Talvolta crediamo di aver nostalgia di un luogo lontano, mentre a rigore abbiamo soltanto nostalgia del tempo vissuto in quel luogo quando eravamo più giovani e freschi. Così il tempo ci inganna sotto la maschera dello spazio. Se facciamo il viaggio e andiamo là, ci accorgiamo dell’inganno.1
Trasmessa in Giappone tra il 4 ottobre 1995 e il 27 marzo dell’anno successivo e dipanatasi nell’arco di ventisei episodi, la serie Neon Genesis Evangelion [Shin seiki evangerion, creata da Hideaki Anno] rappresenta uno dei punti di svolta nella storia dell’animazione giapponese. Accompagnata da un successo di pubblico costante e straordinario, si ambienta in un mondo in via di ricostruzione dopo una misteriosa esplosione – chiamata Second Impact – che aveva comportato conseguenze devastanti sull’ecosistema globale ed era stata causata dal fallimento di un esperimento condotto da alcuni scienziati su una misteriosa entità denominata «angelo». La serie segue le avventure dell’adolescente Shinji Ikari, pilota di un gigantesco robot chiamato Evangelion e utilizzato per difendere la metropoli di Neo Tokyo-3 proprio dall’attacco degli «angeli», facendo costantemente riferimento sia a una matrice religiosa di chiara derivazione cristiano-giudaica sia al filone fantascientifico incentrato sull’interazione tra organico e inorganico, corpo e tecnologia, carne e spirito.
Prodotto in grado di sublimare le grandi tensioni della società giapponese del periodo (le recrudescenze terroristiche, il proliferare di sette religiose che mischiavano tradizione shintoista e retaggi occidentali, i drammi dovuti alle catastrofi naturali) e allo stesso tempo di parlare a una generazione di adolescenti sempre più inquieti (anche al di fuori dei confini dell’arcipelago), Neon Genesis Evangelion suscitò tuttavia anche un diffuso malcontento per via di un finale ritenuto dai fan ben poco comprensibile. Proprio per questo, il creatore Hideaki Anno realizzò i lungometraggi Neon Genesis Evangelion: Death and Rebirth [Shin seiki Evangerion Gekijō-ban: DEATH & REBIRTH Shi to shinsei, 1997] – dove vengono riassunti i primi ventiquattro episodi della serie – e, soprattutto, il successivo Neon Genesis Evangelion: The End of Evangelion [Shin Seiki Evangerion Gekijō-ban: The End of Evangelion Air/Magokoro wo, Kimi ni, 1997], che invece forniva alla vicenda una conclusione differente.
Nel 2007, Anno diede il via a un progetto di rebuilding del mondo di Evangelion con l’obiettivo di proporre una nuova versione della vicenda. Le coordinate narrative rimangono infatti sostanzialmente le stesse, ma con qualche variazione decisiva sia in alcuni passaggi del racconto che relativamente alla caratterizzazione dei personaggi. Contrassegnato da una vesta tecnico-grafica differente, il progetto consta di quattro film:
1. Evangelion: 1.0 You Are (Not) Alone [Evangerion Shin Gekijōban: Jo, Hideaki Anno, Masayuki e Kazuya Tsurumaki, 2007]
2. Evangelion: 2.0 You Can (Not) Advance [Evangerion Shin Gekijōban: Ha, Hideaki Anno, Masayuki e Kazuya Tsurumaki, 2009]
3. Evangelion 3.0: You Can (Not) Redo [Evangelion Shin Gekijôban: Kyu, Mahiro Maeda, Masayuki e Kazuya Tsurumaki, 2012]
4. Evangelion: 3.0+1.0 Thrice Upon a Time [Shin Evangerion gekijōban, Hideaki Anno, Kazuya Tsurumaki, Mahiro Maeda e Katsuichi Nakayama, 2021]
In questo articolo indicheremo le possibili ragioni teoriche che hanno condotto il regista giapponese Hideaki Anno a ricostruire il mondo di Evangelion usando come punto di partenza una riflessione di Andreu Ballús e Alba Torrents:
There are many flourishing franchises in the world of anime, but the new installments and revisions of Evangelion that regularly appear are not just an indication of its commercial success but reflect the content of the series: the open, unstable nature of the fiction itself seems to propel the franchise forward through a process of incessant revision, keeping the interest of the audience alive. 2
Inoltre cercheremo di individuare come questa operazione s’inserisca all’interno del macrocosmo dell’animazione giapponese contemporanea.
