Cerchiamo il modello originario, vorremmo essere rinviati a un punto di partenza, a una rivelazione iniziale, ma non ve ne è: il sogno è il simile che rimanda eternamente a ciò che è simile.
Maurice Blanchot1

 

Malgré la nuit: sinossi, personaggi, influenze

We’ve already met, have we not? I never forget a face. I never forget anything… I’m certain we’ve met. I am absolutely certain. You, or someone who resembles you greatly. That happens in life, resemblances.
Le parole che Vitali rivolge a Lenz in Malgré la nuit di Philippe Grandrieux.

Realizzato a sette anni di distanza dal precedente Un lac [id., 2008] a partire da uno script, scritto nel 2012, intitolato Fever (che è poi diventato, nel film, il titolo di una canzone), Malgré la nuit2 [id., 2015] è il quarto lungometraggio di finzione di Phi­lip­pe Gran­drieux. Ispirato dalla lettura de La Monadologia (1720) del filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (Grandrieux: «Tutti i personaggi del film […] sono diverse espressioni di un’unica forza oscura»3), Malgré la nuit racconta la ricerca di Lenz, interpretato dal musicista Kristian Marr, di una donna, Madeleine, misteriosamente scomparsa, sulla cui reale identità il film lascerà incerto lo spettatore per gran parte della sua durata. Arrivato a Parigi dall’Inghilterra, l’uomo incontra due donne che si innamorano di lui: l’infermiera Hélène (Ariane Labed) e la cantante Lena (Roxane Mesquida).

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Lenz (Kristian Marr; fotogramma in alto), Hélène (Ariane Labed; fotogramma centrale) e Lena (Roxane Mesquida; fotogramma in basso).

La storia d’amore di Lenz con le due donne è però ostruita da una serie di impedimenti apparentemente insormontabili: l’amico di Lenz, Louis (Paul Hamy), è innamorato di Lena; il padre di Lena, Vitali (Johan Leysen), non vuole che la figlia, a cui è morbosamente legato, frequenti Lenz; Hélène è sposata, e l’impossibilità di elaborare il lutto della scomparsa del figlio la spinge, di notte, a partecipare a pericolose sessioni sadomaso.

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Louis (Paul Hamy; fotogramma in alto) e Vitali (Johan Leysen; fotogramma centrale).
Fotogramma in basso: Hélène si lascia violentare nella foresta.

Film «lussuoso e barocco»4, in cui i corpi entrano nell’immagine come il sognatore entra nel proprio sogno5, Mal­gré la nuit si pre­sen­ta come una summa del la­vo­ro di fin­zio­ne di Grandrieux e, allo stes­so tempo, come un me­ta­te­sto cen­tra­le della sua fil­mo­gra­fia, pro­se­guen­do il di­scor­so au­to­ri­fles­si­vo in­co­min­cia­to dal­l’au­to­re con il fon­da­men­ta­le White Epi­lep­sy [id., 2012]. Come que­st’ul­ti­mo, in­fat­ti, Mal­gré la nuit pro­po­ne una ri­fles­sio­ne su al­cu­ni ele­men­ti chia­ve del ci­ne­ma del regista (il rap­por­to di coa­le­scen­za tra vi­si­bi­le e in­vi­si­bi­le, la no­zio­ne di fi­gu­ra, ecc.), fa­cen­do del pro­ces­so di co­stru­zio­ne delle im­ma­gi­ni – la “lotta” so­ste­nu­ta dal­l’au­to­re per ar­ri­va­re alla pro­pria opera – il sog­get­to del film6. D’altra parte, è proprio nel­l’au­to­sma­sche­ra­men­to delle mo­da­li­tà di ri­con­fi­gu­ra­zio­ne del­l’o­riz­zon­te del vi­si­bi­le – sot­to­li­nea­te, in Mal­gré la nuit, dalla pre­sen­za di una trou­pe che rea­liz­za video hard e snuff movie, ma anche dall’utilizzo di dialoghi poetici e artefatti, costituiti da citazioni di Proust, Dostoevskij, Marx, ecc. – che l’o­pe­ra di Grandrieux si al­li­nea, da un punto di vista pret­ta­men­te teo­ri­co, a quel­la di colui che viene ri­te­nu­to il ri­fe­ri­men­to prin­ci­pa­le della sua fil­mo­gra­fia, il pit­to­re ir­lan­de­se Fran­cis Bacon7.

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In Malgré la nuit, per la prima volta nel cinema di Grandrieux, la macchina da presa viene accolta all’interno della diegesi.

  

Grandrieux/Bacon: il primato di realtà dell’atto filmico

La vicinanza tra il cinema di Grandrieux e la pittura di Bacon non riguarda soltanto alcuni aspetti squisitamente figurativi (il posizionamento della figura umana nel quadro, l’utilizzo della sfocatura, ecc.) e tematici (l’ossessione per la violenza e il sesso, l’onnipresenza della carne, ecc.), ma attiene, più in generale, al making of dell’opera, che si sovrappone alle immagini di entrambi gli autori come una specie di traccia corporea. Il lavoro di Bacon consiste in una delle più acute riflessioni sulla possibilità della pittura di trasmettere con modalità non naturalistiche la sensazione di presenza dei soggetti e degli oggetti originariamente implicati nella realizzazione dell’opera8. Bacon si chiede: posta la sempre crescente pervasività delle immagini della televisione (in particolare, quelle dei telegiornali, che riportano didascalicamente l’orrore9), come cambia il ruolo della pittura? Come ricreare l’esistente con immagini differenti da quelle “piatte” della televisione? E, allo stesso tempo, come trasmettere allo spettatore la sensazione di trovarsi di fronte all’oggetto raffigurato nel quadro, quando l’effetto prodotto dalla medesima immagine è stato anestetizzato dall’abuso da parte degli altri media?10

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Il pittore irlandese protagonista del documentario Francis Bacon [id., David Hinton, 1989].

