The Green Fog [id, 2017] è un film sperimentale diretto da Guy Maddin, Evan e Galen Johnson, commissionato da Noah Cowan e la San Francisco Film Society, e nato per affiancare una partitura musicale composta per la notte di chiusura del San Francisco Film Festival. Non a caso, il titolo della composizione affidata a Jacob Garchik e al San Francisco Kronos Quartet è proprio The Green Fog — A San Francisco Fantasia.
Per l’occasione, Maddin, Evan e Galen Johnson visionano quasi duecento film di finzione cinematografici e televisivi ambientati nella Bay Area di San Francisco, selezionando brevi scene per poi rimontarle e creare un nuovo film della durata di circa un’ora1. Se dunque è solo in un secondo momento che il film assume a grandi linee l’aspetto di un remake de La donna che visse due volte [Vertigo, 1958], riprendendone (e ripetendone) la struttura e i motivi visivi, inizialmente The Green Fog nasce come un’opera sulla città di San Francisco: una sorta di city symphony contemporanea che, attraverso le centinaia di immagini girate tra le sue strade, mostra una città intrisa del suo immaginario cinematografico.

Alcune immagini di The Green Fog in cui sono presenti luoghi assurti a simbolo della città di San Francisco.

Similmente ai film sperimentali del periodo muto dedicati alle grandi città, The Green Fog è quasi interamente privo di dialoghi – le poche parole udibili sono interrotte da bruschi jump-cuts che escludono le parti dialogate per isolare i momenti di silenzio tra i vari personaggi. Ma se nelle cities symphonies ciò era dovuto a un limite tecnico che si risolveva in una trasposizione evocativa e poetica del reale2, in The Green Fog il passaggio da una dimensione di dialogo a una – per così dire – di ascolto (e perfettamente annunciata dalla prima scena del film, in cui una mano sposta una manopola dalla scritta «Talk» a «Listen») ha piuttosto un valore strettamente simbolico.

Eludendo i dialoghi, infatti, i registi intervengono su uno dei principali veicoli significanti del testo (o per meglio dire «dei testi»), riscrivendo il senso stesso delle immagini, che, rimontate, acquisiscono un nuovo significato semantico. «I guess it’s the big Kuleshov effect, where you take one image and then combine it with another to create a third unlikely or unpredictable effect3 Questo particolare lavoro di montaggio, che comprende dunque anche l’aspetto sonoro, non si limita però a tradursi in una sorta di collage-movie.4 Associando spezzoni di film diversi fra loro con metodi combinatori già sperimentati in Seances [id., Guy Maddin, Evan Johnson, Galen Johnson, 2016] e in The Forbidden Room [id., Guy Maddin, Evan Johnson, 2015], i registi vogliono compiere un percorso di destrutturazione nei confronti di quell’elemento «rimosso» il cui fantasma aleggia dietro a ogni immagine di The Green Fog: La donna che visse due volte di Hitchcock. Un film che «non c’è» testualmente, ma che emerge dai continui riferimenti, dalle allusioni, dalla struttura stessa di Green Fog, senza che ne vediamo (quasi) alcuna immagine.

La sola immagine che ritroviamo di Vertigo all’interno del “collage” di The Green Fog è anche la prima de La donna che visse due volte dopo i titoli di testa, quella della mano che afferra la sbarra di una scala antincendio durante l’inseguimento iniziale. 

È attraverso la ripetizione di un modello fantasma – che di fatto esiste solo nella memoria dello spettatore – che The Green Fog può trovare un senso più autentico, che vada al di là dei semplici meccanismi di causa ed effetto prodotti dal montaggio. Soprattutto un film, quello di Maddin e dei suoi collaboratori, che assume fin da subito i connotati di una esperienza onirica, procedendo in maniera simile alla manipolazione compiuta da Scottie Ferguson (James Stewart) nei confronti di Judy (Kim Novak), costretta a ripetere – e dunque a rievocare – il modello fantasmatico dell’oggetto perduto: Madeleine. E nel caso di The Green Fog, Vertigo.