Premesse all’operazione Rebuild, antecedenti significativi e digitalizzazione dell’immagine
The End of Evangelion assume un ruolo centrale all’interno dell’operazione di rebuild, poiché è anzitutto il primo film della saga che offre un nuovo mondo possibile3, con un finale differente da quello di Neon Genesis Evangelion ed è l’opera che con più forza di altre si concentra sulle relazioni tra opera-spettatore e autore-pubblico, quest’ultimo, rifacendoci alle parole di Walter Benjamin, così declinabile:
[…] la distinzione tra autore e pubblico è in procinto di perdere il proprio carattere sostanziale. Diventa semplicemente funzionale, e funziona in modo diverso a seconda dei casi. Il lettore è sempre pronto a diventare uno scrittore 4
Partendo proprio dall’esigenza del fandom, il regista intraprende una serie di lavori atti a ripensare il rapporto che intercorre tra esigenza artistico-produttiva e aspettative del pubblico, riflettendo in primo luogo su come desideri e speranze degli spettatori possano esercitare un’influenza diretta in fase di produzione (fig.1). A differenza di Neon Genesis Evangelion, tutti i prodotti successivi del franchise saranno infatti costruiti intorno a questa dialettica.
Nell’epilogo di The End of Evangelion Anno inserisce tre minuti di riprese live-action, tra cui alcune inquadrature sul pubblico che alla visione di Death(true)2 assiste ad alcune scene in anteprima dello stesso The End of Evangelion, riprendendone le reazioni e le impressioni. Queste sequenze attuano in primo luogo un cortocircuito tra dato reale e universo finzionale5, tema che tornerà nel finale dell’ultimo rebuild, e quella già citata analisi sull’interferenza creativa che il pubblico applica sull’autore.
Già in The End of Evangelion Hideaki Anno ha messo in scena la distruzione del suo mondo narrativo, talvolta costruendo situazioni alternative che ribaltano totalmente le sequenze presenti nella serie televisiva (fig.2).
Nel riquadro a sinistra, notiamo la mano di Shinji Ikari piena di sangue dopo aver toccato Rei Ayanami in Neon Genesis Evangelion. Nel riquadro a destra, invece, la mano di Shinji cosparsa di liquido seminale alla visione di Asuka ricoverata in ospedale in The End of Evangelion.
Passiamo ora ai nuovi rebuild, veri e propri seguiti di The End of Evangelion. Il primo, Evangelion: 1.0 You Are (Not) Alone comprime al suo interno le vicende narrate nelle prime puntate della serie televisiva dando subito l’impressione di essere un remake shot to shot. Ma il film non si limita a essere solo un riassunto: è un ulteriore mondo possibile dominato dalla CGI (Computer Generated Imagery) che permea ogni aspetto figurativo, come ad esempio la visualizzazione di Neo Tokyo 3, svelata attraverso un totale che mostra Shinji Ikari e Misato Katsuragi indirizzare lo sguardo sulla città (fig.3).
I personaggi di Shinji Ikari e Misato Katsuragi che volgono lo sguardo su Neo Tokyo 3 e l’utopia della ricostruzione.
