Ora che la nostalgia è dappertutto, ora che il passato non se ne va più, non c’è modo di essere nostalgici.
– Katey Rich, Fighting in the War Room, January 2015

Abbiamo capito, hai visto un sacco di film. Congratulazioni, coglione.
– Commento di Easton Dubois su MUBI a Grindhouse, Luglio 2011

Numerosi film degli ultimi dieci anni hanno volutamente imitato le pellicole di genere in voga negli anni ’80. Questi film possono essere delle copie semplici e superficiali o degli omaggi dichiarati; oppure sfruttano la nostalgia come base per raccontare storie che sembrano esistere “fuori” dal tempo. Rispetto ai lavori di cineasti appartenenti a generazioni antecedenti, i film aderenti a questa tendenza – che definirò con l’espressione New American Nostalgia -, così come il loro pubblico, si trovano in una posizione di osservazione privilegiata dalla quale confrontarsi proprio con questo sentimento di nostalgia che si prova per gli anni ’80. 

La nostalgia può assumere molte forme, quindi mi concentrerò su film o serie tv che tentano di immergere lo spettatore in un’esperienza paragonabile a quella che si prova guardando certe pellicole al momento della loro uscita invece che su film o serie tv che si limitano alla ricreazione del contesto. Un esempio appartenente a quest’ultimo gruppo di opere potrebbe essere la serie Stranger Things [id., creata da Matt e Ross Duffer, 2016-in corso]. La prima scena di Stranger Things si svolge in un seminterrato adibito a sala giochi, dove lo spettatore può scorgere la locandina di La cosa [The Thing, 1982] di John Carpenter appesa al muro. La funzione di questo poster è duplice: in primo luogo (insieme all’abbigliamento e ai mobili) ci dice immediatamente che la storia è ambientata tra l’inizio e la metà degli anni ’80, e in secondo luogo esplicita la consapevolezza che i creatori di Stranger Things hanno della popolarità e dell’influenza che La cosa ha acquisito nell’ultimo decennio, nonostante il film sia stato un insuccesso di pubblico e di critica nell’estate in cui uscì. In altre parole, è molto più probabile che il poster stia lì a indicare l’ammirazione dei creatori di Stranger Things per il film di Carpenter anziché quella dei personaggi della serie. Per questo e per altri motivi, definirei una scena come questa come parte di un’esperienza “non immersiva”. La presenza del poster rappresenta una sorta di operazione di “revisionismo” da parte degli autori di Stranger Things, e si porta dietro oltre tre decenni di scoperte e riscoperte avvenute tramite home video e trasmissioni televisive (io stesso l’ho visto per la prima volta durante una messa in onda a tarda notte nel fine degli anni ’80), la nascita di un devoto seguito di fan e la rivalutazione da parte della critica. La presenza del poster nella scena ci dice qualcosa a proposito della popolarità del film di Carpenter nel presente invece che della sua mera esistenza nel passato, rivelando il nostro desiderio di reimmaginare la cultura popolare invece che di rappresentarla così com’era in realtà.

new american nostalgia stranger thingsLa locandina di La cosa di Carpenter in una scena della serie Netflix Stranger Things.

Nell’introdurre l’espressione New American Nostalgia ci stiamo ispirando al titolo di un saggio di James Quandt, Flesh and Blood: Sex and Violence in Recent French Cinema, apparso per la prima volta su «Artforum» nel 2004. In questo saggio, Quandt ha creato l’espressione New French Extremity per tratteggiare – in modi poco lusinghieri – i contorni di una certa tendenza del cinema francese. Tuttavia, col passare del tempo tale espressione è diventata popolare e viene usata oggi per indicare un gruppo di film violenti e dalla portata spesso sovversiva realizzati in Francia all’inizio del nuovo millennio; il tutto a prescindere dal fatto che li si apprezzi o no. L’espressione New American Nostalgia che proponiamo qui, invece, non sottende alcun giudizio negativo.