L’apparizione di Madeleine corrispondente alla parte finale di Vertigo “reinventata” (e modificata attraverso i filtri verdi) dal montaggio di Maddin, Evan e Galen Johnson. 

Il film che visse due volte: struttura, connessioni e allusioni

È necessario ribadire una questione importante: The Green Fog non è un vero e proprio remake de La donna che visse due volte. Attraverso il collage di film ambientati negli stessi luoghi del film di Hitchcock, The Green Fog «rievoca» sì Vertigo, ma senza seguirne gli snodi narrativi (e dunque – per restare in ambito post-hitchcockiano – procedendo diversamente da un esperimento di «copia carbone» come lo Psycho [id., 1998] di Gus Van Sant). Come è stato suggerito altrove5, risulta più suggestivo considerare The Green Fog un film ambientato in un «universo parallelo» a quello di Hitchcock, dove avvengono fatti anche diversi dall’originale, e in cui l’esito della storia può risultare differente6.
Inoltre, come già avvenuto in The Forbidden Room, i registi complicano i rapporti tra quelli che potremmo definire i vari livelli di realtà (e di narrazione) presenti nel film, adottando una «struttura embricata […] di racconti incastonati l’uno nell’altro»7. Ciò fa sì che la ripetizione di Vertigo (ovvero, tutti quei momenti che si possono ricollegare al film di Hitchcock) risulti «interna» a un’altra cornice finzionale: quella di alcuni personaggi che osservano esternamente il film attraverso schermi e televisioni. Un procedimento, questo, che esplicita la natura finzionale di The Green Fog, mostrando l’intervento manipolatorio su di un materiale preesistente (e alludendo così al lavoro di Maddin, Evan e Galen Johnson in sede di montaggio).

Un esempio di come, in The Green Fog, si può uscire e rientrare dalla cornice di finzione attraverso gli schermi televisivi.

La “manipolazione” dell’immagine audio e video.

Ma vediamo nello specifico la struttura di The Green Fog.
Il film è suddiviso in tre parti. Nel Prologo alcuni personaggi osservano su degli schermi l’arrivo di una misteriosa nebbia verde (forse di origine aliena) sulla città di San Francisco.

La scelta del verde è tutt’altro che casuale, e funziona da connessione simbolica al film di Hitchcock. Come specifica Fievet, «il verde segna […] un limite tra il mondo dei vivi e quello dei morti. […] Nella biografia dedicata al regista, Donald Spoto racconta il seguente aneddoto: “Uno dei più vecchi ricordi di Hitchcock era quello di una rappresentazione a cui aveva assistito nel 1905. Il traditore entrava in scena con un’aureola di colore verdastro e accompagnato da una sinistra musica orchestrale. “Mi ricordo della luce verde”, mi confidò nel 1975, “riservata all’apparizione dei traditori e dei fantasmi”. È possibile che il regista abbia voluto sfruttare nei suoi film quella connotazione spettrale.»8

Segue un primo capitolo, Weekend at Ernie’s (in riferimento al ristorante in cui Scottie scorge Madeleine per la prima volta), che comprende quell’arco narrativo in cui, nel film di Hitchcock, il protagonista subisce il trauma della vertigine – a seguito della morte di un collega di lavoro sui tetti di San Francisco -, viene coinvolto nel raggiro dove conosce Madeleine, se ne innamora, per poi assistere impotente alla morte della donna dalla torretta della chiesa.

L’incontro di Scottie con Madeleine.

La visita di Madeleine alla tomba di Carlotta.

La folle fuga di Madeleine per la torre della chiesa e la sua caduta osservata da Scottie.

Il secondo capitolo, Catatonia, «ripete» invece la convalescenza di Scottie, l’incontro con Judy, la scoperta dell’inganno di cui l’uomo è stato vittima, e infine la sua morte, segnando così uno scarto fondamentale. A morire, infatti, è la figura maschile e non più quella femminile.

La convalescenza di Scottie.

La scoperta dell’inganno.