Il regista nipponico utilizza il digitale in particolare per creare effetti altrimenti impossibili attraverso l’animazione tradizionale (emblematiche in questo senso sono le rappresentazioni degli angeli – qui simili a mostri usciti da un film tokusatsu6 – che si contorcono su loro stessi prima di effettuare ogni azione [fig.4])
La morte dell’angelo che, alla fine di Evangelion: 1.0 You Are (Not) Alone, implode letteralmente. Anche la rappresentazione della morte degli angeli successivi – così come quella di molte loro azioni – segue uno schema simile.
Il digitale è anche come una grande opportunità per calare Evangelion nel contesto dell’animazione contemporanea, che prevede sempre più film saturi di CGI, appunto7. Le intenzioni dell’ennesima operazione di rifacimento di questo universo narrativo vengono esplicitate nell’ultimo capitolo della tetralogia Evangelion 3.0+1.01 Thrice Upon a Time, in cui Hideaki Anno distrugge il suo ‘mondo ammobiliato8’ mostrando direttamente i meccanismi di produzione della finzione (fig.5). In questo modo
[…] l’innegabile importanza di ciò che il narratologo letterario Martinez Bonati chiama la base mimetica – “il mondo reale dell’universo finzionale”, “l’ambito fattuale” che lo spettatore immagina di percepire direttamente, e non attraverso una rappresentazione: la “base mimetica dell’opera non viene esperita come linguaggio, ma direttamente come un mondo […] 9.
Gendo Ikari e Shinji Ikari combattono distruggendo un set cinematografico dove sono ricostruiti gli ambienti e gli scenari dell’universo narrativo di Evangelion.
Evangelion, quindi, si chiude con la distruzione del proprio mondo narrativo per mano dei personaggi stessi: un atto di ‘cannibalismo’ necessario che permette all’autore e ai fan di salutarsi per l’ultima volta, come recita una frase contenuta nell’ultimo capitolo: Goodbye, all of Evangelion.
Note introduttive alla tetralogia rebuild
Come in The End of Evangelion, anche nella tetralogia rebuild i personaggi sono totalmente annullati e resi parodie di loro stessi: Misato diventa una pirata spaziale dalle fattezze di Char Aznable10 a capo di una corazzata che sembra provenire direttamente dal ricco immaginario di Leiji Matsumoto11; Rei esaspera la sua natura fantasmatica, incapace di capire chi sia e di pronunciare una semplice parola o accennare un’espressione, come se fosse una copia ormai sbiadita di un originale che perde gradualmente coscienza di sé; Gendo Ikari diventa ciò che ha sempre odiato: una divinità; suo figlio Shinji Ikari è dominato dalle sue ossessioni e ormai ridotto a un automa che cerca di risolvere i danni da lui causati; Asuka condensa tutta la rabbia accumulata nell’arco delle opere precedenti e la sprigiona durante i combattimenti che la vedono costantemente impegnata a scapito dei momenti di crisi interiore che invece la caratterizzavano in precedenza; gli altri personaggi, invece, sono mostrati per pochi minuti e l’importanza morale e psicologica delle loro azioni rimane scarsamente approfondita. I personaggi di questo universo, quindi, sono destinati a essere costantemente riletti, diventando così nell’ultimo capitolo dei veri e propri simulacri, nell’accezione data al concetto da Gilles Deleuze:
[…] per simulacro, non si deve intendere una semplice imitazione, ma piuttosto l’atto attraverso cui l’idea stessa di un modello o di una posizione privilegiata si trova contestata e rovesciata. Il simulacro è l’istanza che comprende una differenza in sé, come (almeno) due serie divergenti sulle quali gioca, essendo abolita ogni somiglianza, senza che si possa perciò indicare l’esistenza di un originale e di una copia.12
Non a caso, una delle immagini più celebri è quella in cui Shinji e Rei/Yui si guardano mentre viene proiettata su di loro la sigla di Neon Genesis Evangelion (fig.6). Quest’immagine sintetizza tutta l’operazione di Hideaki Anno: astrarre totalmente la rappresentazione dei personaggi al punto di renderli dei veri e propri “corpi performativi” che sembrano fare parte di una gigantesca videoinstallazione digitale. In tal modo, il mondo narrativo diventa una specie di universo circolare e infinitamente replicabile.
