa del vitello), e perché il bianco d’uovo è il bianco dell’occhio, e il tuorlo la pupilla. Secondo lei l’occhio aveva la stessa forma dell’uomo.14
NOTE
1. Pensiamo a quanto ritorni sovente, in alcuni thriller erotici, il loft come luogo ideale dove consumare il tradimento. In particolare, è una delle locations predilette da Adrian Lyne, da Attrazione fatale [Fatal Attraction, 1987] a L’amore infedele – Unfaithful [Unfaithful, 2002].
2. Come insegna d’altronde il capolavoro neo-noir Blood Simple – Sangue facile [Blood Simple, Joel e Ethan Coen, 1984], in cui le grandi finestre dell’appartamento, nella scena finale del film, permettono all’assassino di spiare, di prendere la mira e di provar ad uccidere la protagonista interpretata da Frances McDormand.
3. Un riferimento, questo, che potrebbe spingere a leggere l’intero film «come un’allegoria per piattaforme come Instagram, in cui gli utenti sviluppano vere e proprie fascinazioni per estranei che lasciano spiare le proprie vite artificiosamente curate attraverso quelle che potremmo chiamare “finestre virtuali”.» https://specchioscuro.it/the-voyeurs-e-il-thriller-erotico-contemporaneo-intervista-al-regista-michael-mohan/
4. Idem.
5. Alfred Hitchcock citato in François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Nuove Pratiche, Milano, 2002, p. 181.
6. Tema che accomuna questi thriller erotici al leitmotiv dell’«uomo invisibile», da L’uomo senza ombra [Hollow Man, 2000] di Paul Verhoeven e L’uomo invisibile [The Invisible Man, 2020] di Leigh Whannell.
7. Victor I. Stoichita, Effetto Sherlock. Occhi che osservano, occhi che spiano, occhi che indagano. Storia dello sguardo da Manet a Hitchcock, Il Saggiatore, Milano, 2017, p. 110.
8. Cfr. Ofelia Catanea, Velluto blu, in (a cura di) Paolo Bertetto, David Lynch, Marsilio, Venezia 2008.
9. Giorgio Agamben, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Einaudi, Torino, 2011, p. 29.
10. Ivi., p. 32.
11. Ivi., p. 94.
12. Ivi., pp. 95-96.
13. Ivi., p. 98.
14. Georges Bataille, Storia dell’occhio, Es, Milano 2005, p. 43.