A differenza di Vertigo, a precipitare nel finale spaventato dalla visione della suora è l’uomo. Alcuni collage film, come il caso di Home Stories [1980] di Matthias Muller e Dirk Schaeger, compiono un lavoro di decostruzione del cinema classico hollywoodiano, seguendo le teorie femministe sviluppate in ambito teorico negli anni Settanta. In qualche modo, anche The Green Fog segue quelle orme. Afferma Maddin: «So it’s just really exciting, using footage from other movies to really accentuate some of the stuff that’s present in Vertigo. Through the warped magnifying lens of some decaying film emulsions, you can actually see some of these things a little bit differently from a slightly different angle. It’s a way that I find actually brings Vertigo to life more than another viewing of Vertigo9

Segue un epilogo (sempre compreso in Catatonia), che esula invece dall’originale di Hitchcock e che mostra alcune immagini che alludono probabilmente a un happy end (vediamo una coppia in barca in una baia assolata).

La ripetizione funziona dunque per associazione non solo di luoghi (le locations di San Francisco), ma anche di forme, di movimenti, di motivi visivi che rinviano all’originale. D’altronde, Vertigo e il cinema di Hitchcock tout court hanno creato un mondo cinematografico estremamente riconoscibile, fatto di immagini forti e iconiche, e omaggiato in più occasioni nella storia del cinema da grandi registi come Chris Marker, Terry Gilliam, Brian De Palma, David Lynch e molti altri ancora.
A tal proposito, Slavoj Zizek, interrogandosi sulla possibilità (o per meglio dire, l’impossibilità) di realizzare un remake hitchcockiano, cerca di individuare le caratteristiche stilistiche peculiari del regista inglese che soggiacciono al suo pensiero cinematografico. Scrive il filosofo:

[…] Hitchcock non è partito dalla trama per poi tradurla in termini cinematografici audiovisivi. Egli è piuttosto partito da una serie di temi (di solito visivi) che tormentavano la sua immaginazione, che gli si imponevano come sintomi; poi ha costruito una narrazione che servisse come pretesto per utilizzarli.10

La tesi di Zizek consiste nel rintracciare non tanto quelle che potrebbero essere le storie hitchcockiane ricorrenti, quanto quei temi e motivi (specialmente visivi) che ossessionano il cineasta inglese e che popolano le immagini dei suoi film.
Se dunque le ossessioni di Hitchcock sono soprattutto visive – mentre le storie sono solo un contorno dove esprimerle -, ecco che The Green Fog riesce a far emergere con forza le ossessioni figurali11 proprie del regista, ripetendo non tanto il «cosa» ma il «come». E creando assonanze percettive che, come nei sogni, «spostano» un elemento nella figura di un altro.

La celebre scena de La donna che visse due volte in cui Scottie osserva al museo Madeleine, «spostata» nelle immagini di altri film. Questo procedimento che funziona per associazione, e che struttura e rende intellegibile il film grazie a un confronto inconscio col nostro ricordo di Vertigo, potrebbe essere un interessante caso di studio per le moderne teorie teoriche del cinema e le neuroscienze, ma che non possiamo affrontare in questa sede. A tal proposito, rimandiamo comunque al testo di Vittorio Gallese e Michele Guerra Lo schermo empatico (Gremese, 2015).

Tutte le terminologie che abbiamo adottato fino a questo punto (sintomo, spostamento, associazione, ecc.) rinviano a una lettura che non può che essere propria del mondo dell’inconscio, della psicanalisi e del sogno. Consideriamo dunque come la ripetizione in The Green Fog si leghi a doppio filo ai processi onirici studiati in psicanalisi.

Il sogno e il doppio: la ripetizione onirica

Il lavoro compiuto da Maddin, Evan e Galen Johnson in The Green Fog ha qualcosa in comune con i processi del sogno studiati da Sigmund Freud e poi applicati al cinema da Christian Metz. Noi spettatori assistiamo a un film che di fatto non c’è; o che per meglio dire viene continuamente sostituito, spostato in un altro attraverso rime visive, di movimento, di ambienti. «Snippets of dialogue and familiar locations from the film create the impression of a dreamlike riff on the mood of the movie […].»12 Quasi ogni immagine di The Green Fog è elaborata dallo spettatore in rapporto a quella «immaginaria» che egli ha di Vertigo. La sovrapposizione è continua.