Shinji e Rei/Yui si guardano negli occhi mentre su di loro viene proiettata la sigla televisiva di Neon Genesis Evangelion. I personaggi diventano consapevoli di essere dei prodotti di finzione.
Di fatto, gli scopi dell’operazione di rebuilding sono la desacralizzazione di un immaginario che il pubblico ha nel tempo reso oggetto di un’adesione emotiva spinta quasi all’idolatria; la distruzione dell’iconografia della serie originale; la creazione di un universo che è al contempo parte di Neon Genesis Evangelion ma dotato anche di una sua precisa autonomia, in cui ogni personaggio è se stesso ma anche una differente versione di sé; infine, la definizione di una complessa operazione autoparodica (fig.7) volta a svelare l’intero universo Evangelion per ciò che realmente è: non una vertiginosa rete di teorie fanmade o un’allegoria religioso-cabalistica, ma una semplice storia di crescita.13
In Evangelion 3.0: You Can (Not) Redo è decisamente significativo il richiamo alla sequenza finale di The End of Evangelion: la sequenza viene ricreata attraverso una CGI volutamente kitsch e pacchiana, proprio come elemento autoparodico.
Per comprendere al meglio questi concetti è importante analizzare in modo più approfondito il terzo capitolo della tetralogia, perché attraverso le sue meccaniche narrative sintetizza magistralmente le tematiche appena esposte.
Evangelion 3.0: You Can (Not) Redo
Evangelion 3.0: You Can (Not) Redo [Evangelion Shin Gekijôban: Kyu, Mahiro Maeda, Masayuki e Kazuya Tsurumaki, 2012] rappresenta l’auto-distruzione di tutto l’immaginario di Evangelion, che aprirà poi la strada per il ribaltamento finale della tetralogia, in cui Hideaki Anno sovvertirà i toni nichilistici delle opere precedenti.14
Il regista nipponico condensa all’interno del film – paradossalmente il più corto dei rebuild, generando così la densità di cui andremo a parlare – tutto l’immaginario che lo ha influenzato per la realizzazione della sua magna opus, oltre al senso delle vicende narrate nell’arco di quasi 20 anni di produzione e serializzazione, al contempo riplasmando l’intero universo attraverso un processo di digitalizzazione.
In Evangelion 3.0: You Can (Not) Redo (che già dal titolo gioca ironicamente sulla natura di meta-remake dell’operazione), la scelta della breve durata e la decisione di collocare i fatti narrati nel film tra due impact15 mai mostrati prima d’ora permettono al regista di privare i personaggi della loro complessità psicologica e di giocare sia con le aspettative del pubblico (vedasi paragrafo precedente) sia con gli archetipi fondativi della sua opera, sottoposta – rispetto al passato – a un processo di ipervelocizzazione del ritmo. Il titolo originale, infatti, contiene la parola Kyū che corrisponde al terzo degli atti della divisione musicale tipica giapponese, e si traduce con ‘accelerazione’ (ognuno dei film ha nel titolo uno di questi momenti, rigorosamente ordinati).16
Se quindi i personaggi diventano – come detto – una specie di caricatura della loro precedente versione, ad assumere sempre maggiore importanza è invece la concatenazione degli eventi; caratteristica, questa, che pone il film perfettamente in linea con buona parte dell’animazione giapponese coeva. Quello che conta realmente, per Anno, è riflettere sul tema della ripetizione, esasperando azioni e avvenimenti che conducono alla catastrofe.
Una testimonianza di ciò è fornita da uno degli oggetti che ha sempre caratterizzato sottotraccia tutta la serie di Evangelion: il lettore musicale di Shinji (fig.8), oggetto che serve a quest’ultimo per isolarsi dal mondo circostante e che possiede una funzione simbolica importante (ovvero il suo ripartire sempre da capo a fine registrazione) diventando così la rappresentazione simbolica della tragedia e della ripetizione degli eventi catastrofici vissuti dai personaggi; la ciclicità del nastro rispecchia sia quella che imprigiona i protagonisti sia quella che caratterizza l’intero franchise.