La New American Nostalgia è una tendenza oggi dominante ma destinata a esaurirsi presto, poiché tutte le mode (o come preferiscono chiamarle i cinefili, le “onde”) sono, per definizione, di breve durata. Spesso non hanno neppure un tempo e un luogo specifico: western e musical americani negli anni ’50, film gialli europei negli anni ’70, cinema-du-look francese e film slasher americani negli anni ’80, rinascita dell’horror giapponese e New French Extremity alla fine degli anni ’90 e l’horror americano found footage negli anni 2000 rappresentano alcuni esempi. La New American Nostalgia presenta diversi punti di contatto con un’altra tendenza attiva negli ultimi anni in Europa: film come Amer [id., 2009] e Lacrime di sangue [L’étrange couleur des larmes de ton corps, 2013] di Hélène Cattet e Bruno Forzani, Berberian Sound Studio [id., 2012] e The Duke of Burgundy [id., 2014] di Peter Strickland, Horsehead [id., 2014] di Romain Basset emulano o prendono a prestito espedienti stilistici dalla tradizione fantastica europea iniziata al cinema dai vari Vadim, Bava e altri.

Una caratteristica peculiare della New American Nostalgia è il particolare legame che instaura con il processo di “vendita” e “acquisto” della nostalgia stessa, come quello che David Brooks descrive nel suo libro del 2000 Bobos in Paradise. In questo libro, Brooks propone l’idea che alla fine degli anni ’70 sia emersa una nuova élite liberale che ha messo insieme l’impresa capitalista e la controcultura degli anni ’60, con il risultato che alle generazioni successive di consumatori sono stati venduti prodotti che erano popolari durante le generazioni precedenti. Un esempio di ciò potrebbe essere la Volkswagen New Beetle, inizialmente prodotta nel 1997 e uscita dal mercato nel 2011. I consumatori che hanno guidato il Maggiolino VW negli anni ’60 alla fine sono diventati dirigenti di aziende come Volkswagen nei decenni successivi e hanno realizzato un “omaggio” al decennio in cui sono diventati maggiorenni tramite il rebranding di un caposaldo della loro cultura.

L’omaggio in sé non rappresenta certo un’operazione originale. Si basa soprattutto sull’idea di “presenza-assenza” sviluppata da Derrida: ciò che costituisce il presente è necessariamente composto da elementi (uno “spettro”) del passato. Quindi, un’opera di finzione che richiama con toni nostalgici il passato può portare a compimento l’intenzione originaria del suo autore solo se lo spettatore è in qualche modo consapevole di ciò che viene omaggiato. Per decenni, alcuni dei film americani di maggior successo hanno lavorato sull’effetto-nostalgia. Ad esempio, George Lucas ha sfruttato con successo la nostalgia per la narrativa pulp degli anni ’30: Star Wars – Episodio IV – Una nuova speranza [Star Wars: Episode IV – A New Hope, 1977] cannibalizza i serial di Flash Gordon, mentre I predatori dell’arca perduta [Raiders of the Lost Ark, 1981] i serial della Republic Pictures.

Non si può studiare la New American Nostalgia senza considerare innanzitutto il cinema di Quentin Tarantino. Si può affermare che sia stato lui a inaugurare questa tendenza. Quello di Tarantino è sempre stato un cinema fondato sull’operazione postmoderna del pastiche, che ha cannibalizzato elementi narrativi di – per usare le parole di Peter Strickland – generi “di cattiva fame” (o quantomeno tradizionalmente considerati minori): il romanzo giallo, la blaxploitation, il wuxia, il western e così via. Alla base di tutto vi è, probabilmente, il progetto Grindhouse del 2007, tentativo di “ricreare” l’esperienza visiva di un double bill di pessimi film di genere: trailer falsi prima della proiezione, vecchi formati di ripresa ecc. Questo desiderio di ricreare un’esperienza visiva perfettamente mimetica rispetto al passato trova il suo apogeo con il western del 2015 The Hateful Eight [id.], come testimoniano la produzione del film e la sua campagna promozionale. The Hateful Eight è stato girato infatti in Ultra Panavision 70 (pellicola 70 millimetri) e doveva essere proiettato in un numero limitato di sale dotate di proiettori anamorfici per un formato 2,76:1: qualcosa che non accadeva dal 1966.

