Parte della nostra rubrica Le forme del gotico: dal muto a oggi, questo articolo si sofferma principalmente sul rapporto tra Gotham City e la tradizione del gotico in Batman [id., 1989] di Tim Burton. Laddove necessario, saranno inseriti dei riferimenti agli altri tre film della serie prodotta dalla Warner Bros. tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta: Batman – Il ritorno [Batman Returns, 1992] diretto ancora da Burton, Batman Forever [id., 1995] e Batman & Robin [id., 1997], diretti invece da Joel Schumacher.

Il gotico architettonico: Gotham City

Batman [id., 1989] di Tim Burton inizia con una soggettiva. Una soggettiva, però, priva di soggetto. Uno sguardo senza referente.
Mentre scorrono i titoli di testa, la macchina da presa perlustra i corridoi di un labirinto di pietra, s’inabissa nei suoi cunicoli, li attraversa in orizzontale e in verticale, passa in rassegna anditi e gallerie, curva a strapiombo e poi si allontana dal centro ed emerge verso l’alto, trasformando uno spazio indefinito in una forma che si staglia con nettezza nell’oscurità assoluta. Le pareti percorse dalla macchina da presa, prolungamento dell’occhio di un esploratore invisibile, sono in realtà le linee frastagliate del logo di Batman.

Niente di casuale, non un semplice paratesto. Piuttosto, un manuale d’istruzioni, un piccolo vademecum che già contiene in sé le modalità di configurazione spaziale dell’opera. Lo spazio, infatti, non solo è il vero soggetto del film, ma è anche il ricettacolo che crea e contiene i protagonisti delle sue vicende, ne è una propaggine identitaria. Non a caso, l’inquadratura successiva è un campo lunghissimo che mostra la cupa e grandiosa skyline di Gotham City, con il nome della città che viene sovraimpresso sul margine inferiore del fotogramma.

Distopia urbana tra le più suggestive del secondo Novecento, ideata da Burton e dal geniale scenografo Anton Furst (suicidatosi nel 1991), ecosistema monumentale paragonabile solamente a quelli di Metropolis [id., Fritz Lang, 1927], Blade Runner [id., Ridley Scott, 1982] e Brazil [id., Terry Gilliam, 1985], Gotham City è anzitutto «una città mondo»1, un frattale postmoderno che contiene una varietà eterogenea di stili architettonici, una megalopoli più che una metropoli, un luogo separato dal resto del globo, di cui è sineddoche. Non è un caso che sorga su un’isola; e – va detto – dei quattro film della serie il capostipite è l’unico che ne mostri la natura eminentemente insulare (per quanto molto brevemente), che invece giocherà un ruolo fondamentale nel finale de Il cavaliere oscuro – Il ritorno [The Dark Knight Rises, 2012), ultimo capitolo della trilogia diretta da Christopher Nolan2.

Come ha scritto Gianni Canova, «non c’è mondo fuori da Gotham City»3: tutti sembrano viverci da sempre, anche chi, come la giornalista Vicky Vale (interpretata da Kim Basinger) proviene da un invisibile al-di-là. E così varrà anche per i seguiti, eccezion fatta per il più debole Batman & Robin, dove non solo Barbara Gordon/Batwoman fa ritorno in città dopo diverso tempo ma i protagonisti ammiccano in due circostanze a Superman e alla sua Metropolis.

A una visione d’insieme, Gotham sembra non avere confini certi né una topografia definita, tant’è che cambia pelle di film in film adattandosi di volta in volta non tanto al registro scelto (il gotico fiabesco burtoniano, le sciarade carnevalesche di Schumacher) quanto alle maschere che ne prendono possesso (Joker, il Pinguino, L’Enigmista, Due Facce, Poison Ivy, Mr. Freeze). Un polimorfismo instabile da cui deriva il sospetto che quello di Gotham sia uno spazio mentale, una proiezione fantasmatica delle personalità psicotiche che la abitano4. Lo stesso maniero in cui vive il protagonista in Batman, luogo eminentemente fiabesco pieno di stanze, sale e disimpegni, «riflette la psiche di Bruce Wayne, che talvolta appare confusa e disordinata, […] ed è pieno di corridoi in cui può perdersi, specialmente nei ricordi del passato»5. Ma non solo. Superando ogni principio di contraddizione per trasformarsi in un mosaico di tessere aggregate o giustapposte – e in questo pienamente postmoderna – Gotham, come si è anticipato, partorisce dal suo ventre le maschere che la abitano. La caverna di Bruce Wayne/Batman (Michael Keaton) non è solo la rappresentazione simbolica dell’inconscio dimidiato del protagonista ma è anche il luogo in cui questi nasce e da cui arriva in superficie (proprio come le fogne del Pinguino in Batman – Il ritorno); per contro, Joker (Jack Nicholson)6, in uno dei tanti movimenti speculari e opposti rispetto alla sua nemesi, risorge metaforicamente dopo essere stato fatto cadere inavvertitamente dallo stesso Batman in una vasca della Axis Chemical.