La prima sequenza di Vertigo ripetuta in The Green Fog. Lo spettatore che conosce il film di Hitchcock riconosce immediatamente la sequenza senza ritrovarne le stesse immagini.

D’altronde, al cinema la ripetizione è doppiamente legata al sogno, tanto da essere a volte tematizzata nelle trame dei film stessi. Lo ha mostrato splendidamente Fritz Lang nel suo capolavoro statunitense La donna del ritratto [The Woman in the Window, 1944] dove il protagonista interpretato da Edgar G. Robinson – il professor Wanley – percorre, dalla notte al giorno e viceversa, il suo tragico destino. Nel film, infatti, gli eventi ritornano due volte, tanto attraverso il filtro delirante della notte quanto in quello implacabile della luce del giorno, conducendo l’uomo al suo ineluttabile destino.
Anche in Vertigo, Scottie vive due volte il trauma e ripete due volte le sue azioni. Lo stesso è per Judy, che deve ritornare (ripetere) Madeleine. «Sdoppiata è l’immagine femminile; ripetitivi sono i luoghi, ad esempio i tetti, il ristorante di Ernie’s, il negozio di fiori, gli edifici religiosi o la torre.»13

Un altro esempio di «spostamento». In questo caso, la sequenza è quella del salvataggio di Madeleine da parte di Scottie.

In The Green Fog, il processo onirico che secondo Metz è proprio della fruizione cinematografica14 si manifesta nello «spostamento» di Vertigo in altri film, costituendone una sorta di struttura assente.
Secondo Freud, attraverso i processi di condensazione e spostamento, il sogno mette in scena un desiderio che, non potendosi manifestare in maniera diretta perché censurato, si rappresenta attraverso un processo onirico. Si tratta sostanzialmente di una deformazione («Lo spostamento e la condensazione del sogno sono i due fattori alla cui attività possiamo essenzialmente attribuire la forma assunta dai sogni.»15) In particolar modo, «lo spostamento è uno dei principali sistemi di attuazione della deformazione.»16 Questa rappresentazione «consiste nella trasformazione di un’immagine del sogno, sia essa una persona o un oggetto in un’altra.»17 E riguardo alle pratiche di spostamento e condensazione, Freud specifica: «Fra tutte le relazioni logiche una sola è molto favorita dal meccanismo di formazione dei sogni; la relazione di somiglianza, assonanza o approssimazione, la relazione del “come se”. […] una parte considerevole del lavoro onirico consiste nella creazione di nuovi paralleli […].»18 «La somiglianza, l’assonanza, il processo di attributi comuni, tutto questo è rappresentato nei sogni mediante l’unificazione […].»19
I tipi di composizione onirica vengono illustrati da Freud così:

Da una parte, la figura del sogno può avere il nome di una delle persone cui si riferisce, nel qual caso sappiamo direttamente, come quando siamo svegli, di quel persona si tratta, mentre i lineamenti visivi possono appartenere all’altra persona; dall’altra, la stessa immagine del sogno può essere composta di lineamenti visivi appartenenti nella realtà in parte ad una persone ed in parte ad un’altra. O ancora, l’impronta della seconda persona nell’immagine onirica può consistere non nei lineamenti visivi, ma negli atteggiamenti che le attribuiamo, nelle parole che le facciamo dire o nella situazione in cui la collochiamo.»20

I processi del sogno illustrati da Freud sono simili al funzionamento «associativo» del film di Maddin e dei suoi collaboratori, un’opera in cui vediamo costantemente i volti degli attori più disparati sostituire quelli a noi noti di James Stewart e di Kim Novak e che la nostra mente tende a sovrapporre.

Campi e controcampi dove i volti di Stewart e Novak sono sostituiti da altri, a volte non meno celebri.

