In Bones and All [id., 2022] di Luca Guadagnino, i cartelli che segnalano i luoghi attraversati dai due giovani protagonisti in fuga vengono improvvisamente sostituti da omologhe indicazioni relative al mese in cui si svolge la porzione di fatti raccontata. Dal circoscrivere riferimenti di natura spaziale il film passa a delimitare invece notazioni temporali.
In Athena [id., 2022] di Romain Gavras, interamente ambientato all’interno di un quartiere-ghetto della banlieue, gli spazi sembrano trasformarsi in anfratti virtuali grazie alla circolarità continua e ininterrotta del piano sequenza.
In Argentina, 1985 [id., 2022] di Santiago Mitre (co-sceneggiatore con Mariano Llinás, regista di La Flor [id., 2018]) le aule del processo a Videla e ai fautori del rinnovamento nazionale e gli uffici polverosi dove si prepara l’istruttoria sono immersi in una sorta di temporalità astratta (magnificamente sottolineata dal ricorso al fuori fuoco e da una gestione dello spazio che, con scelta inedita, esalta le prospettive verticali), necessaria per convocare la Storia contemporaneamente a testimone e sul banco degli imputati.
A unire diversi film del festival è un’anomala strutturazione del rapporto tra lo Spazio e il Tempo, con il primo (o la percezione che se ne ricava) che sembra modificarsi sulla base dell’assetto del secondo. Che il Tempo diventi sublimazione del cambiamento (Guadagnino), strumento di lotta contro se stessi e il mondo (Gavras) o collante in grado di parificare vicende individuali e traumi collettivi (Mitre); che abbia un andamento lineare (Guadagnino), una struttura velatamente circolare (Gavras) o paia in certi momenti sospendersi in una fissità fuori da ogni cronologia storica (Mitre), esso non è più solo misura del divenire o platonica “immagine mobile dell’eternità” ma – al pari di quanto si diceva a proposito dell’estetica del frammento – un nuovo modo di interpretare (e in questo caso anche di orientare) una realtà sempre più instabile (in The Kingdom – Exodus [Riget Exodus, 2022] di Lars von Trier si parla non a caso di “eccesso di realtà”). Proprio per questo, la sua relazione con lo spazio non solo si modifica costantemente, ma sembra imporre differenti rapporti prospettici e percettivi: è il tempo a donare l’illusione della progressione rettilinea del viaggio dei due protagonisti di Bones and All; è il tempo a trasformare vicoli ed edifici in luoghi da fiaba nera dalle geometrie non euclidee in Athena; è il tempo ad acuire l’immobilità raggelata e concentrazionaria delle aule del processo in Argentina, 1985. Così, se – come abbiamo scritto in passato – la leggibilità del mondo appare sempre più compromessa dal surplus di segni e informazioni che lo dominano, questa coalescenza di tempi e spazi finisce per aprire nuove possibilità di senso.