Il maniero di Wayne

La Batcaverna

Caduta e risurrezione di Joker.

Gotham è quindi contemporaneamente uno spazio mentale e un ventre gigantesco che asseconda quell’ossessione riproduttiva a cui sembrano essere immuni i suoi personaggi e che si realizza in una sorta di oscura partenogenesi. Ha la concretezza materiale dei contrafforti, dei ponti sospesi e della architetture pesanti che ne dominano la superficie ma anche la consistenza evanescente del sogno (come giustamente sostiene Nicolò Vigna7, la scena dell’ingresso alla Batcaverna è ripresa come fosse l’oltrepassamento di una soglia onirica); è «materializzazione urbana dell’inconcepibile peso della responsabilità, della colpa e di un’affollata solitudine»8 ma anche – come ha detto Alberto Massaccesi9 – un «paese delle meraviglie», una dimensione fantastica inscritta in un tessuto metropolitano dall’identità fortemente riconoscibile.

L’arrivo alla Batcaverna

Analogamente al labirinto di pietra che apre il film, Gotham City non ha un vero e proprio centro10. Ci sono piuttosto una serie di centri di irradiazione: il Municipio (luogo dell’Ordine), la Axis Chemical (che produce, invece, il Caos e il Disordine), la cattedrale (centro del Sacro), il castello di Wayne con la sottostante Batcaverna, il grattacielo da cui il malvivente Grissom (Jack Palance) controlla il malaffare della città, il covo di Joker situato in un luogo indefinito (pare un sotterraneo, come quello in cui trafficano Due Facce [Tommy Lee Jones] e L’Enigmista [Jim Carrey] in Batman Forever), la sede del quotidiano Gotham Herald, il Flugelheim Museum ecc.

Il municipio di Gotham

Il Flugelheim Museum

L’imponente grattacielo da cui il gangster Grissom gestisce i suoi affari

La Axis Chemical

Non esistono principi di coerenza spaziale, quanto una costante opera di ibridazione. Dato evidenziato dalle citazioni cinematografiche: la casa di Norman Bates in Psyco [Psycho, Alfred Hitchcock, 1960] che sormonta la cattedrale, gli interni di quest’ultima che rimandano a uno dei luoghi-chiave di La donna che visse due volte [Vertigo, Alfred Hitchcock, 1958] e di Notre Dame [The Hunchback of Notre Dame, William Dieterle, 1939], uno dei primi film visti da Burton in tenera età.

La cattedrale

Ma espresso anche sul piano architettonico, dove a convivere sono diversi stili e riferimenti iconografici: da Norman Forster al «gotico geneticamente modificato»11 di Calatrava, da Schinkel a Gaudí, da Otto Wagner a Shia Takamatsu (il Flugelheim Museum concilia reminiscenze cyberpunk con l’«architettura della retorica» [Takamatsu dixit] dell’Ark di Kyoto).

Gli interni quasi steampunk dell’ingresso del Flugelheim Museum.

