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In questo episodio di podcast si analizza Spider-Man: Across the Spider-Verse [id., Joaquim Dos Santos, Kemp Powers, Justin K. Thompson, 2023], film d’animazione seguito di Spider-Man: Un Nuovo Universo1 [Spider-Man: Into the Spider-Verse, Peter Ramsey, Robert Persichetti Jr., Rodney Rothman, 2018], con l’intento di ragionare sul tema del multiverso a partire da alcune riflessioni già esposte in “Nuovi mondi possibili: note su mito, determinismo e multiversi narrativi”,2 uscito nel primo numero della rivista. Spider-Man: Across the Spider-Verse porta avanti, compiutamente, una riflessione sul multiverso (inteso come “tecnologia narrativa”) del tutto analoga a quelle di un’altra opera determinante per una ‘ontologia’ o ‘narratologia’ del multiverso nel contemporaneo, ovvero la miniserie Devs [id., creata da Alex Garland, 2020]. Tracciando una linea ideale tra questi due punti, che approcciano il multiverso in chiave narratologica e filosofica, avrò anche modo di ricollegarmi a letture che invece definirei ‘intimiste’ del multiverso, di cui cercherò di tratteggiare alcune caratteristiche-chiave a partire da altri due film: il già citato Spider-Man: Un Nuovo Universo e il più recente Everything, Everywhere, All At Once [id., Daniel Kwan, Daniel Scheinert, 2022].
Across the Spider-Verse segna il ritorno di Miles Morales, Spider-Man alternativo al consueto Peter Parker, che si trova di nuovo risucchiato dal multiverso (o meglio: Ragno-verso) e incontra vecchi e nuovi amici, affrontando un nemico piuttosto rancoroso che, sfortuna vuole, è in grado di aprire varchi tra i vari mondi e quindi di mettere in subbuglio ben più di un quartiere cittadino. Il film è anzitutto ricchissimo da un punto di vista visivo, e calca la mano sulla spettacolarità e sulla densità anche più del precedente: la veste iper-pop ricolma di citazioni, elementi a schermo, e stili estetici anche apertamente contrastanti è ormai la cifra stilistica distintiva di questa serie e in questo caso è portata all’iperbole fin dalle primissime scene. Ora che vedere riuniti dieci Spider-Man diversi e provenienti da altrettanti regimi narrativi e visivi non è più una novità, ma un saldo punto di partenza, i registi sono liberi di accelerare su qualsiasi fronte: da quello cromatico a quello cinetico, sia per quanto riguarda i movimenti di macchina che il comparto di animazioni. Il pasticcio visivo di Across the Spider-Verse, fatto di meme e di fumetti, di live action e campiture piatte, di luci e colori quasi apertamente espressionisti, è senza dubbio uno dei suoi aspetti più coinvolgenti ed efficaci.
L’introduzione di Across the Spider-Verse.
Gli aspetti più affascinanti del film emergono proprio in funzione di questa sua peculiare densità estetica. Le numerose inquadrature affollate di versioni alternative dello stesso personaggio, infatti, non possono che far pensare alla proliferazione di sagome identiche nel Devs di Garland. Anche in quel caso, spesso la serie ci presentava immagini in cui uno stesso frammento temporale veniva abitato da moltissime versioni alternative di uno stesso protagonista. Questo parallelo dà l’occasione per investigare il vero e proprio nocciolo narrativo di Across the Spider-Verse: il rapporto tra multiverso e determinismo.
Protagonisti moltiplicati in una stessa inquadratura: sopra, Spider-Man: Across the Spider-Verse; sotto, Devs.
Sia Devs che Across the Spider-Verse insistono sul nesso tra la pluralità di spazio-tempi che rappresentano e attorno a cui ruotano (ovvero la proliferazione di mondi possibili) e una quasi inevitabile mitizzazione della realtà raccontata. Come ho già osservato altrove, Devs ruota tutta attorno al concetto di determinismo. Across the Spider-Verse non è diverso: Miles è un’anomalia, ben descritta dal riferimento all’estetica del glitch, e la sua esistenza stessa mette a rischio il ‘canone’, ovvero la stabilità del multiverso. Affascinante in questo caso che venga usata la parola ‘canone’: un ponte teorico tra il mondo del fumetto (e delle community di appassionati) e concetti narratologici o mitologici. Se il rimando alla mitizzazione è anche più evidente che altrove, essendo il film a pieno titolo iscritto nel corpus di narrazioni supereroistiche, è in altre parole opportuno ricordare che qui ‘canone’ viene a configurarsi esplicitamente come il corrispettivo narratologico della dottrina filosofica del determinismo, o quella antropologica del mito.