L’opera più recente di Grandrieux rappresenta un’ipotesi di risposta a queste domande, aggiornate all’orizzonte audiovisivo contemporaneo che vede il cinema sempre più disperso, diluito e parcellizzato, e l’immagine, o meglio il lavoro sul set, un elemento secondario del processo filmico. Nel documentario dedicato al cineasta giapponese Masao Adachi, il metatestuale Probabilmente la bellezza ha rinforzato il nostro proposito [Il se peut que la beauté ait renforcé notre résolution – Masao Adachi, 2011], Grandrieux discute apertamente dell’importanza di un approccio sensoriale, istintivo e anti-illustrativo nella costruzione dei propri film, secondo l’idea che il cinema di oggi, per essere davvero un’arte della contemporaneità capace di produrre un pensiero sul mondo, debba configurarsi come un movimento continuo, in avanti e indietro, tra sensazioni e idee11. Grandrieux condivide con Bacon la medesima preoccupazione: catturare il mistero della presenza vuol dire produrre immagini differenti, capaci cioè di lasciare intravedere il gesto del loro creatore e la materialità dell’opera12, attivando «un confronto, materico e corporeo, tra i soggetti coinvolti nell’atto stesso del filmare e la narrazione della loro azione incarnata»13.
Risulta particolarmente felice, pertanto, la formula utilizzata dal critico Vincent Ostria, che su Les Inrockuptibles, all’epoca dell’uscita di Un lac, ha parlato di «action-filming»14 per descrivere il modus operandi del regista15. Grandrieux, d’altra parte, figura sempre come l’operatore di ripresa dei suoi film, anche quando, come in Malgré la nuit, non ne cura in solitaria la fotografia16, intrattenendo con le immagini un rapporto materico e sensuale17, simile a quello del pittore con la tela, o dello scultore con il blocco di marmo18.

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Un esempio di action-filming nella costruzione di una sequenza di Malgré la nuit: in uno dei momenti più violenti del film, la luce esplode improvvisamente all’interno dell’inquadratura, con grande intensità e sensualità, senza alcuna giustificazione narrativa e, soprattutto, senza che vi siano fonti luminose diegetiche. Un anello di luci a LED collegato alla cinepresa con luminosità variabile gestita assieme al direttore della fotografia Jessica Lee Gagné permette a Grandrieux di modulare sul momento l’intensità dell’illuminazione, secondo logiche performative estranee al cinema narrativo.

Quest’approccio performativo da parte di Grandrieux – sintetizzabile con una delle frasi che ritornano più frequentemente nelle interviste del regista: «le plateau, c’est déjà le film»19 – contamina tutti gli aspetti della sua opera filmica, a partire dall’istanza narrativa, che, al netto degli equivoci critici di cui è vittima regolarmente, risulta tutt’altro che secondaria o superflua20. In realtà, nel cinema di Grandrieux, così come nella pittura di Bacon, si raccontano non una bensì due storie: la prima – la trama – coincide con il soggetto dell’opera – sia Bacon che Grandrieux mettono al centro della propria produzione artistica corpi dilaniati, violenze inenarrabili e pulsioni inarrestabili; la seconda, ben più significativa (al punto che in entrambi gli autori spesso offusca la narrazione), è invece la storia, ugualmente traboccante di desiderio e violenza, del gesto che presiede all’incarnazione delle immagini (da cui l’esattezza della formula utilizzata da Ostria). Malgré la nuit, da questo punto di vista, si con-figura come un testo davvero esemplare, affermando con un’intensità inusitata il primato di realtà dell’atto filmico.

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Forse perché realizzato dopo gli sperimentali White Epilepsy e Meurtrière, in Malgré la nuit vi sono numerose sequenze che sovrappongono esplicitamente making of e sviluppo narrativo. In uno dei momenti più significative del film, gli interpreti principali si mischiano alle comparse interpretate dai famigliari dei membri della produzione del film (inqq. 1, 2 e 3). Sempre nella medesima sequenza (inq. 4), uno dei protagonisti del film, la cantante Lena (Roxane Mesquida) sta provando una canzone (intitolata Fever) assieme a un ragazzo che suona l’accompagnamento al pianoforte. Quest’ultimo è interpretato da Ferdinand Grandrieux, il figlio del regista e l’autore del soundtrack di Malgré la nuit. La scena pertanto può essere letta come una sorta di making of di Malgré la nuit: nella sequenza successiva, infatti, Lena canterà effettivamente il pezzo provato al pianoforte (inq. 5). Le due scene sopracitate allora illustrano in maniera esemplare le linee guida che stanno alla base del modus operandi di Grandrieux: «le plateau, c’est déjà le film».

Malgré la nuit allora rappresenta non soltanto la naturale prosecuzione del cinema di finzione di Grandrieux, ma anche la riformulazione, in un contesto apparentemente più narrativo, delle riflessioni sviluppate dal regista nella realizzazione degli sperimentali White Epi­lep­sy e Meurtrière [id., 2015], dove l’atto di creazione risultava decisamente più importante del suo esito. Da sempre ossessionato dalle possibilità del cinema di penetrare il caos del Reale, Grandrieux non ha mai smesso di chiedersi che tipo di relazione si instaura tra l’oggetto che sta dinanzi alla macchina da presa, l’immagine che lo rifigura e il corpo del regista che agisce da medium21. Con la realizzazione di White Epi­lep­sy e Meurtrière, Grandrieux è arrivato, passando attraverso un cinema sempre più popolato da fantasmi (digitali), alle stesse conclusioni di Bacon: catturare «il mistero dell’apparenza»22 è un’operazione sinestetica ed intensiva sempre più slegata dalla riproduzione mimetica della realtà (ma non dall’esplorazione del Reale23), che mira a produrre immagini accidentali (come per Nuova vita [La Vie nouvelle, 2002], in Malgré la nuit Grandrieux non ha guardato i rushes durante le riprese24), indipendenti da ancoraggi referenziali25, che gridano presenza in un modo assoluto26. Perché l’arte, ricorda Grandrieux citando Blanchot, nasce da una sconfitta eccezionale: la vita non si può rappresentare27. Per catturare il flusso delle sensazioni scaturite dall’incontro di Grandrieux con il reale del set, non resta che affidarsi al caso28, come Bacon ha confidato al critico britannico David Sylvester29: solo così, infatti, sarà possibile rompere le abituali regole compositive, ritrovando quella bellezza che «salverà il mondo»30 a cui le immagini contemporanee, ridotte a vuoti simulacri, non sembrano essere più interessate.