A dare omogeneità a un contesto così multiforme sono le scelte cromatiche (Canova parla giustamente di «acromia»12, poiché il nero è il colore dominante), la tetra ombrosità, l’atmosfera dark da incubo romantico o neoclassico e, soprattutto, la filiazione con la grande tradizione del gotico. Filiazione in primis architettonica, data dalla copiosa presenza di colonne scanalate a fusto dorico o rastremate, archi ogivali, volte a costolonature, archi decorativi, grandi volte in pietra o metallo, cordonature, aggettature, pinnacoli, guglie e gargoyle. Ma evocata anche dall’espansione eminentemente verticalista della città, tant’è che uno dei due sceneggiatori, Sam Hamm13, ha descritto Gotham come la configurazione che avrebbe assunto «l’inferno qualora fosse sorto dai pavimenti e avesse continuano a innalzarsi»14, dove la luce entra o viene schermata nei punti più imprevisti: basti pensare all’appartamento di Vicky, con il soffitto che si trasforma in un unico grande lucernario, o per contro alle finestre a rosone del museo di Gotham, alcune delle quali imprevedibilmente oscurate.

Sembra in fondo di leggere John Ruskin quando, parlando del gotico come del «miglior genere architettonico», scrive: «Indefinito quanto all’inclinazione del tetto, all’altezza dei pilastri, all’ampiezza dell’arco, all’articolazione della pianta, può restringersi alle dimensioni d’una torretta, o ampliarsi in un grande ambiente; avvolgersi in una scala e lanciarsi in una guglia […] ovunque trovi occasione di mutamento, sia per quanto attiene alla forma o al fine, vi si sottopone senza la minima alterazione dell’unità o della maestosità, agile e flessibile come un serpente di fuoco che non dimentica la voce dell’incantatore»15. Descrizione che perfettamente si attaglia anche alla sinuosa indeterminatezza di Gotham City.

Le finestre del Flugelheim Museum

Il soffitto dell’appartamento di Vicky Vale

Interamente ricostruita in un gigantesco set nei londinesi Pinewood Studios e ammantata in una nube di tenebra, amplificata proprio dai design che privilegiano le tetre volumetrie ascendenti, Gotham è anche una città acronologica: i giornali degli Anni Quaranta (più o meno la stesso decennio in cui – scenograficamente – s’ambienta il delitto dei genitori di Wayne all’uscita dal Monarch Theatre), l’avveniristica Batmobile o l’ipertecnologia panottica (le camere di sorveglianza della Batcaverna, il controllo esercitato da Joker sul medium televisivo) situano l’azione in un punto fuori dal tempo. In parallelo, però, – altro esempio di coincidentia oppositorum –, come ha notato la studiosa Erica McCrystal, «le [sue] rappresentazioni cinematografiche […] ci ricordano che la città di Gotham esiste nel nostro mondo attraverso un processo di associazione analogica»16: pertanto, in Batman si riflette «la minaccia [rappresentata nel mondo reale dalla] malavita organizzata»17, in Batman – Il ritorno quella delle grandi corporazioni, mentre i più scanzonati Batman Forever e Batman & Robin segnerebbero un ritorno al camp disimpegnato della serie tv Batman [id., creata da William Dozier, 1966-68] interpretata da Adam West.

Tutto concorre a creare l’ennesimo effetto d’ibridazione confusiva, cosicché all’opacità delle coordinate spaziali si aggiunge l’incertezza di quelle temporali. Più che un nonluogo (curiosamente, col progredire della serie gli abitanti perdono fisionomia, sono pura presenza), Gotham è un gigantesco Moloch che riflette il caos e la propensione (auto)distrittuva di un intero mondo. E proprio per questo al suo interno è impossibile orientarsi: lo mostra perfettamente la prima scena del film, dove una famiglia appena uscita dal cinema (doppio quasi parodico della famiglia Wayne, vittima di un attentato a due passi dallo stesso Monarch Theatre) si perde nella tortuosa geografia della metropoli, senza ricevere aiuto nemmeno dalla cartina geografica brandita dal figlio. E questo perché non si può riprodurre la topografia di Gotham all’interno di un ordine simbolico coerente. Gotham City è di fatto un atlante immaginario, una «città-maschera […] città dell’ingorgo dei segni […] città mutante e proteiforme»18. Una «realtà cosmica»19, come l’ha definita lo stesso Furst.

Il gotico fiabesco: la maschera e il doppio

Lo stretto vincolo che il film intreccia con il gotico è evidente però non solo sul piano architettonico. Come si è già brevemente accennato, il racconto sembra debitore più delle consuetudini delle fiabe gotiche che di quelle del filone supereroico sviluppatosi in particolare negli ultimi tre lustri20. Il che, per giunta, concederebbe all’analista di sorvolare su alcuni evidenti svarioni logico-narrativi: come fa Joker a controllare l’intero sistema di broadcasting della città? Perché la polizia non interviene durante la parata dello stesso Joker? E perché l’avida e gretta popolazione di Gotham si fionda in strada per raccogliere le banconote lanciate dal criminale, pur sapendo di che cosa questi sia capace? Da dove saltano fuori gli scagnozzi di Joker durante il gran finale sulla cattedrale? E così via.