Lo scopo di “Nuovi mondi possibili” era cercare di rintracciare le radici narrative della proliferazione di realtà diegetiche, provando a rintracciare nei multiversi narrativi una comune esigenza di ripensare una realtà di partenza, ridefinirne e rinegoziarne il significato, ripensarne gli esiti e i punti di svolta. Questo Devs lo rendeva particolarmente osservabile: in tutta la serie, il concetto di multiverso veniva utilizzato per interrogare (e soprattutto sfidare) il determinismo.
Altrettanto esplicito in questo senso è Across the Spider-Verse, che attraverso il concetto di multiverso sfida apertamente l’idea di canone, soffermandosi a interrogare il concetto di mito e chiedendosi che cosa faccia di Spider-Man ciò che è, e di conseguenza cosa potrà essere in futuro.3
Di recente, anche Barbie [id., 2023] di Greta Gerwig ha riflettuto su un’icona (la celebre bambola) arrivando a interrogarsi esplicitamente sul suo ruolo in una contemporaneità che ne ridefinisce valori e significati. Come lo Spider-Man di Across the Spider-Verse si interroga su che cosa lo renda ciò che è, e prova poi a costruire sé stesso in un mondo sovrassaturo di mitologie e narrazioni che sembra imporgli la strada da seguire, così la Barbie di Gerwig mette in crisi le narrazioni tradizionali associate all’icona di riferimento, per poi chiedersi, sulle note di What I Was Made For? di Billie Eilish, quali nuovi direzioni intraprendere (e far intraprendere al brand).
La risposta che si dà il multiverso di Across the Spider-Verse è netta: per quanto le realtà di riferimento cambino, al loro interno le cose che accadono lo fanno con una regolarità evidente – tutti gli Spider-Man soffrono di traumi analoghi, affrontano scelte simili, vivono esperienze che sembrano eco l’una dell’altra. Cambiano lo stile del disegno, l’ambientazione, la musica, il tono, i vestiti, i nomi, l’accento, cambiano alcune configurazioni dei personaggi e alcune identità, ma il mito di Spider-Man resta lo stesso: ogni realtà si somiglia e si somiglierà sempre. È questa predeterminazione dei Ragno-versi che porta il nome di ‘canone’. Miles allora diventa come la Lily di Devs: Lily là non poteva che compiere un gesto non previsto dalla macchina per far collassare la realtà di riferimento. Qua Miles non può che rifiutarsi di sottostare al canone. Il rischio in entrambi i casi è lo stesso: la distruzione del multiverso stesso. Sia Miles che Lily perseguono in questo senso una libertà assoluta, che mette a rischio il tessuto stesso dell’esistenza: sono personaggi che producono (o nel caso di Miles diventano) delle singolarità.
Nel caso di Lily, di nuovo, questo avviene in termini filosofici. Nel caso di Across the Spider-Verse i termini sono invece più propriamente narratologici: a rischiare di collassare sono tutti i Ragno-versi, ovvero è Spider-Man come mito, come meta-narrazione destinata a riaccadere sempre e per sempre, modulandosi di volta in volta su immaginari e sensibilità diverse. Al posto del determinismo, qua abbiamo il canone fumettistico: Miles non scappa soltanto da una realtà rigida che lo ingabbia, ma anche e soprattutto da un sistema narratologico che vuole riassorbirlo. Scappa dal mito, dall’archetipo che incarna.
In questo senso Across the Spider-Verse e Devs si approcciano al multiverso ponendo al centro la riflessione su di esso in quanto dispositivo narrativo. In entrambi, il multiverso viene utilizzato come strumento auto-riflessivo: soltanto sparpagliandosi per più mondi possibili queste realtà possono mettersi in discussione e provare a superarsi, a immaginarsi altrimenti – solo attraverso il multiverso anche noi possiamo arrivare a coglierne cardini strutturali ed elementi definenti, e a pensarli altrimenti.
Uno Spider-Man-paziente racconta i suoi traumi a uno Spider-Man-terapeuta: Across the Spider-Verse utilizza spesso il multiverso in chiave ironica.