  

«I ricordi sono più belli e intensi al cinema»

Parlare di bellezza, per il cinema di Grandrieux, può sembrare un paradosso. Una delle scene più intense di Malgré la nuit vede Hélène, l’infermiera innamorata di Lenz, che si lascia stuprare in un bosco. Una sequenza, questa, di brutale violenza, che Grandrieux filma altrettanto brutalmente, con una macchina da presa portata a mano e tenuta vicinissima al volto della donna, colpito da un’illuminazione astraente, anti-naturalistica, che ne dissolve i lineamenti in pura luce bianca.
La risposta alla domanda su cosa sia la bellezza nel cinema di Grandrieux è tutta contenuta in questa sequenza: essa è deformazione, differenza, superamento del naturalismo nel bianco della luce o nel nero del buio. D’altra parte, se i dipinti di Bacon hanno insegnato una cosa al regista, è che per catturare il Reale è necessario innanzitutto distorcere le cose, cancellare tutto ciò che resta in esse di illustrativo. Per ottenere questo, Bacon faceva a meno dei modelli in carne ed ossa; Grandrieux, invece, con il suo «cinema d’azione» immerge lo spettatore dentro le cose, dentro le sue stesse immagini, in un mondo altro, aperto all’accidente, in cui ogni elemento è talmente vicino all’occhio della macchina da presa da essere sempre sul punto di sfaldarsi e precipitare in una massa informe e irrapresentazionale di colori (sfaldamento che in Malgré la nuit è favorito anche dal fatto che il film è stato girato con una camera digitale Red Dragon). Come i dipinti di Bacon ridiscutevano la nozione di realismo nell’epoca dell’affermazione dell’espressionismo astratto, così Malgré la nuit è innanzitutto un’opera che affronta e smaschera la natura simulacrale delle immagini contemporanee oscillanti tra le tentazioni illustrative di un realismo piatto e i rischi dell’astrazione digitale, inseguendo i fantasmi di un Reale solo apparentemente scomparso, che Grandrieux evoca, alla maniera del pittore irlandese, attraverso il primato di realtà del proprio gesto creativo – del lavoro sul set.

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Le immagini digitali di Malgré la nuit sono sempre sul punto di sfaldarsi.

La trama di Malgré la nuit allora, proprio in quanto traccia del gesto di incarnazione dell’opera, non può far altro che riassumere, in maniera esemplare, le questioni sopracitate: Lenz, il protagonista del film, è alla ricerca della madre scomparsa, Madeleine – incarnazione proustiana della prima immagine, del Reale smarrito –, ma si perderà ben presto in altre immagini, nelle braccia di misteriose figure femminili (l’infermiera Hélène e la cantante Lena) che rappresentano il doppio, o meglio il riflesso, sovente deformato, della donna perduta. In altre parole, Lenz, accompagnato da Grandrieux31, finirà per perdersi in uno «spazio di somiglianza interminabile»32, che nel film avrà tutti i caratteri di un mondo onirico, popolato da fantasmi.
In Mise en Scène and Film Style: From Classical Hollywood to New Media Art, il critico australiano Adrian Martin scrive, a proposito de La Vie nouvelle, che nel cinema di Grandrieux «all gestures are dispersed, shared33 In Malgré la nuit, non solo i gesti, ma anche i caratteri psicologici e le emozioni provate dai vari protagonisti sono dispersi, condivisi, con il risultato che i personaggi del film si originano come per rifrazione l’uno dall’altro, incarnando, di volta in volta, diverse possibilità di un medesimo sentimento (l’amore o la gelosia). La complicata struttura narrativa di Malgré la nuit, d’altra parte, è costruita da Grandrieux e dagli sceneggiatori in modo tale che essa possa rispettare, nei passaggi più significativi, il principio dell’indecidibilità, proprio come succede nei sogni. Non deve sorprendere allora che i critici e addirittura i programmi dei festival di cinema riportino in maniera errata la trama, scambiando Lena per Hélène, oppure Madeleine per Hélène: è proprio per conferire a Malgré la nuit i caratteri di un’avventura onirica che lungo tutto il film Grandrieux gioca sulla confusione prodotta dai nomi foneticamente simili dei personaggi principali (Lenz, Lena, Louis, Hélène, Madeleine)34. Anche le sequenze del film nascono tutte confusamente dalla medesima misteriosa materia, come suggerisce l’utilizzo di segni di interpunzione quali le dissolvenze in nero, che soprattutto nella prima parte di Malgré la nuit lasciano emergere o precipitare le immagini in una sorta di oscurità originaria priva di forma.

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Le modalità attraverso cui Grandrieux configura la prima apparizione di Hélène nel film esprimono in maniera esemplare la dimensione onirica in cui è immerso Malgré la nuit: il primo piano della donna dormiente emerge lentamente dal nero dello schermo; l’immagine, inizialmente out of focus, diventa sempre più nitida. La sequenza è paradigmatica perché gli eventi di Malgré la nuit non scaturiscono da una progressione drammatica tradizionale, ma dall’accostamento di figure libere dagli obblighi descrittivi di una trama forte. Il risultato è che ogni sequenza si lega alla successiva come la soggettiva di qualcuno che si sveglia nel sogno di qualcun altro.