In fondo, la cornice di Gotham City ideata da Burton/Furst sembra pensata espressamente per un racconto di questo genere, dove anche la consecuzione degli eventi risponde più a leggi di natura psicologico/spirituale che di stretta plausibilità razionale. E non è un caso che, quando la DC scaricherà Burton per inseguire una rappresentazione più cartoonesca e scanzonata, anche la città avrà un aspetto sempre più barocco, dinamico, riccamente decorativo, ispirato all’architettura modernista e high-tech di Tokyo e, per certi versi, alla metropoli rappresentata nei coevi film di Hong Kong.

La coloratissima Gotham City di Batman Forever

A rimanere costante nella narrativa dei quattro film della serie, i cui capitoli progressivi non sono mai un vero seguito del precedente ma una sua variante (tant’è che alcuni personaggi – a partire dal cavaliere oscuro – sono interpretati da attori diversi21), è uno dei temi fondamentali dell’imagerie gotica: quello del doppio e della maschera. A partire dal dualismo tra il miliardario Bruce Wayne e il giustiziere mascherato Batman, quasi tutti i personaggi principali e gli antagonisti indossano una maschera (come Robin), hanno un’identità scissa (si veda in particolare Due Facce) oppure sono una specie di controtipo negativo del cavaliere oscuro (il Pinguino, Joker).

Non mancano esplicitazioni visive della specularità tra Bruce Wayne/Batman e Joker

La maschera come prolungamento del Sé che porta alla luce le pulsioni più oscure e violente compiendo un apparentemente paradossale processo di occultamento della fisionomia (è il caso di Bruce Wayne/Batman); il doppio come forma di autoriconoscimento dei desideri repressi e della ansie latenti, ovvero come strumento di autodeterminazione identitaria (ancora una volta Bruce Wayne/Batman); ancora il doppio come rifrazione speculare dell’individuo in rapporto all’Altro (il rapporto Batman-Joker): in Batman questa materia è già esaminata in dettaglio, tanto che i capitoli successivi ne saranno in fondo solo una specie di lungo corollario.

Come si è già scritto fino allo sfinimento, Batman e Joker sono due facce della stessa medaglia. Oltre a essere attratti dalla stessa donna (Vicky Vale), sono entrambi responsabili della nascita dei rispettivi alter ego: ancora con il nome «civile» di Jack Napier, Joker aveva sparato ai genitori di Bruce Wayne usciti dal Monarch Theatre mentre, non riuscendo a trattenere il suo corpo sospeso a mezz’aria, Batman aveva scaraventato lo stesso Napier in una vasca piena di residui chimici dopo averlo in precedenza sfigurato con dell’acido.

La specularità delle due figure è in fondo totale: Batman veste quasi integralmente di nero (eccezion fatta per lo sfondo giallo dello stemma sul petto) mentre Joker indossa completi coloratissimi (giacca viola, camicia arancione o verde smeraldo, ascot e cravatte viola, verdi o turchesi, panciotto blu acciaio, pantaloni scozzesi); Batman aspira all’ordine (senza mai trovare una mediazione tra ragione e istinto) mentre Joker è un agente del caos; Batman – o meglio Bruce Wayne – è fondamentalmente represso mentre Joker è disinibito, ha voraci appetiti sessuali e incarna «quel “surplus di godimento” (plus-de-jouir) che, secondo Lacan, è all’origine dei processi di fondazione dell’Altro e dell’odio che l’Identico nutre nei suoi confronti»22; Bruce Wayne proietta simbolicamente la sua identità e la sua memoria negli oggetti che lo circondano mentre Joker distrugge ogni cosa (il televisore, la maschera dell’amante Alicia [Jerry Hall]) oppure sfrutta gli oggetti come strumenti di morte (nello specifico, contaminando i cosmetici commercializzati a Gotham); Batman è ossessionato dall’occultamento dei propri tratti somatici mentre Joker aspira all’ipervisibilità e alla propagazione mediatica della sua immagine; Batman è un rentier conservatore e conscio dei suoi privilegi di ceto (anche se tratta il maggiordomo Alfred Pennyworth [Michael Gough] quasi come un padre surrogato) mentre Joker è un perverso self made man iconoclasta (in una scena indimenticabile distrugge quadri di Degas, Vermeer e Rembrandt esposti al Flugelheim Museum).