Dunque, attraverso un lavoro che è anche politico – ripetere Vertigo per far emergere una prospettiva nuova sul film (9) -, Maddin, Evan e Galen Johnson creano un’opera in cui la ripetizione di un testo preesistente diventa l’occasione per mostrare alcune dinamiche «oniriche» proprie della fruizione cinematografica. La «ripetizione» di The Green Fog, dunque, non si configura propriamente come nostalgica, né è possibile associarla alle dinamiche del remake – come invece affrontiamo in altri casi presi in esame nel nostro Secondo Numero. È invece un lavoro problematico che funziona su più livelli, specialmente se letto attraverso le logiche del sogno. E che va a costituire un altro importante tassello nel lavoro sperimentale del cineasta canadese.

NOTE

1. I titoli di coda del film sono composti da un collage dei titoli dei film.

Ecco a seguire l’elenco completo.

McMillan e signora [McMillan & Wife, creata da Leonard B. Stern, 1971-1977]
La fuga [Dark Passage, Delmer Daves, 1947]
Star Trek IV – Rotta verso la terra [Star Trek IV – The Voyage Home, Leonard Nimoy, 1986]
Il mostro dei mari [It Came from Beneath the Sea, Robert Gordon, 1955]
L’inferno di cristallo [The Towering Inferno, John Guillermin, 1974]
La costa dei barbari [Barbary Coast, Howard Hawks, 1935]
La conversazione [The Conversation, Francis Ford Coppola, 1974]
Fior di loto [Flower Drum Song, Henry Koster, 1961]
Jade [id., William Friedkin, 1995]
Un maggiolino tutto matto [The Love Bug, Robert Stevenson, 1968]
Le strade di San Francisco [The Streets of San Francisco, ideata da James Schmerer, 1972-1977]
La donna che visse due volte [Vertigo, Alfred Hitchcock, 1958]
Nessuno mi salverà [The Sniper, Edward Dmytryk, 1952]
Triade chiama Canale 6 [An Eye for an Eye, Steve Carver, 1981]
L’uomo che ingannò se stesso [The Man Who Cheated Himself, Felix E. Feist, 1950]
Omicidio al neon per l’ispettore Tibbs [They Call Me Mister Tibbs!, Gordon Douglas, 1970]
Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! [Dirty Harry, Don Siegel, 1971]
Confessioni di un fumatore d’oppio [Confessions of an Opium Eater, Albert Zugsmith, 1962]
Alta tensione [High Anxiety, Mel Brooks, 1977]
007 – Bersaglio mobile [A View to a Kill, John Glen, 1985]
I dieci comandamenti [The Ten Commandments, Cecil B. DeMille, 1923]
Crakers [id., Louis Malle, 1984]
Ho ritrovato la vita [Impact, Arthur Lubin, 1949]
Herbie il Maggiolino sempre più matto [Herbie Rides Again, Robert Stevenson, 1974]
Non aprite quell’armadio [Monster in the Closet, Bob Dahlin, 1987]
The Game – Nessuna regola [The Game, David Fincher, 1997]
Ritratto in nero [Portrait in Black, Michael Gordon, 1960]
Hotel [id., creata da Aaron Spelling, 1983-1988]
La signora di Shanghai [The Lady from Shanghai, Orson Welles, 1947]
Crimine silenzioso [The Lineup, 1958, Don Siegel]
Bullitt [id., Peter Yates, 1968]
Una rockstar in cerca d’amore [Hold to Hold, Larry Peerce, 1984]
Sans Soleil [id., Chris Marker, 1983]
The End of the World in Our Usual Bed in a Night Full of Rain [La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia, Lina Wertmüller, 1978]
Salto nel buio [Innerspace, Joe Dante, 1987]
Una sull’altra (Lucio Fulci, 1969)
Ho paura di lui [The House on Telegraph Hill, Robert Wise, 1951]
Chan Is Missing [id., Wayne Wang, 1982]
Mrs. Doubtfire – Mammo per sempre [Mrs. Doubtfire , Chris Columbus, 1993]
Sister Act 2 – Più svitata che mai [Sister Act 2, Bill Duke, 1993]
I signori della truffa [Sneakers, Phil Alden Robinson, 1992]