Che Malgré la nuit racconti innanzitutto un’odissea attraverso la selva oscura delle immagini della contemporaneità, lo dice in maniera esemplare, se non addirittura didascalica, una delle sequenze iniziali del film. Arrivato a Parigi dall’Inghilterra, Lenz fa visita all’amico Louis. L’uomo è alla disperata ricerca di Madeleine, misteriosamente scomparsa, e Louis, molto probabilmente, è a conoscenza della sua reale locazione. Finalmente soli, i due amici si rilassano fumando crack. A questo punto, Louis – che scopriremo essere un film-maker – confessa a Lenz l’importanza della letteratura nel proprio lavoro: «I’ve understood that memories [souvenirs] are more beautiful and stronger in books. I take the memories of others from literature. Other childhoods, other thighs. The first woman you fuck is in the books».

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Già a partire da una delle prime sequenze del film, dunque, Malgré la nuit presenta apertamente il proprio carattere autoriflessivo, il suo essere la traccia di un gesto. Il dialogo sopracitato, infatti, funziona come un vero e proprio manifesto di poetica: la sceneggiatura di Malgré la nuit pesca a piene mani dalla letteratura35. Ma il discorso di Louis è importante anche perché illumina un aspetto poco compreso del cinema di Grandrieux. Tornano alla mente le parole utilizzate dalla studiosa di cinema Nicole Brenez, che a proposito de La Vie nouvelle (film di cui Malgré la nuit rappresenta l’ideale continuazione) scriveva: «esiste un bisogno antropologico di immagini e il cinema può misurarlo»36. I film di Grandrieux, da Sombre [id., 1998] a Malgré la nuit, nella loro esplorazione del Reale, esprimono questa necessità antropologica, inseguendo il fantasma della prima immagine. La scena sopracitata lo dice chiaramente: le cose, secondo Grandrieux, risultano più intense quando vengono ricostruite nei film. Intensità37 è una parola chiave del cinema del regista, che da sempre si interroga sulle modalità attraverso cui i film producono emozione38 39. Come per i precedenti lavori di Grandrieux, infatti, il testo di Malgré la nuit è caratterizzato da una serie di “slabbrature” che hanno lo scopo di intensificare la qualità affettiva – atta a produrre emozione – delle immagini, liberandole da qualsivoglia obbligo illustrativo, al punto che spesso diventa impossibile distinguere ciò che esse rappresentano: inquadrature eccessivamente ravvicinate, riprese out of focus, accelerazione dei fotogrammi, ralenti, sovraesposizione, sovrimpressioni, ecc. Soluzioni, queste, che sebbene applicate rigorosamente non sono mai il risultato di una decisione pianificata precedentemente all’azione sul set: da un certo momento in poi, come ama ripetere Grandrieux, il Reale è avvicinabile soltanto accidentalmente.

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Hélène e Lenz si baciano appassionatamente. La macchina da presa, inizialmente vicinissima ai loro volti, compie un improvviso movimento all’indietro, allontanandosi rapidamente dai due innamorati, che finiscono fuori fuoco. In questa sequenza, come sempre nel cinema di Grandrieux, l’out of focus non è il risultato di una scelta razionale ma un evento accidentale, diretta conseguenza di un’azione (i movimenti improvvisi e non precedentemente pianificati del regista durante le riprese).

Nonostante la fiducia del regista nelle immagini e nel loro potere emotigeno, infatti, Malgré la nuit racconta la storia di un’impossibilità: Madeleine, la donna scomparsa, è una figura dell’assenza. La natura ossimorica di questo personaggio sintetizza perfettamente l’universo filmico del regista, oscillante tra la distruzione post-moderna delle forme e la nostalgia di un’immagine stabile tipica del cinema della modernità. In Malgré la nuit, Grandrieux presenta un flusso di immagini (video, fotografie, quadri, superfici speculari, droghe, ecc.) che, in quanto raffigurazioni, portano un vuoto al centro, rappresentato proprio da Madeleine.

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L’abitazione di Madeleine è significativamente addobbata di specchi, foto e quadri, raffigurazioni, immagini simulacrali che rimandano «vertiginosamente ad un’altra immagine, senza che si riesca mai a trovare un prototipo»40.

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Nella seconda parte di Malgré la nuit, Lenz guarda un video in cui una donna mascherata viene giustiziata: si tratta davvero di Madeleine, la donna scomparsa di cui è alla disperata ricerca? Il film – significativamente – non scioglierà il dubbio.

Se l’immagine mancante di Madeleine rappresenta il luogo-narrazione verso cui tende tutto il film, compito del cinema di Grandrieux sarà allora proprio quello di circoscrivere il vuoto lasciato dalla donna scomparsa attraverso immagini che non siano raffigurazioni, ovvero attraverso immagini “figurali” (le stesse della pittura di Bacon), anche quando queste sono deboli, sul punto di dissolversi e precipitare nel nero dello schermo, come la maggior parte dei frame di Malgré la nuit. Di fatto, attraverso i ralenti, le sovrimpressioni e le inquadrature ravvicinate, Grandrieux lotta contro la natura illustrativa delle sue stesse immagini41, nell’impresa impossibile di visualizzare la reale Madeleine e dare un corpo, della carne, ai fantasmi digitali del cinema contemporaneo42.

  

Alla ricerca della bellezza perduta delle immagini

Madeleine è l’immagine perduta. Lo sguardo originario smarrito. Da lei nascono, per rifrazione, tutte le figure femminili del film. L’irrappresentabile Madeleine è il centro scentrato di Malgré la nuit. La donna sintetizza i due movimenti opposti che animano il cinema di Grandrieux: la nostalgia di un’immagine stabile e l’attrazione per la perdita di forma43, deflagrata nell’opera precedente del regista, MeurtrièreMalgré la nuit è a tutti gli effetti un film ossimorico, in equilibrio precario tra l’epifania della figura e il suo sfiguramento, tra la messa in forma e la deformazione, così come la maggior parte delle sue immagini stanno tra la nitidezza e l’out of focus, oscillando senza soluzione di continuità tra la luminosità più accecante e l’oscurità più abissale. Come ne La Vie nouvelle, all’origine di questo ininterrotto divenire delle forme vi è una mancanza: Madeleine, la donna desiderata, non c’è più, è scomparsa, forse è morta44. In un certo senso, Malgré la nuit comincia dove finisce La Vie nouvelle, ovvero nella consapevolezza della perdita (della donna amata, del legame ontologico tra immagini e realtà). L’assenza dell’immagine di Madeleine, letteralmente invisibile nella prima parte del film, si riflette in tutta una serie di latenze testuali (riguardanti in primis la configurazione narrativa di Malgré la nuit: inizio in medias res, ellissi, assenza di flashback, personaggi dai nomi non ben definiti, ecc.) a cui fa da controcampo l’irruzione violenta e perturbante di immagini fantasmatiche di figure femminili che rappresentano la ri-figurazione della donna scomparsa, il doppio onirico, il riflesso, la copia allucinata e differenziale.