Il lettore musicale di Shinji.
Ecco quindi come ogni autoriflessione sull’opera, le sue meccaniche e i suoi personaggi diventa anche una meta-riflessione sul mezzo e sul rapporto tra fruitore e opera. Nell’universo di Evangelion, questo raggiunge quasi una sorta di esasperazione morbosa dovuta alla filiera di sequel e remake che lo reinventano continuamente.
In Evangelion 3.0: You Can (Not) Redo viene a crearsi un vortice di eventi in cui la scelta dei personaggi perde ogni importanza (elemento che invece era salvifico e redimeva Shinji nel finale della serie televisiva) e che porta inevitabilmente all’addensamento di venti anni di narrazione in un unico film, rappresentato dallo sventato quarto impact alla fine dell’opera, che indica una totale liberazione non solo dalla ciclicità di errori e orrori a cui sono obbligati i personaggi ma anche dalla ciclicità produttiva che ha ingabbiato la serie per volere dell’autore.
Nel finale del film tutta la tensione dei 90 minuti precedenti si va disperdendo: Shinji, Asuka e Rei camminano verso il loro futuro in un campo lunghissimo sul deserto che dona finalmente aria e libertà rispetto alla gravosità che pesava sulle loro spalle, in antitesi alle inquadrature opprimenti che costituivano l’impianto figurativo fino a quel punto.
Conclusioni
Abbiamo descritto come, attraverso il continuo processo di riscrittura, Neon Genesis Evangelion sia diventato un oggetto difficile da definire e inquadrare.
Come precedentemente accennato, la natura di questi lavori è talmente fluida ed eterogenea da esplorare contemporaneamente tutte le tipologie di rifacimenti riscontrabili nell’industria audiovisiva odierna. Troviamo quindi i fattori di ripetizione degli schemi tipici della saga, vista la natura quadripartita del progetto, la replica dell’opera in sé, attraverso il remake shot to shot del primo capitolo e infine il riadattamento dei modelli classici della serie televisiva adattati a nuovi scopi. I rebuild di Evangelion rileggono però anche l’esigenza dell’autore di raccontarci nuovamente le sue difficoltà17, senza dimenticare gli anni trascorsi dalla sua opera prima. È in questa continua rilettura dei propri schemi la grandezza e il senso dell’operazione di Hideaki Anno: aderire al nuovo mondo dell’animazione pop, luogo virtuale asciugato dai toni nichilistici delle produzioni precedenti, permette al regista di chiudere un ciclo di opere concepito anche come forma auto-terapeutica.
La nuova tetralogia porta quindi con sé una rinnovata concezione delle immagini, e attraverso la sperimentazione di nuove forme e tecniche d’animazione decide di aderire a ciò che precedentemente aveva rigettato: le sue incursioni nel mondo dell’animazione pop18 dell’industria contemporanea giapponese erano elementi impensabili se consideriamo la natura della serie del 1995. Il richiamo, nel finale, al cinema di Makoto Shinkai19 , già evidente dalla partitura musicale che compone il brano conclusivo One Last Kiss, è esplicativo di una liberazione del dualismo ‘personaggio-autore’ – ‘Shinji-Anno’ dalla condizione che li opprimeva e una liberazione del franchise stesso dalle stringenti logiche produttive che in genere incatenano questo tipo di operazioni.
Ritornano in questo finale le digressioni del reale nell’animazione, come nell’epilogo di The End of Evangelion: il regista inserisce delle riprese della stazione Shinkawa di Ube, suo luogo di nascita (fig.9).