Quando si parla della nostalgia degli anni ’80, spesso si dimentica che esistono film realizzati nell’ultimo ventennio che hanno omaggiato anche le produzioni di genere degli anni ’60 e ’70. Viva [id., 2007] e The Love Witch [id., 2016] di Anna Biller richiamano rispettivamente sexploitation europei come Camille 2000 [id., Radley Metzger, 1969] e commedie hollywoodiane come Una strega in paradiso [Bell Book and Candle, Richard Quine, 1958]. We Are Still Here [id., 2015] di Ted Geoghegan si ispira al ciclo di film delle Porte dell’Inferno di Lucio Fulci degli anni ’70. Darling [id., 2015] di Mickey Keating prende a modello Repulsion [id., 1967] e Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York [Rosemary’s Baby, 1968] di Roman Polanski. Queen of Earth [id., 2015] di Alex Ross Perry e Ossessione [Always Shine, 2016] di Sophie Takal hanno caratteristiche narrative e formali che ritroviamo in Persona [id., 1966] di Bergman, nei film onirici di Altman degli anni ’70, in La morte corre incontro a Jessica [Let’s Scare Jessica to Death, 1973] di Hancock e Savage Weekend [id., 1979] di David Paulsen e John Mason Kirby.

Che cos’è che distingue la nostalgia per gli anni ’80 da quella per altri decenni? Ci sono differenze storicamente specifiche tra la generazione di cineasti che ha realizzato Star Wars e I predatori dell’arca perduta e quella che ha prodotto The House of the Devil [id., Ti West, 2009] e It Follows [id., David Robert Mitchell, 2014]. Si tratta dell’ultima generazione che è cresciuta guardando film su VHS e che sa com’era la vita negli USA prima dell’arrivo di Internet, quest’ultimo responsabile di un accesso praticamente illimitato a film altrimenti irreperibili. Negli anni ’80 gli spettatori si limitavano a guardare i film su supporti fisici come le VHS o sullo schermo delle sale cinematografiche. Questo pubblico è stato anche il primo a sperimentare l’uso delle DSLR  – che hanno soppiantato, nel corso degli anni 2000, la pellicola fisica nelle preferenze dei cineasti statunitensi. La nostalgia per gli anni ’80 è legata anche all’arrivo del DVD alla fine degli anni ’90, un mezzo che alla fine ha reso obsoleto la VHS . Ciò nonostante, quest’ultima conserva tra gli appassionati uno status comparabile a quello dei dischi in vinile. In un modello di business che promuove il rebranding di oggetti nostalgici come le Volkswagen Beetles e gli stessi vinili, era inevitabile per i distributori effettuare anche il rebranding delle VHS per conquistare, con il pretesto della nostalgia, mercati di nicchia e potenzialmente redditizi. Nel 2010, la Magnetic Releasing Films ha inviato ai giornalisti copie promozionali in VHS di House of the Devil. Il primo di aprile del 2015, Vultra Video, un distributore di video con sede a Syracuse, ha pubblicato una falsa pubblicità per una versione VHS in edizione limitata di It Follows.

house of the devil ti west new american nostalgia La copia promozionale in VHS della Magnet Releasing Film per House of the Devil.

it follows new american nostalgiaLa finta pubblicità della Vultra Video per una versione in videocassetta di It Follows.

Anche alcuni film a prima vista disinteressati all’esplicita ricreazione degli stilemi e delle atmosfere di di genere degli anni ’80 contengono elementi di design che li richiamano specificamente. In questo caso, componenti come il font e i colori usati per i titoli e la colonna sonora funzionano come una sorta di stenografia mnemonica del passato. La loro rapida apparizione sullo schermo è sufficiente per condurre lo spettatore in uno specifico e più ampio universo di immagini.  InThe Guest [id., 2014] di Adam Wingard, un personaggio crea un CD costituito in gran parte da canzoni della metà degli anni ’80, inclusi brani dei Love and Rockets e dei Clan of Xymox. I titoli di coda sono composti con il font «Albertus», che John Carpenter ha utilizzato in tutti i suoi film a partire dal 1982, anno proprio di La cosa. I titoli di coda Starry Eyes [id., 2014] di Kolsch e Widmyer sono invece realizzati con il carattere tipografico «ITC Benguiat», creato da Ed Benguiat nel 1978 e apparso negli anni ’80 in numerose opere per bambini pensate per diversi media. Entrambi i font, insomma, sembrano pensati per richiamare la cultura popolare di quel decennio.

the cave of timeIl font ITC Benguiat in The Cave of Time (Edward Packard, 1979).

starry eyes new american nostalgiaLo stesso font in Starry Eyes.