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Malgré la nuit si apre in medias res su una figura femminile che danza freneticamente. La donna, che si chiama Lola, è l’«immagine simulacro» di Madeleine, la sua ri-figurazione. La natura simulacrale di Lola non viene soltanto esplicitata dalla diegesi (sia lei che Madeleine sono prostitute del giro di Louis), ma è anche enfatizzata dalla scelta di Grandrieux di vestire e truccare la donna come una delle prostitute ritratte nelle Polaroid erotiche dell’architetto torinese Carlo Mollino45. In altre parole, Lola non è solo la ri-figurazione allucinata di Madeleine nella diegesi, ma è davvero, letteralmente, «l’immagine di qualcosa che non esiste»46: uno spettro digitale, un’immagine simulacro che si muove, come scrive Bertetto, tra «il mascheramento del visibile e la sua riformulazione differenziale»47.

Malgré la nuit allora attua, a partire dalla trama – un uomo alla ricerca di una donna di cui però troverà soltanto i doppi, le immagini riflesse o la ricostruzione artificiale –, quella che potremmo definire come una sorta di meta-riflessione sul concetto di configurazione aggiornato all’era digitale, secondo quell’idea, presentata nei paragrafi precedenti, che il cinema di Grandrieux racconti innanzitutto la storia della propria realizzazione48. Tutte le immagini di Malgré la nuit sono prodotte sotto il segno ingombrante della perdita: della madre (di Lenz e di Lena), del figlio (di Hélène), della donna amata (Louis e Paul), di una vita di pura istintualità tipica del mondo animale e infantile (Vitali), ma anche, più semplicemente, di un’immagine stabile. La figura di Madeleine, d’altra parte, funziona come una grande metafora del cinema di spettri digitali di Grandrieux. Madeleine è un souvenir, un ricordo, è la prima immagine – ma anche l’ultima, è l’inizio e la fine del film, la figura sfigurata verso cui tende tutto il cinema di Grandrieux49. In questo senso, se la scelta del nome da assegnare a questa donna misteriosa risale, su stessa ammissione del regista, a Proust e al suo romanzo Alla ricerca del tempo perduto, bisogna altresì notare che se c’è un film con il quale Malgré la nuit costruisce, quantomeno inconsciamente, una sorta di dialogo, questo è proprio La donna che visse due volte [Vertigo, 1958] di Alfred Hitchcock50, altra grande storia di doppi, fantasmi e immagini perdute. Come la Madeleine interpretata da Kim Novak, infatti, anche la donna omonima di Malgré la nuit è presentata nel film alla stregua di una simulazione (foto e immagini video), di un’immagine fuoriuscita direttamente dal passato. Come in una delle sequenze più significative de La donna che visse due volte (quella del carrello circolare del bacio tra Scottie e Madeleine), anche nel film di Grandrieux c’è una scena in cui il protagonista vive, assieme allo spettatore, una sorta di déjà vu. Questa sequenza costituisce forse il momento maggiormente autocosciente di Malgré la nuit, presentando con sorprendente chiarezza la natura simulacrale delle immagini del film. Nella sua ricerca di Madeleine, Lenz viene condotto in una casa dove vengono realizzate delle riprese per dei filmati pornografici. All’interno dell’abitazione, l’uomo guarda un video snuff in cui una donna nuda, con indosso una maschera di lattice nera, viene giustiziata. Il possessore del video introduce la visione dicendo che la donna mascherata potrebbe essere Madeleine, ma che adesso non ne è più sicuro.

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La medesima sequenza, come in un sogno circolare, ritorna alla fine di Malgré la nuit, solo che adesso le immagini del video snuff e quelle del film di Grandrieux coincidono: lo spettatore ha preso il posto di Lenz e quest’ultimo, diventato a sua volta protagonista di un nuovo filmato, crede – erroneamente – di avere di fronte Madeleine51.

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Queste due sequenze, oltre a registrare la crisi delle forme di fronte a quell’interminabile somiglianza che innerva sempre più marcatamente l’orizzonte del visibile e la nostalgia di un vedere originario capace di opporsi all’appiattimento delle immagini della contemporaneità (non è un caso che i filmati video di Malgré la nuit mettano in immagini il sesso e la morte, ovvero i due grandi tabù baziniani), rendono esplicito un fatto singolare: in Malgré la nuit, lo spettatore non vedrà mai l’immagine al presente di Madeleine, ma soltanto i suoi riflessi, nelle forme di figure femminili sempre differenti ma scambiate, di volta in volta, proprio per la donna scomparsa. Per questo, non è eccessivo leggere Malgré la nuit come una sorta di remake de La Vie nouvelle, un aggiornamento del film del 2002 agli spettri digitali del cinema contemporaneo. Come Seymour, il protagonista de La Vie nouvelle, anche Lenz si trova infatti a fare i conti con personaggi femminili che non sono nient’altro che immagini attuali di un’immagine virtuale, fuori dal tempo, irrimediabilmente perduta (Madeleine). Ma se la Mélania de La Vie nouvelle, pur configurandosi anche lei una figura dell’assenza, si trasformava solo alla fine del film in fantasma digitale (cfr. la sequenza realizzata con la camera termica), la Madeleine di Malgré la nuit è da subito un’immagine virtuale, un ricordo puro che esiste fuori dalla coscienza, nel tempo, e a cui attingono, assolutamente e simultaneamente, tutte le immagini del film52.