Entrambi sono ossessionati dal controllo, che Batman esercita in segreto con le telecamere a circuito chiuso nascoste nelle sale-museo del suo castello o nelle segrete della Batcaverna mentre per Joker anche la sorveglianza diventa un atto esibizionistico di sabotaggio (interrompe i notiziari o le conferenze stampa del generone di Gotham).

Inoltre, Bruce Wayne può scegliere quando indossare la propria maschera mentre Joker è condannato a esserne perennemente contrassegnato, tanto che cerca più volte di cancellare il biancore della sua pelle (l’esatto contrario del nero del costume Batman) compiendo un’operazione di maquillage in fondo vertiginosa: ritoccare la maschera per darle una parvenza di normalità.

Così facendo, Joker mette involontariamente a nudo una delle contraddizioni del personaggio di Wayne/Batman: qual è, infatti, la sua vera maschera? Quella del giustiziere o quella del gentiluomo? «Questa è la tua maschera», dirà Rachel Dawes (Katie Holmes) accarezzando il volto di Bruce Wayne (Christian Bale) in Batman Begins.
In ciò risiede uno dei motivi23 per cui nella serie Batman sembra più preoccupato di distruggere i suoi «doppi», ovvero coloro che ne rimandano l’immagine deformata, invece che di consegnare alla giustizia i criminali «ordinari» (in Batman p.e. non sembra minimamente interessato al gangster Grissom mentre nel successivo Batman – Il ritorno è Bruce Wayne e non Batman a opporsi ai piani del corrotto magnate Max Shreck). A tal proposito, la scelta di Michael Keaton (ai tempi criticatissima dai fan dei fumetti), che con Burton aveva lavorato nel precedente Beetlejuice – Spiritello porcello [Beetle Juice, Tim Burton, 1988], appare invece assolutamente geniale. Perché con il suo aspetto del tutto ordinario fa di Bruce Wayne un’incarnazione dell’everyman, dell’Uomo Qualunque (con buona eccezione del suo conto in banca), radicalmente dissimile dal suo umbratile alter ego e condannato a fronteggiare conflitti interiori apparentemente insanabili. Il Bruce Wayne di Keaton, in fondo, non ha nulla di eroico e superomistico ma è quasi un antieroe oscuro e complesso: lettura che sarà portata a definitivo compimento nel recente The Batman [id., Matt Reeves, 2022].

Maschere del sottosuolo

Quello che però interessa maggiormente rilevare in questa sede è il rapporto privilegiato che Batman e Joker intrattengono con la città e i suoi spazi. Ambedue, infatti, sono diretta emanazione delle geometrie incerte di Gotham, che a propria volta è non solo estensione metaforica delle loro personalità tormentate ma ne è anche una specie di matrigna lugubre e indifferente. Così, tra Joker e Batman si manifesta quello stesso rapporto di fratellanza che nel di molto successivo Joker [id., Todd Phillips, 2019] sarà traslato – un po’ banalmente – anche sul piano della consanguineità (aleggia infatti la possibilità che Joker sia figlio bastardo di Thomas Wayne) e che qui invece rimane più ambiguamente confinato al rapporto d’interdipendenza con lo scenario spettrale e tartareo di Gotham City. In fondo, come ha scritto, Alberto Abruzzese:«Non si nasce più nella metropoli; è la metropoli che ci fa nascere»24.

Sia Batman che Joker sono, di fatto, «uomini del sottosuolo». Il primo lo è letteralmente (il suo covo è sotterraneo), mentre il secondo metaforicamente (è un membro della malavita, l’underworld). Batman osserva la città dall’alto dei suoi grattacieli, Joker ambisce a scalare le gerarchie del crimine e controllare Gotham dalla stessa posizione soprelevata del suo predecessore Grissom (anche se, come già detto, il suo rifugio sembra quasi un antro situato sotto la superficie). Batman entra in scena sull’asse verticale grazie all’apparato di liane e arpioni che gli consentono di spostarsi dal cielo alla terra (e viceversa), Joker «nasce» e muore in seguito a movimenti di caduta.