Ci sono poi film che, oltre ad alcuni elementi di design, riprendono interi schemi narrativi e stilistici resi popolari dalle produzioni di genere degli anni ’80. Ad esempio, non solo il font dei titoli di testa e la musica diegetica di House of the Devil di Ti West vengono da quel periodo, ma il film stesso si svolge nel 1983. House of the Devil presta particolare attenzione alla cultura visiva – articoli di abbigliamento, acconciature, decorazioni, oggetti che vanno dalle coppe di cera a telefoni con quadrante rotativo, ecc. – della prima metà del decennio. In particolare, uno spettatore attento noterà come l’impianto visivo del film non sia una semplice riproposizione filologica delle istanze visuali del periodo ma anche la risultante di tutte le culture visive che precedono il 1983. Si prenda come esempio il personaggio di Megan (Greta Gerwig), che indossa una maglietta da baseball ed esibisce una pettinatura cotonata che ricordano la Farrah Fawcett di Charlie’s Angels [id., creata da Ivan Goff e Ben Roberts, 1976-81]. In altre parole, l’idea alla base del lavoro di production design di House of the Devil è che non tutti in Nord America si siano svegliati la mattina del 1° gennaio 1983 decidendo che la cultura visiva del Paese sarebbe dovuta cambiare all’improvviso. Da questo punto di vista, si potrebbe istituire un paragone con Super 8 [id., 2011] di J.J. Abrams, che è per certi versi l’opposto di House of the Devil in quanto, facendo di tutto per ricordare allo spettatore che la storia si svolge alla fine degli anni ’70, finisce col dimenticare qualsiasi manufatto della cultura popolare e visuale precedente al periodo in cui il film si svolge, come p.e. la campagna pubblicitaria Have a Coke and a Smile della Coca-Cola e l’incidente nucleare di Three Mile Island nel marzo 1979. Anche la colonna sonora non presenta alcuna traccia di musica popolare realizzata prima del 1976.

Farrah FawcettFoto pubblicitaria di ABC Network di Farrah Fawcett, gennaio 1976.

greta gerwig house of the devilGreta Gerwig in House of the Devil.

Andando oltre la semplice riproposizione di modelli narrativi e stilistici del passato, alcuni film, come It Follows di David Robert Mitchell e Beyond the Gates [id., 2016] di Jackson Stewart, usano questi schemi come punto di partenza per la realizzazione di un cinema di genere dagli espliciti caratteri modernisti.

Partiamo da It Follows di Mitchell. Indubbiamente l’It del titolo che perseguita i protagonisti non è troppo differente dal Michael Myers di Halloween – La notte delle streghe [Halloween, John Carpenter, 1978] o dal robot di Terminator [The Terminator, James Cameron, 1984], anche se l’antagonista del film di Mitchell diventa il significante allegorico dell’invecchiamento e della morte dei protagonisti, come rivelano alcuni riferimenti letterari come L’idiota di Dostoevskij e La canzone d’amore di J. Alfred Prufrock di Eliot. Ma se l’universo visivo del film di Mitchell ricorda Nightmare – Dal profondo della notte [A Nightmare on Elm Street, 1984] di Wes Craven e sembra essere debitore delle fotografie di Gregory Crewdson, ciò non significa che lo spettatore possa identificarne facilmente la collocazione temporale. Il regista, infatti, ha usato mobili e apparecchi elettrici provenienti dagli anni ’80 – come i televisori a raggi catodici e i telefoni a quadrante rotativo – insieme a oggetti contemporanei all’epoca della realizzazione di It Follows. Non solo: nel film di Mitchell è possibile scorgere anche prodotti tecnologici di pura fantasia, come il dispositivo elettronico a forma di conchiglia usato da Yara per leggere L’idiota.