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Madeleine è un’immagine virtuale: la donna rimane invisibile ed è rappresentata soltanto attraverso simulazioni – le immagini simulacro di cui sopra: sogno, allucinazioni, foto, immagini video.

Ciò che sorprende dell’ultima sequenza di Malgré la nuit, allora, è che Grandrieux materializzi Madeleine, concludendo positivamente (nonostante la morte del protagonista) la recherche del film. Una sorpresa a metà, in realtà, perché Grandrieux, da erede del modernismo cinematografico, ha sempre creduto al cinema come strumento di rivelazione. Madeleine appare, alla fine di Malgré la nuit, rappresentata dapprima attraverso dei fotogrammi in sovrimpressione, poi con un’inquadratura ravvicinata, fuori fuoco e sovraesposta. Un’immagine sfigurata, radicalmente differente, che eccede la visione, evidenziando la potenza (e i limiti) di tutto il cinema del regista, in bilico tra l’epifania della figura e la sua sparizione53.

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La recherche di Grandrieux si concluderà qui, provvisoriamente, sull’immagine ossimorica di Madeleine. Un’immagine, l’ultima del film, nuovamente in bilico tra somiglianza e differenza, attraverso cui inseguire – lo spettatore, il regista e i personaggi di Malgré la nuit – quello che oggi, in piena indifferenziazione del visibile e virtualizzazione del corpo, sembra essere sempre più un fantasma, un’utopia paradossale: «aprire – con il cinema e, dunque, con le immagini – la notte del corpo, la sua massa opaca, la carne con la quale pensiamo, ed esporre alla luce, dinanzi a noi, l’enigma delle nostre vite»54.
Riaffermare oggi la forza, la bellezza e la necessità delle immagini malgrado tutto – ecco la splendida missione di Malgré la nuit

 

NOTE

1. Maurice Blanchot, L’Espace littéraire, Gallimard, Paris 1955, p. 366 [trad. it. Lo spazio letterario, Einaudi, Torino 1967, p. 235

2. Il titolo proviene da una delle poesie di Juan de la Cruz, Aunque es de noche (lett. “Nonostante la notte”). Un altro titolo considerato durante le riprese era La possibilità dell’amore [La Possibilité de l’Amour]. Sull’argomento, confronta Philippe Grandrieux, Journal du tournage de Malgré la nuit (pubblicato sulle riviste francesi Mettray e Trafic).

3. Philippe Grandrieux, Malgré la nuit: Intervista con Philippe Grandrieux (Lorenzo Baldassari), Lo Specchio Scuro, 2016, https://specchioscuro.it/malgre-la-nuit-interview-with-philippe-grandrieux-intervista-con-philippe-grandrieux/

4. «Un film lussuoso e barocco. Mi sembra che tutto si tenga in questo senso, un film fatto di intensità psichiche, affettive, di una grande ampiezza. Una brutalità estrema, una violenza assoluta e nello stesso tempo una grande dolcezza, la possibilità dell’amore, veramente. Queste modificazioni costanti di intensità sono ovunque, nella luce, nell’inquadratura.» Philippe Grandrieux, in Mettray, settembre 2016 [«Un film luxueux et baroque. Il me semble que tout se précise dans ce sens, un film fait d’intensités psychiquyes, affectives, d’une grande amplitude. Une brutalité extreme, une sauvagerie absolue et tout en meme temps une grande douceur, la possibilité de l’amour, vraiment. Ces modifications constantes d’intensités sont partout, dans la lumière, dans le cadre.»]

5. Philippe Grandrieux: «Il film deve essere un sogno. Non deve avere le immagini di un sogno, ma la struttura del sogno».

6. Cfr. le analisi di La Vie nouvelle e White Epi­lep­sy di Lorenzo Baldassari presenti su Lo Specchio Scuro.

7. Bacon si è sempre considerato un pittore realista, nonostante non si sia mai preoccupato di riprodurre in maniera naturalistica ciò che gli stava davanti. In una delle interviste raccolte nel libro La brutalità delle cose: conversazioni con David Sylvester (1991), Bacon, mentre spiega il proprio modus operandi al critico, ammette che il desiderio di configurare il reale attraverso modalità pittoriche «totalmente illogiche» rappresentava forse l’elemento più importante del proprio metodo di lavoro. Grandrieux, che ha letto il libro curato da Sylevster, sembra aver assorbito proprio questo passaggio, proseguendo con i suoi film nella medesima direzione: comunicare il mistero del Reale attraverso il mistero dei processi di rifigurazione a cui questo viene sottoposto dalla macchina da presa e dal lavoro della messinscena. 

8. In particolare, si consiglia la lettura di David Sylvester (a cura di), The Brutality of Fact: Interviews with Francis Bacon (1993), Oxford, Alden Press, Gilles Deleuze, La logica della sensazione, di Michel Leiris, Francis Bacon, trad. it. Federico Nicolao e Roberto Rossi, Abscondita, Milano, 2001, e di Philippe Sollers, Le passioni di Francis Bacon, trad. it. Piero Pagliano, Abscondita, Milanio, 2003.

9. Francis Bacon, https://youtu.be/CV6nDKsI_KA?t=29m52s.

10. Francis Bacon, https://youtu.be/CV6nDKsI_KA?t=36m1s

11. Cfr. Philippe Grandrieux, in Lorenzo Baldassari, Nicolò Vigna (a cura di), https://specchioscuro.it/interview-philippe-grandrieux-intervista-grandrieux/#italiano.

12. Cfr. l’analisi de L’Arrière-saison di Lorenzo Baldassari presente su Lo Specchio Scuro.

13. Luca Malavasi, https://www.academia.edu/15750517/Il_set_come_cervello._INLAND_EMPIRE_-_in_R._Menarini_a_cura_di_Cinema_senza_fine._Un_viaggio_cinefilo_attraverso_25_film_Mimesis_2014_.