Senza dimenticare l’ovvia ascendenza dostoevskijana dell’espressione, perché le somiglianze con l’innominato protagonista delle Memorie dal sottosuolo sono molteplici. Basti passare in rassegna alcuni brani del romanzo:

Mi tormentava a quell’epoca ancora un’altra circostanza: e precisamente il fatto che nessuno mi assomigliasse, e che io non assomigliassi a nessuno.

Io sono dunque solo, e loro invece sono tutti.

Sentivo che s’affollavano in me, quegli elementi in contraddizione. Sapevo che per tutta la vita s’erano affollati in me, e che da me chiedevano di uscire all’esterno, ma io non li lasciavo, non li lasciavo, a bella posta non li lasciavo uscire fuori.

Pietroburgo, la città più astratta e premeditata di tutto il globo terrestre [come, in fondo, la città-teatro di Gotham]

Più ero cosciente del bene e di tutto quel “bello e sublime”, più profondamente mi calavo nella mia fanghiglia, e più ero capace di impantanarmici dentro.

Si prende l’antitesi dell’uomo normale, ovvero un uomo fortemente cosciente, uscito, certo, non dal grembo della natura, ma dalla storta di un alambicco

E intanto sono convinto che l’uomo non si sottrarrà mai all’autentica sofferenza, ovvero alla distruzione e al caos. La sofferenza è infatti l’unica causa della coscienza.25

Come si vede, le affinità con il personaggio del capolavoro dello scrittore russo sono tante, dalla solitudine alla genesi traumatica («uscito dalla storta di un alambicco»), dagli spazi astratti in cui si muovono all’ipercoscienza di sé (caratteristica che li distingue dalla folla anonima e brulicante di Gotham). Con una differenza fondamentale: se l’«uomo del sottosuolo» dostoevskijano si rifugiava nell’inerzia torbida dell’inazione, Batman e Joker, obbligati per ragioni differenti a indossare sempre una maschera, trovano invece nella prassi l’unico strumento di autocoscienza.

In altre parole, è solo attraverso l’azione che Batman e Joker rendono visibile la loro identità, al di là dei belletti, delle maschere, dei trucchi e dei costumi. Solo attraverso l’azione Batman può diventare il rappresentante della giustizia e della legge morale. Solo attraverso l’azione Joker può dar sfogo alle diverse anime della sua persona: quella del malinconico looser condannato per contrappasso a ridere sempre; quella dell’individualista anarchico sedotto però dalle leggi del dominio e della sopraffazione; quella della Bestia costretta sempre a inseguire vanamente la Bella (come mostra la scena in cui balla con Vicky in cima alla cattedrale).

Il finale, in questo senso, è perfettamente coerente. Dopo aver sconfitto Joker, Batman viene finalmente riconosciuto: non è una potenziale minaccia come crede la polizia né una creatura chimerica e mostruosa come scherzosamente lo dipingono i colleghi del reporter Alexander Knox (Robert Wuhl). La sua presenza è ora un segno manifesto, non più imperscrutabile, e così il suo profilo può stagliarsi liberamente nella notte. Perfettamente inscritto nei contorni indeterminati di Gotham City, la città che l’ha fatto nascere e che è stata radicalmente modificata dalla sua presenza.

NOTE

1. G. Canova, L’alieno e il pipistrello. La crisi della forma nel cinema contemporaneo, Bompiani, Milano, 2004

2. Preceduto da Batman Begins [id.,Christopher Nolan, 2005] e Il cavaliere oscuro [The Dark Knight, 2008].

3. G. Canova, Op. cit.

4. Scrive Canova nel suo fondamentale testo (Op. cit.): «Gotham City si fa imprimere una forma da coloro che lottano per il suo dominio […] ogni personaggio cerca di operare un restyling a propria immagine»

5. E. Page, Gothic Fantasty. The Films of Tim Burton, Marion Boyars, Londra/New York, 2006. Traduzione dell’autore.

6, Si è deciso in questa sede di non ricorrere all’articolo determinativo prima del nome. Ringrazio Filippo Mazzarella, con cui mi sono consultato.

