Leitmotiv principale di questa 79esima edizione della Mostra del Cinema è il rapporto tra potere e rappresentazione. Un percorso che inizia con l’anteprima mondiale di Marcia su Roma (2022) di Mark Cousins che, con il suo consueto approccio filologico all’immagine, ripercorre il Ventennio imbastendo un vero e proprio «teatro dell’immagine» calcato non solo dai grandi nomi della Storia, ma anche da quella gente comune che gli eventi narrati li ha vissuti. Muovendosi tra i film dell’epoca – nella fattispecie A noi! (1923) di Umberto Paradisi e È piccerella (1922) di Elvira Notari – Cousins individua nello spazio teatrale il principale valore formale della rappresentazione (e quindi della percezione) del Fascismo, la sua natura scenica e la sua stessa decadenza. 

Con uno approccio assai simile, rispettoso per l’archivio e le fonti ma stilisticamente diversissimo dal regista irlandese, Sergej Loznitsa dirige The Kiev Trial [id., 2022], che mette sul banco degli imputati gli stermini di civili e prigionieri di guerra ucraini avvenuti tra il 1941 e il 1943 per mano nazista.
La consueta, meticolosa scelta del materiale d’archivio risulta anche qui, seppur con drastiche differenze rispetto a Cousins, in un’opera umanista (come, d’altro canto, in buona parte della sua filmografia, in modo più eclatante Process [id., 2018] presentato a Venezia 75), che riesce a parlare del presente senza mai scadere in facili parallelismi, limitandosi a offrire uno sguardo diretto e privo di ulteriore manipolazione sui fatti, recuperando a tratti quanto già fatto in Babij Jar. Kontekst [id., 2021].

Chiude questo nostro intervento Argentina, 1985 [id., 2022], ultima fatica di Santiago Mitre che affronta i mesi del processo ai generali dell’armata militare rea del colpo di stato che li mise al potere tra il 1974 e 76.
Se da un lato non sorprende la delicatissima scrittura di Mariano Llinàs (La Flor [id., 2018]) che restituisce i personaggi alle dimensioni del privato e le vittime alla Storia, colpisce invece la dimestichezza di Mitre con un linguaggio da blockbuster. Pur concedendosi dei virtuosismi (come l’incastro di dissolvenze e caratteri à là Zodiac [id., David Fincher, 2007]), Argentina, 1985 resta sempre nei binari di un tipico prodotto d’intrattenimento hollywoodiano.

Piccola ma importante postilla merita Padre Pio [2022] di Abel Ferrara, che sfrutta la drammatica lacerazione del panorama politico italiano di inizio ‘900 per rispecchiarvi i tumulti interiori di Pio da Pietrelcina (un magistrale Shia LaBoeuf). Il film è costruito su un’alternanza continua tra primissimi piani e riprese che sembrano realizzate da un cellulare; tra l’estetica underground tipica del cinema di Ferrara e il rispettoso omaggio al dramma storico italiano.