Questo approccio al multiverso è contrapposto a quello che invece troviamo in Un nuovo universo e in Everything, Everywhere, All At Once. Se Across the Spider-Verse e Devs affrontano la questione in chiave ontologica e narratologica, Un nuovo universo ed Everything, Everywhere lo fanno in chiave esistenziale. In entrambi, il multiverso viene messo al servizio di parabole che sono in tutto simili a quelle del monomito, o viaggio dell’eroe: i protagonisti affrontano viaggi certo deliranti, certo sparpagliati tra realtà alternative e altrettanto alternative versione di se stessi, ma lo fanno fondamentalmente per riuscire a crescere, a vedersi in modo diverso, a vedere il mondo che li circonda con occhi nuovi. In quei casi quindi il multiverso è una vera e propria ‘tecnologia del sé’,4 che consente di rivisitare una serie di tropi e archetipi noti e di caricarli di implicazioni autoriflessive, a posteriori di una crisi d’identità mai così forte ed efficace. In quanto tale, il multiverso diventa tecnologia trasformativa determinante, che consente ai soggetti protagonisti di questi racconti di trovare un loro posto nel mondo e di riappacificarsi con le realtà (spesso relazionali) di riferimento. Anche per questo motivo, tanto Un nuovo universo quanto Everything, Everywhere aderiscono marcatamente a una struttura narrativa classica, mentre Across the Spider-Verse e Devs sembrano correre letteralmente il rischio di andare alla deriva in una spirale discendente che non riesce a chiudere il circolo del viaggio dell’eroe.
Verso la fine di Everything, Everywhere, All at Once, il grido disperato della protagonista attraversa tutti gli universi: il film ci mostra numerosissime versioni del personaggio in un forsennato susseguirsi di frame in primo piano. La costruzione della scena ribadisce come il multiverso sia usato come dispositivo o tecnologia del sé: prima del turbine di primi piani vediamo la protagonista “uscire” da sé attraverso l’interfaccia che segnala i contatti tra i mondi (immagine in alto); quindi la vediamo perdersi in un’infinità di versioni alternative di sé (con tanto di svolazzi cosmici, come nell’immagine al centro); infine tornare al mondo di partenza, dove il film troverà la sua conclusione (immagine in basso).
In Across the Spider-Verse, Miles cessa di essere importante come personaggio ed eroe e diventa un’istanza, una funzione del mondo narrativo. È il multiverso stesso a trovarsi al centro della scena. Se Un nuovo universo è un racconto che utilizza il multiverso con precise finalità retoriche, Across the Spider-Verse è un film sul multiverso, che riflette compiutamente sulle sue possibilità e sui suoi limiti, nonché sulle sue implicazioni. Identità, predestinazione e predeterminazione non sono più funzionali allo sviluppo di un sé protagonista, sono ingranaggi di un sistema che ragiona anzitutto su cosa significa raccontare, creare icone e miti. Se Devs propone alcune tra le sequenze più inquietanti degli ultimi anni in fatto di multiversi, Across the Spider-Verse si slancia invece (nella scena a Nueva York) in uno degli inseguimenti più rocamboleschi, spettacolari e caotici della storia del cinema, il quale mostra, letteralmente, una moltitudine di immaginari tutti legati da una stessa mitologia all’inseguimento di una scheggia impazzita, di un errore – di un bug nel sistema.
Nei titoli di coda del film vediamo il protagonista in fuga da una miriade di alter-ego. Non solo l’immagine ben sintetizza quanto visto, ma inquadra anche Across the Spider-Verse rispetto all’immaginario dell’Uomo Ragno: una singolarità in fuga, in cerca di definizione e auto-affermazione al di fuori di un sistema ricorsivo di codici e storie. Significativo che, proprio come il film (che rimanda la chiusura a un terzo capitolo della serie), questa fuga per il momento non porti da nessuna parte.
Ed è proprio su questa espressione che vorrei soffermarmi come ultima suggestione per questo episodio. Miles nel film è uno dei pochi Spider-Man ancora non abilitati al viaggio tra universi e di conseguenza viene sovente colto da spasmi sottoforma di glitch. Al contempo, Miles è un eroe che persegue un obbiettivo illogico, scontrandosi contro un sistema invece relativamente stabile, razionale e votato a un bene superiore. Miles da metà del film in poi non fa nulla di eroico: la sua fuga rischia anzi di determinare la fine del Ragno-verso – è più un villain, che come tale agisce prediligendo la propria emotività e la propria incapacità di accettare la realtà al destino del mondo (in questo caso dei mondi). Interessante notare come in questo caso Miles, che è letteralmente rappresentato come un glitch, agisca contro un sistema che invece si manifesta attraverso braccialetti elettronici, tecnologie avanzatissime, robot, console, intelligenze artificiali e quant’altro. Non a caso, quando Miles si scontra con O’Hara lo sentiamo paragonare questo sistema, e di riflesso il concetto stesso di ‘canone’ (nonché quindi l’idea di mito e mitizzazione che gli stanno dietro) a un ‘algoritmo’.