Mia moglie è una pazza assassina? [So I Married an Axe Murderer, Thomas Schlamme, 1993]
Uno sconosciuto alla porta [Pacific Heights, John Schlesinger, 1990]
Basic Instinct [id., Paul Verhoeven, 1992]
Patty – La vera storia di Patty Hearst [Patty Hearst, Paul Schrader, 1988]
Scommessa con la morte [The Dead Pool, Buddy Van Horn, 1988]
Soluzione estrema [Desperate Measures, Barbet Schroeder, 1998]
Il presidio – Scena di un crimine [The Presidio, Peter Hyams, 1988]
La signora in rosso [The Woman in Red, Gene Wilder, 1984]
Pal Joey [id., George Sidney, 1957]
L’organizzazione sfida l’ispettore Tibbs [The Organization, Don Medford, 1971]
Killer Elite [The Killer Elite, Sam Peckinpah, 1975]
Minuto per minuto senza respiro [Daddy’s Gone A-Hunting, Mark Robson, 1969]
Sister Act – Una svitata in abito da suora [Sister Act, Emile Ardolino, 1992]
Papà ti aggiusto io! [Getting Even with Dad, Howard Deutch, 1994]
Fearless – Senza paura [Fearless, Peter Weir, 1993]
Colpisci ancora Joe [Mr. Ricco, Paul Bogart, 1975]
L’uomo venuto dall’impossibile [Time After Time, Nicholas Meyer, 1979]
So che mi ucciderai [Sudden Fear, David Miller,1952]
Massacro a San Francisco [Slaughter in San Francisco, Lo Wei, 1974]
Mission: Impossible [id., Brian De Palma, 1996]
Old San Francisco [id., Alan Crosland, 1927]
La seduttrice [Born to Be Bad, Nicholas Ray, 1950]
Quando l’amore se n’è andato [Where Love Has Gone, Edward Dmytryk, 1964]
Doppio taglio [Jagged Edge, Richard Marquand, 1985]
The Zodiac Killer [id., Tom Hanson, 1971]
The Fan – Il mito [The Fan, Tony Scott, 1996]
L’ispettore Martin ha teso la trappola [The Laughing Policeman, Stuart Rosenberg, 1973]
Petulia [id., Richard Lester, 1968]
Salva la tua vita! [Julie, Andrew L. Stone, 1956]
Operazione terrore [Experiment in Terror, Blake Edwards, 1962]
Amarsi [When a Man Loves a Woman, Luis Mandoki, 1994]
Il mistero del marito scomparso [Woman on the Run, Norman Foster, 1950]
The Falcon in San Francisco [id., Joseph H. Lewis, 1945]
Terrore dallo spazio profondo [Invasion of the Body Snatchers, Philip Kaufman, 1978]
Gli uccelli [The Birds, Alfred Hitchcock, 1963]
Analisi finale [Eiskalte Leidenschaft, Phil Joanou, 1992]
Un secchio di sangue [A Bucket of Blood, Roger Corman, 1959]
Samurai [id., Lee H. Katzin, 1979]
Una sera a San Francisco [Incident in San Francisco, Don Medford, 1971]
Terminator Genisys [id., Alan Taylor, 2015]
Godzilla [id., Gareth Edwards, 2014]
Silenzio sublime [Frisco Jenny, William A. Wellman, 1932]
Take Me Away! [Furimukeba Ai, Nobuhiko Obayashi, 1978]
La signora in giallo [Murder, She Wrote, creata da Peter S. Fischer, Richard Levinson, William Link, 1984-1996]
Dogfight – Una storia d’amore [Dogfight, Nancy Savoca, 1991]
The Golden Gate Murders [id., Walter Grauman, 1979]
Smarrimento [Nora Prentiss, Vincent Sherman, 1947]
San Andreas [id., Brad Peyton, 2015]
Io ti aspetterò [The Sisters, Anatole Litvak, 1938]
Fiamme a San Francisco [Flame of Barbary Coast, Joseph Kane, 1945]
Nebbia a San Francisco [Fog Over Frisco, William Dieterle, 1934]
he Net – Intrappolata nella rete [The Net, Irwin Winkler, 1995]
Thundercrack! [id., Curt McDowell, 1975]
Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan [Magnum Force, Ted Post, 1973]
Perfido inganno [Born to Kill, Robert Wise, 1947]
Rapacità [Greed, Erich von Stroheim, 1924]
The Rock [id., Michael Bay, 1996]
San Francisco [id., W.S. Van Dyke, 1936]
Avventure di un uomo invisibile [Memories of an Invisible Man, John Carpenter, 1992]