Altrettanto meritevole di attenzione è Beyond the Gates. La tavolozza cromatica del film di Stewart ricalca quella di From Beyond – Terrore dall’ignoto [From Beyond, 1987] di Stuart Gordon, mentre la vicenda ricorda Non aprite quel cancello [The Gate, 1987] di Tibor Takács e il finale di Hellraiser [id., 1987] di Clive Barker. Beyond the Gates lavora sull’effetto-nostalgia per l’horror anni ’80 omaggiando l’esperienza della fruizione domestica dei film in VHS: non solo i protagonisti sono i due figli del proprietario di un videonoleggio, ma i titoli di testa sono mostrati sulle bobine di un lettore VHS. Come per It Follows, tuttavia, lo spettatore si trova in difficoltà nell’identificare la collocazione temporale di Beyond the Gates. Ad eccezione del fatto che i personaggi citino i giochi da tavolo e le VHS (diffusi tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90) come prodotti del passato, il film di Stewart non contiene ulteriori elementi che inducano lo spettatore a ritenere che le vicende si svolgano nel “presente”, anche perché la narrazione obbedisce alle convenzioni di una produzione di genere degli anni ’80.

from beyond terrore dell'ignotoFrom Beyond – Terrore dall’ignoto

beyond the gates new american nostalgiaBeyond the Gates

Nel creare universi visivi che esistono “fuori dal tempo”, Mitchell e Stewart non solo mostrano di essere consapevoli dell’esistenza di uno “spettro del passato che ritorna”, ma se ne servono per produrre nuove immagini. Questo non si distanzia da ciò che Edmund Burke suggerisce nel suo trattato del 1757 Ricerca sull’origine delle idee del sublime e del bello a proposito i concetti di somiglianza e differenza:

Quando due oggetti distinti sono dissimili l’uno dall’altro, ciò non ci stupisce; le cose stanno come sono solite stare, e quindi non impressionano l’immaginazione: ma quando due oggetti distinti presentano una rassomiglianza, ne siamo colpiti, prestiamo loro attenzione e ne proviamo piacere. La mente dell’uomo ha per natura una alacrità maggiore e prova una soddisfazione di gran lunga superiore nel tracciare le somiglianze piuttosto che nel cercare le differenze: poiché rilevando le somiglianze, noi produciamo nuove immagini…

L’esperienza “immersiva” non è solo una questione di stile. C’è differenza tra re-immaginare il passato, come fanno Super 8 o Stranger Things, e richiamare esperienze del passato, come fanno House of the Devil o The Love Witch. House of the Devil e i film di Anna Biller sono filmati su pellicola 16 o 35 millimetri. Negli ultimi vent’anni, con la DSLR che ha soppiantato la pellicola fotografica e con l’arrivo nelle case degli spettatori dei televisori ad alta definizione, è sempre più difficile distinguere i film prodotti per il cinema da quelli realizzati per la tv. Dal momento che oggi sono pochissimi i lungometraggi realizzati in pellicola, si può leggere l’effetto-nostalgia ricercato da The Love Witch e House of the Devil come un modo per distinguersi dalle produzioni televisive – dato anche l’aumento dell’uso dei servizi di streaming e il calo al botteghino nordamericano ogni due o tre anni dal 2005 (i box office totali annuali negli Stati Uniti sono aumentati costantemente dal 1992 al 2004, ma da allora sono diminuiti o rimasti fermi). In questo senso, la tendenza che abbiamo chiamato New American Nostalgia non possiede scopi differenti da quelli perseguiti negli anni ’50  con l’introduzione dei formati panoramici, effettuata per competere con la televisione.

La visione di Beyond the Gates, tuttavia, non offre la stessa esperienza che si prova guardando The Gate o From Beyond. L’aver visto The Gate in un multisala nella Pennsylvania orientale nel 1987 o From Beyond a metà degli anni ’90 su VHS, è un’esperienza totalmente differente rispetto al guardare Beyond the Gates nel 2017. Oggi lo spettatore non osserva eventi accaduti sul set e ripresi negli anni ’80, ma solo una loro simulazione, composta da oggetti di scena, fotografia e musica. Mandare House of the Devil su un proiettore DCP in una sala con poltrone da stadio e impianto surround non può quindi che far fallire qualunque tentativo di ricreare l’esperienza di vedere un film negli anni ’80.