Del multiverso come tecnologia: in Across the Spider-Verse, come in tutti gli altri testi citati finora, il multiverso viene presentato come un sistema di tecnologie avanzatissime. Come in Devs tutto ruota attorno alla costruzione di un computer incredibilmente avanzato, come in Everything, Everywhere i personaggi utilizzano caschi e interfacce per spostarsi tra gli universi, così in Across the Spider-Verse si viaggia tra i mondi attraverso un tunnel digitale (immagine in alto); si resiste ai glitch utilizzando un apposito braccialetto (immagini al centro); e si viene rispediti nel proprio universo in caso di fuga da un enorme ragno robotico che ingabbia digitalmente le proprie vittime (immagine in basso). Tanto da un punto di vista politico quanto narratologico, è opportuno notare che tutte queste tecnologie siano anche dispositivi in senso foucaultiano: sono una rete di codici, strutture, strumenti, interfacce e pratiche d’uso che rafforzano ed esercitano uno specifico potere – quello del ‘canone’.
Ecco quindi che il multiverso, nel momento in cui diventa un complesso ‘sistema’ di narrazioni, viene assimilato anzitutto a una tecnologia di proliferazione di mondi. Accade anche in Devs, in cui Lily lotta anzitutto contro una macchina che interpreta e decodifica gli spazio-tempi possibili. Accade soprattutto qua, in cui i mondi possibili sono anzitutto il frutto di una tecnologia reale codificata e mitizzata. Il fumetto, la televisione, il film – tutti dispositivi che compaiono più e più volte durante la visione e da cui letteralmente questi mondi scaturiscono, si veda per esempio come ogni volta che viene introdotto un nuovo Spider-Man ricompaia il riferimento alla carta stampata.5 In Devs come in Across the Spider-Verse, il multiverso non è più un dispositivo narrativo ma è anche e soprattutto una tecnologia finzionale che, in quanto tale, crea e riforgia intere realtà, interi soggetti, e soprattutto esercita un’azione anzitutto ideologica e politica sui mondi che crea e mette in contatto. In Devs, la lettura politica ed economica è esplicita. In Across the Spider-Verse lo è altrettanto: qua lo scenario non è filosofico, ma mediale, narratologico per l’appunto, e tutti questi miti sono anzitutto figli della cultura pop contemporanea – intesa anzitutto come sistema di produzione e mercificazione di mondi narrativi, come industria. È più che significativo che, in un multiverso del genere, Miles si trovi a lottare contro un sistema di proliferazione di segni e immaginari, un infinito riciclo di mitologie e archetipi, un sistema ‘algoritmico’: in altre parole il sistema mediale contemporaneo, da cui non a caso anche il protagonista stesso (che è la singolarità, l’anomalia) è stato generato.
Da questo punto di vista, il risultato più affascinante che Across the Spider-Verse ottiene è quello di far convergere efficacemente le dimensioni estetica, filosofica, narratologica e politica. Il film racconta di un racconto che lotta contro un multiverso di racconti, alla ricerca disperata di una propria strada laddove tutto però sembra essere stato già detto, ogni traiettoria già tracciata e ogni mossa già compiuta; di un tentativo disperato e forse paradossale di costruire una realtà nuova, laddove le realtà sono diventate così numerose da saturare ogni inquadratura; dello sforzo di andare contro un sistema mediatizzato, tecnologizzato e implicitamente ideologico di costruzione di immaginari. Non alla ricerca del sé, bensì alla ricerca di un nuovo modo di raccontare.
NOTE
1. Vedi A. Libera, Spider-Man: un nuovo universo, o: del multiverso fantasma, Lo Specchio Scuro, 1, 2021.
2. https://specchioscuro.it/mondi-possibili/.
3. Cfr. S. Caselli, No Time to Die e il fantasma di Bond – Prime visioni #1, podcast.
4. Vedi M. Foucault, Tecnologie del sé, Bollati Boringhieri, Torino, 1992.
5. Come scrive Libera di Un nuovo universo: «il film infatti sussume sia l’universo narrativo dei comics sia l’indotto proveniente dal merchandising a marchio Spider-Man come parte della propria narrazione. In altre parole, a essere inglobate in Spider-Man – Un un nuovo universo sono anche due dimensioni extra-cinematografiche: la prima relativa all’episteme (multimediale e transmediale) di riferimento e alla base dei processi di scrittura e ideazione; la seconda inerente i flussi economici nel quale il prodotto finito s’inserisce, ivi comprese la percezione socioculturale e le strategie di comunicazione connesse.»