I disegni animati di Shinji e Mari che corrono nelle reali immagini plongée che Anno inserisce della città di Ube. L’animazione che irrompe nel reale. Viceversa, Mari è il personaggio che dal reale irrompe nella finzione dell’animazione: personificazione della moglie di Anno (colei che lo ha salvato dalla depressione) diventa personaggio che ha la medesima funzione verso Shinji, salvarlo da sé stesso e da Evangelion in toto. Proprio per questa sua natura di elemento esterno all’opera Mari è l’unico personaggio che non sta alle regola del mondo di finzione, spezzandone continuamente i limiti spaziali, temporali e logici.
Di fatto questa scelta rende esplicita una delle caratteristiche fondanti delle operazioni remake e affini, ovvero il fattore nostalgia. Al netto delle sovrastrutture teoriche anche questi film necessitano dell’utilizzo della nostalgia per attirare il pubblico di riferimento (se ne è già data prova parlando delle miriadi di citazioni che Anno inserisce nei rebuild); tutto ciò è riconducibile alle parole di Schopenauer a inizio articolo.
Una delle finalità dell’operazione rebuild è lo svelamento dell’inganno e della finzione cinematografica (vedasi fig. 7 e fig.5) e della nostalgia stessa: la dichiarazione d’intenti del finale di ‘Evangelion 3.0 + 1.0: Thrice upon a time’ è anche quella di liberarsi del passato, e di conseguenza del riciclo produttivo della stessa opera, abbracciando invece una nuova libertà creativa.
‘La vita può essere capita solo all’indietro ma va vissuta in avanti’20, afferma Kierkegaard, e questo assunto definisce perfettamente anche la natura dei Rebuild of Evangelion: partendo dalle meccaniche tipiche dei remake, l’intento del regista è quello di riflettere attivamente sulla loro forma plasmando una nuova concezione di riadattamento. Alla domanda circa la difficile definizione del mondo narrativo e del franchise di Evangelion, allora, risponde molto semplicemente l’autore Hideaki Anno:
“’Eva’ is a story that repeats”21.
NOTE
1. Parega e Paralipomena, A. Schopenauer, , 1851, cfr.
2. Evangelion as Second Impact: Forever Changing That Which Never Was, A. Ballús, A. G. Torrents, Mechademia Volume 9, University of Minnesota Press, 2014, p. 283.
3. Lector in fabula, La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, U. Eco, Bompiani, Milano, 2010, cfr.
4. L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, W. Benjamin, Einaudi Editore, Torino, 2014, pp. 23-24.
5. Sotto questa luce si può leggere anche la collaterale e interessante operazione di ‘Evangelion — Episode 26’ Live Action Cut’, cortometraggio live action in cui Anno segue le vicende delle Asuka e Misato in carne e ossa (non a caso interpretate dalle doppiatrici originali) nel mondo reale e quotidiano, nella vita di tutti i giorni. Svegliatesi da un sogno particolare e a fine episodio richiamate dalla voce dello Shinji animato, questo cortometraggio indaga ancora tra le corrispettive influenze tra reale e finzione.
6. Termine che significa ‘effetti speciali’ che deriva da ‘tokushu satsuei’, ovvero ‘fotografia speciale’. Il termine tokusatsu si indica per tutti quei film che prevedono un utilizzo massiccio di effetti speciali, es. i Kaiju–eiga come Godzilla (Ishirō Honda, 1954) o tutto l’universo legato a Ultraman.
7. https://farfromanimation.com/2017/04/30/storia-dellanimazione-digitale-in-giappone-e-alcune-caratteristiche-fondamentali/..
8.Lector in fabula, La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, U. Eco, Bompiani, Milano, 2010, pp. 210.
9. Semiologia del cinema e dell’audiovisivo, R. Stam, R. Burgoygne, S. Flitterman – Lewis, Bompiani, Milano, 2004, p. 124.
10. Personaggio della serie Mobile Suit Gundam (Kidō senshi Gandamu, 1979-1980).
11. Capitan Harlok (Uchū kaizoku kyaputen Hārokku, 1979), Star Blazers (Uchū senkan Yamato, 1974-1975).
12.Differenza e ripetizione, G. Deleuze, Il Mulino, Bologna, 1970, p. 117.