14. Vincent Ostria, Le retour de Grandrieux. Fiction dépouillée en plein air. Action-filming. Partis pris de lumière audacieux. Noir éblouissant, in Les Inrockuptibles, 13 marzo 2009. http://www.lesinrocks.com/cinema/films-a-l-affiche/un-lac/

15. Lo stesso Grandrieux, in un’intervista, paragona la violenza del suo filmare al gesto pittorico di Jackson Pollock.

16. Il direttore della fotografia di Malgré la nuit è la canadese Jessica Lee Gagné, che è stata presentata al regista dal cineasta Denis Côté. Per approfondimenti, si rimanda alle interviste presenti sul sito.

17. «Sento solamente la forza di questo movimento, e il mio desiderio di proseguire senza sapere, di avanzare in questo paesaggio mentale, nell’immagine. Il film si rivela, lussuoso e barocco, un’odissea sconcertante nella notte, nel nostro sonno.» Philippe Grandrieux, in Mettray, settembre 2016 [«J’éprouve seulement la force de ce mouvement, et mon désir de poursuivre sans savoir, d’avancer dans ce paysage mentale, dans l’image. Le film se précise, luxueux et baroque, une avancée sidérante dans la nuit, dans notre sommeil.»]

18. «Penso a Rodin, così vecchio, che batte sul blocco di marmo con questa feroce energia che dà la fragilità di un corpo abitato dalla più grande volontà. Si deve cancellare la forma contenuta nel marmo e ad ogni colpo, rischiare di perdere tutto. Il cinema è lo stesso». Philippe Grandrieux, in Ramifications sur le cinéma de Philippe Grandrieux, all’interno del seminario «Cinéastes par eux-mêmes» organizzato da Nicole Brenez e Philippe Dubois presso l’Institut National d’Histoire de l’Art il 30 marzo 2011. [Traduzione dell’estratto a cura di Margherita Palazzo, https://speakingparts.wordpress.com/2013/10/16/che-cavalca-la-mia-messe-scura/].

19. Philippe Grandrieux, http://www.lesinrocks.com/2014/11/20/cinema/tournage-malgre-nuit-philippe-grandrieux-11536654/.

20. Cfr. l’analisi di White Epi­lep­sy di Lorenzo Baldassari presente su Lo Specchio Scuro.

21. Cfr. l’analisi di White Epi­lep­sy di Lorenzo Baldassari presente su Lo Specchio Scuro

22. Francis Bacon, in David Sylvester (a cura di), The Brutality of Fact: Interviews with Francis Bacon (1993), Oxford, Alden Press. [Traduzione del redattore]

23. Cfr. la monografia curata da Bertetto su David Lynch, e in particolare l’analisi di Andrea Bellavita su INLAND EMPIRE [id., 2006], film che sembra registrare un allontanamento dalla realtà fenomenica per mettere in immagini, attraverso le nuove pratiche concesse dal digitale, l’incontro “impossibile” con il Reale.

24. «Voglio vivere dentro il film, nella memoria che ho di esso, nel suo ricordo. Giorno dopo giorno avanzo dentro di esso. Mentre filmo, mi perdo.» in Philippe Grandrieux, Mettray, settembre 2016 [«Je veux pouvoir m’enfoncer dans le film, dans la mémoire que j’en ai, dans son souvenir. Jour après jour j’avance en lui. Je m’y perds quand je tourne.»]

25. Non c’è niente di naturalistico nel cinema di Grandrieux. Ogni cosa è “costruita”: si pensi, ad esempio, al sonoro post-sincronizzato di Un lac.

26. Cfr. Michel Leiris, op. cit.

27. Cfr. Philippe Grandrieux, in Lorenzo Baldassari, Nicolò Vigna (a cura di), https://specchioscuro.it/interview-philippe-grandrieux-intervista-grandrieux/#italiano.

28. Il caso, nel cinema di Grandrieux, subentra solo alla fine del processo filmico, come un di più originato dall’azione sul set al momento delle riprese. Dice il regista: «Io abito nel film, nel mondo che è stato costruito con grande precisione, ma alla fine giro con le possibilità che il film mi dà in ritorno.» [http://www.dailymotion.com/video/x4ixfpj (minuto 43:30)].

29. «Entro appena in queste immagini, come se si fossero calate in me […] Penso sempre a me stesso più come un medium, per accidente e per azzardo, che come un pittore» (F. Bacon in David Sylvester, op. cit.). 

30. Malgré la nuit è ispirato a Fëdor Dostoevskij (lo scrittore preferito di Grandrieux) e in particolare a L’idiota

31. «Le riprese, per me, rappresentano un’esperienza fondata sui ricordi» Philippe Grandrieux, http://www.dailymotion.com/video/x4ixfpj (minuto 21:00) [«Le tournage, pour moi, c’est une experience de memoir.»] 

32. Georges Didi-Huberman, La conoscenza accidentale: Apparizione e sparizione delle immagini, trad. it. C. Tartarini, Bollati Boringhieri, Torino, 2011, p.50. 

33. Adrian Martin, Mise en Scène and Film Style: From Classical Hollywood to New Media Art, Australia, Palgrave Macmillan, 2014, p. 106.

34. Grandrieux e il primo sceneggiatore del film, Bertrand Schefer, hanno volutamente scelto di utilizzare nomi simili per chiamare i personaggi femminili del film. Secondo il regista, infatti, lo spettatore deve confondersi durante la visione del film, scambiare Hélène (e poi Lena) per Madeleine. Cfr: http://www.dailymotion.com/video/x4ixfpj.

35. Sono molteplici i riferimenti letterari presenti nel film: il nome di Madeleine, per esempio, è chiaramente derivato dal romanzo Alla Ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, anche in considerazione dell’importanza che ha questo misterioso personaggio con la dimensione memoriale del protagonista; Lenz, invece, è il nome dello scrittore tedesco a cui George Büchner ha dedicato il suo ultimo romanzo, molto amato da Grandrieux. Nella sceneggiatura del film si possono trovare inoltre citazioni letterali da L’idiota di Fëdor Dostoevskij, dall’opera poetica di Rainer Maria Rilke e dalla produzione filosofica di Simone Weil.