7. Conversazione privata

8. M. Spanu, Tim Burton, Il Castoro, Milano, 1998

9. Conversazione privata

10. Scrive Canova (Op. cit.): «Forse Gotham ha un centro (o un centro del centro, Gotham Plaza: la nostalgia del foro, il luogo-palcoscenico in cui si celebrano i riti della politica e dello spettacolo), ma poi non ha topografia». La verità,, però, è che Gotham Plaza [in originale Gotham Square] ha un ruolo centrale soprattutto nel secondo film, Batman – Il ritorno, luogo dove convergono gli interessi dell’elite (il magnate Max Shreck [Christopher Walken]) e dei reietti emarginati (il Pinguino [Danny DeVito]), le prime che sovrastano la città con i loro grattacieli e i secondi che abitano invece le fogne, il sottosuolo.

11. D. Sudjic, Architettura e potere: Come i ricchi e i potenti hanno dato forma al mondo, Laterza, Bari, 2012

12. G. Canova, Op. cit.

13. L’altro sceneggiatore è Warren Skaaren. Per la lunga gestazione dell’opera è sufficiente consultare la pagina italiana di Wikipedia a essa dedicata. Per quanto riguarda i riferimenti diretti al fumetto, Burton ha dichiarato di essersi ispirato a due capolavori della letteratura inerente il personaggio creato da Bob Kane: Batman: The Killing Joke [id., 1988], con i testi di Alan Moore e i disegni di Brian Bolland, e Batman – Il ritorno del Cavaliere Oscuro [Batman: The Dark Knight, noto successivamente come Batman: The Dark Knight Returns, 1986], con i testi di Frank Miler e i disegni dello stesso Miller, Klaus Janson e Lynn Varley. Si tratta però di una filiazione legata ai temi e alle atmosfere e non alla narrazione, che è invece completamente originale.

14. cit. in E. Page, Op. cit.

15. J. Ruskin, Le pietre di Venezia, Rizzoli, Milano, 1987. In particolare, il passo è tratto dal celebre capitolo La natura del gotico.

16. E. McCrystal, Gotham City Living. The Social Dynamics in the Batman Comics and Media, Bloomsbury Academic, Londra, 2021

17. Ibidem.

18. G. Canova, Op. cit.

19. Citato in S. Garfield, When hell burst through the pavement and grew: Anton Furst conjured up Batman’s Gotham City. In England he was a creator of dreams. But in Hollywood his dreams ended. Simon Garfield reports, articolo pubblicato su The Independent, venerdì 3 luglio 1992, ora reperibile qui: https://www.independent.co.uk/life-style/when-hell-burst-through-the-pavement-and-grew-anton-furst-conjured-up-batman-s-gotham-city-in-england-he-was-a-creator-of-dreams-but-in-hollywood-his-dreams-ended-simon-garfield-reports-1531040.html

20. Indichiamo come data simbolica il 2008 dell’uscita di Iron Man [id., Jon Favreau], primo film del Marvel Cinematic Universe.

21. Batman è interpretato nell’ordine da Michael Keaton (Batman e Batman – Il ritorno), Val Kilmer (Batman Forever) e George Clooney (Batman & Robin), mentre Due Facce è interpretato in Batman e Batman – Il ritorno dall’afroamericano Billy Dee Williams (dove appare come personaggio di contorno) e dal caucasico Tommy Lee Jones in Batman Forever, dove è invece uno dei due villain principali insieme a L’Enigmista. Rimangono invece fissi gli interpreti di alcuni personaggi secondari che donano così un effetto di pur parziale continuità tra un film e l’altro: Michael Gough interpreta il fido maggiordomo Alfred in tutti e quattro i capitoli così come Pat Hingle impersona il commissario Gordon, mentre Chris O’Donnell veste i pani di Dick Grayson/Robin in Batman Forever e Batman & Robin.

22. G. Canova, Op. cit.

23. Canova aggiunge correttamente una seconda causa: tutti i nemici di Batman aspirano a quel godimento che lui invece continuamente reprime e frustra.

24. A. Abruzzese, La metropoli come mondo in rovina, Rogas, Roma, 2017

25. Tutti i passi sono tratti da F. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2021 nella traduzione di Serena Prina.