13. Di fatto nel capitolo finale della tetralogia tutti gli interessanti elementi e riferimenti religiosi che contribuivano a creare il clima di mistero nella serie originale vengono volutamente esasperati, finendo per diventare fini a loro stessi e non più asserviti alla creazione dell’atmosfera della saga. Questa scelta va letta nell’ottica di Anno, con Evangelion 3.0+1.0, di distruggere ogni teoria che per decenni i fan hanno creato e su cui si è alimentato il mito di Evangelion. La più famosa Teoria dei loop che lega tutti i prodotti del franchise a livello multimediale è stata senza dubbio cavalcata dallo stesso autore nella elaborazione della nuova tetralogia, lasciando falsi indizi prontamente, e in modo beffardo, sfatati nell‘ultimo film, anche attraverso le parole dei personaggi stessi.
Anche questo interessante rapporto giocoso tra Anno e il suo pubblico va letto nella più grande riflessione, che il regista compone pezzo per pezzo nelle sue opere, del già citato rapporto creativo che intercorre tra autore e spettatore.
14. A questo proposito è bene ricordare che Evangelion nasce, anche nei suoi pessimistici toni dalla situazione psicologica del suo autore Hideaki Anno, che per anni ha lottato contro la depressione e la reclusione.
Come afferma lui stesso in una intervista (17 luglio 1995) rilasciata prima dell’inizio della serializzazione della serie originale: ‘I tried to include everything of myself in Neon Genesis Evangelion-myself, a broken man who could do nothing for four years. A man who ran away for four years, one who was simply not dead. Then one thought. “You can’t run away,” came to me, and I restarted this production. It is a production where my only thought was to burn my feelings into film.’ What were we trying to make here? – Eva Monkey, an Evangelion Fan Website.
16. Jo-Ha-Kyu traducibili come inizio, rottura e accelerazione sono cardini ritmici ed estetici teorizzati inizialmente nella tradizionale musica Gagaku e divenuti in seguito linee guida di tutta una tradizione artistica e culturale giapponese. Nel caso dei rebuild di Evangelion questi atti scandiscono perfettamente anche gli intenti di ognuno dei film: In Evangelion 1.0 abbiamo l’inizio, ovvero la ripetizione quasi pedissequa degli avvenimenti della serie originale e quindi il riavvio di una nuova saga. In Evangelion 2.0 abbiamo la rottura, ovvero la cesura totale con gli eventi classici della serie originale e l’inserimento di una nuova variazione che modifica la narrazione. In Evangelion 3.0 abbiamo l’accelerazione, che è già ampiamente trattata nel paragrafo. Per maggiori info riguardo la divisione in atti Jo-Ha-Kyu: Jo-ha-kyū – Wikipedia.
17. Non a caso la lavorazione di ’Evangelion 1.0’ coincide con una ricaduta nella depressione di Anno
18. Per avere una maggiore comprensione delle meccaniche del mondo del pop giapponese, e per vedere come dalla serie originale di Evangelion si sia evoluta in direzione quasi opposta l’animazione nipponica rimando a un mio precedente approfondimento sulle pagine dello Specchio Scuro: Il ragazzo e l’esplosione. Da Evangelion a Your Name, rivoluzione dell’otaku nell’animazione giapponese – Lo Specchio Scuro.
19 .Makoto Shinkai è uno dei pionieri dell’animazione contemporanea giapponese. I suoi film coniugano quasi sempre successi di critica a successi di botteghino, anche se il suo più grande merito è quello di aver rivoluzionato l’industria influenzando molti registi e molti film, soprattutto dopo Your Name (Kimi no na wa, 2016).
20. Diario, S. Kierkegaard 1834-1855, cfr.
21. Hideaki Anno, dal Booklet contenuto nell’edizione giapponese di ’Evangelion 1.11’