36. Nicole Brenez, Nicole Brenez, La Vie nouvelle/nouvelle Vision: à propos d’un film de Philippe Grandrieux, Parigi, Ed. Leo Sheer, 2005, p. 18. [Traduzione del Redattore]

37«L’intensità è differenza, movimento, trasformabilità, flusso. […] L’intensità è dinamismo, flusso della forza variabile e dei processi differenziali, legata prevalentemente alla sensazione, ma anche alle forme e ai concetti, e connessa al divenire»

in Paolo Bertetto, Il cinema e l’estetica dell’intensità, Mimesis, Milano, 2016, p. 45.

38. Non è un caso, infatti, che l’autorevole studiosa di cinema Nicole Brenez consideri il cinema di Grandrieux «the equivalent in images of Jean Epstein’s great texts». La produzione teorica di Epstein, infatti, è una delle esplorazioni più acute delle potenzialità emotigene del cinema (sull’argomento, cfr. Luca Malavasi, Racconti corpi: Cinema, film, spettatori, Kaplan, Torino, 2009).

39. Cfr. l’analisi di L’Arrière-saison [id., 2005] a cura di Lorenzo Baldassari presente su Lo Specchio Scuro.

40. Mario Perniola, La società dei simulacri, Cappelli, Bologna, 1980, pp. 121-122.

41. «Vorrei rallentare queste sparizioni, sempre di più, in una lunga sparizione che non finisce, una sparizione che è un crollare della luce e delle figure, nel soffio del loro sonno, del loro esaurimento. Costruire le sequenze in questa stanchezza, in questo movimento che va verso la notte del corpo, il suo seppellimento.» Philippe Grandrieux in Mettray, settembre 2016 [«Je voudrasi ralentir ces fins, de plus en plus, en une longue fin qui n’en finit pas, une fin en lambeaux, une fin qui est un effondrement de la lumière et des figures, dans le souffle de leur sommeil, dans leur épuisement. Costruire la séquence dans cette fatigue, dans ce mouvement qui va vers la nuit du corps, son enfouissement.»]

42. Cfr. l’analisi di Blackhat [id., Michael Mann, 2015,] a cura di Alberto Libera presente su Lo Specchio Scuro. Il film di Mann, infatti, è un altro testo chiave del cinema dell’era digitale e presenta interessanti punti di contatto con il film di Grandrieux.

43. «Mi interessano le cose prima che queste acquistino una forma definita». Philippe Grandrieux, http://www.dailymotion.com/video/x4ixfpj (minuto 40:00).

44. A differenza che per la filmografia di Lynch, il rapporto tra il cinema di Grandrieux e la psicoanalisi non è stato ancora compiutamente approfondito. Sebbene il regista francese abbia affermato, in un’intervista relativa a Un lac, di non pensare i propri film in questi termini, è innegabile che il suo cinema, esplorando i meccanismi del desiderio, sia tutto tranne che irriducibile a una lettura psicoanalitica. Malgré la nuit non fa eccezione: il film, a partire dalla dialettica presenza/assenza che caratterizza la figura di Madeleine, riflette sulla natura del desiderio. Per esempio, sempre nell’ipotesi di una lettura psicoanalitica di Malgré la nuit, le figure femminili del film sarebbero le proiezioni fantasmatiche del desiderio incestuoso di Lenz per la madre Madeleine; il padre di Lena, Vitali, incarnerebbe invece la Legge, il Super-io paterno eccessivo e osceno di matrice lacaniana (una sorta di incrocio tra il Frank di Velluto blu [Blue Velvet, 1987] e il Mystery Man di Strade perdute [Lost Highway, 1996]), la proiezione esterna dell’impedimento alla relazione sessuale tra Madeleine e Lenz («petit Lenz», lo chiama, a sottolineare il suo ruolo paterno).

45. A sinistra: una Polaroid di Carlo Mollino. A destra: due fotogrammi di Malgré la nuit.

malgré la nuit carlo mollino polaroid

46. Paolo Bertetto, Lo specchio e il simulacro. Il cinema nel mondo diventato favola, Milano, Bompiani, 2007.

47Ibidem.

48. «Sul set di Malgré la nuit ho voluto costruire un mondo in cui la forma non è ancora troppo decisa». Philippe Grandrieux, http://www.dailymotion.com/video/x4ixfpj.

49. In un recente incontro con il pubblico al termine della proiezione di Malgré la nuit, il regista ha confessato di voler «costruire immagini informi su cui poter proiettare tutte le altre immagini». 

50. Un’associazione fatta anche dall’autorevole critico Raymond Bellour sulla rivista francese Trafic.

51. Lenz si sbaglia: davanti a sé ha Hélène, la sua amante. Hélène però è anche una madre che ha perso il figlio; e Lenz è alla ricerca di Madeleine, che è proprio sua madre. Grandrieux pertanto, a partire dalla Monadologia (tutti i personaggi nascono dalla stessa misteriosa materia), tematizza diegeticamente il primato delle immagini come pura presenza, libere dalla realtà a cui si dovrebbero riferire. Non è un caso, infatti, che Grandrieux faccia indossare alle donne protagoniste dei video snuff del film soltanto delle maschere nere: queste rendono le figure femminili indiscernibili tra di loro.

52. Gilles Deleuze, Cinema 2: L’immagine-tempo (1985), Milano, Ubulibri, 2010, p. 94.

53. «È come se ci avvicinassimo all’origine, anche se questa è un’utopia. L’origine, dove non c’è nessuna forma, dove tutte le forme sono possibili, dove nessuna forma ha ancora una forma.» Philippe Grandrieux in http://www.dailymotion.com/video/x4ixfpj (minuto 40:00).

54. Philippe Grandrieux in Nicole Brenez, The Body’s Night: An Interview with Philippe Grandrieux, http://www.rouge.com.au/1/grandrieux.html. [Traduzione dell’estratto a cura di Margherita Palazzo, https://speakingparts.wordpress.com/2013/10/16/che-cavalca-la-mia-messe-scura/]