2. «The form technically began with the efforts of documentary filmmakers who were looking to create more poetic, impressionistic portraits of locations without the crutch of didactic voice-overs.» Paul Young, Paul Duncan, Art Cinema, Tachen, Los Angeles, 2009, p. 69.

3. Joshua Rotter, SFIFF Goes Out with The Green Fog, a Tribute to Vertigo, https://www.sfweekly.com/culture/sfiff-goes-out-with-a-the-green-fog-a-tribute-to-vertigo/

4. Una tradizione trasversale che comprende il film di Mark Rappaport Rock Hudson’s Home Movies [id., 1992], The Clock [id, 2010] di Christian Marclay, Home Stories [id., 1990] di Dirk Schaefer e Matthias Müller, Final Cut: Ladies and Gentlemen [Final Cut: Hölgyeim és uraim, 2012] di György Pálfi, fino alle pratiche di «mash-up» riproposto nell’era di YouTube da Antonio Maria da Silva con Hell’s Club [id., 2015] dove si immagina che, in un locale notturno, si scontrino alcune icone pop provenienti da immaginari diversi quali Terminator [id., James Cameron, 1984], Carlito’s Way [id., 1993] di Brian De Palma, Collateral [id., Michael Mann, 2004], La febbre del sabato sera [Saturday Night Fever, John Badham, 1977] e altri ancora.

5. Joshua Encinias, Guy Maddin on Reinventing Vertigo with The Green Fog, Male Gaze, and the Bressonian Qualities of Chuck Norris, https://thefilmstage.com/guy-maddin-on-reinventing-vertigo-with-the-green-fog-male-gaze-and-the-bressonian-qualities-of-chuck-norris/)

6. Sul tema del cinema e degli universi paralleli, cfr. con il nostro primo Numero ( https://specchioscuro.it/lo-specchio-scuro-1/ )

7. Andrea Termini, https://specchioscuro.it/the-forbidden-room/

8. Laurent Fievet, Vertigini cromatiche, in AA.VV., Fotogenia, Clueb, Bologna, 1994, p. 111.

9. Joshua Rotter, Articolo citato.

10. Slavoj Žižek, Alfred Hitchcock, ovvero esiste un modo corretto di fare remake?, in Slavoj Žižek, Lacrimae rerum. Saggi sul cinema e il cyberspazio, Libri Scheiwiller, Milano 2911, p. 121.

11. Come ha notato Paolo Bertetto, il concetto di figurale studiato da Lyotard è strettamente connesso al problema della «raffigurabilità dei contenuti del sogno», ai suoi caratteri dinamici legati alla forza, al flusso, al desiderio che vanno al di là della strutturazione propria del linguaggio. Cfr. Paolo Bertetto, Lo specchio e il simulacro. Il cinema nel mondo diventato favola, Bompiani, Milano, 2008, pp. 183-187.

12. Eric Kohn, Vertigo Revisited: Guy Maddin Explores Hitchcock’s Classic With Found Footage, https://www.indiewire.com/2017/04/vertigo-remake-guy-madden-the-green-fog-interview-1201805968/

13. Maurizio Del Ministro, Alfred Hitchcock. La donna che visse due volte, Lindau, Torino, 2004, p. 122.

14. Cfr. Christian Metz, Cinema e psicanalisi, Marsilio, Venezia, 2006.

15. Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni, Newton Compton, Roma, 1995, p. 231.

16. Idem.

17. Ivi., p. 237

18. Ivi., p. 239

19. Ivi., p. 240

20. Idem.