“Don’t get our hopes up”. Queste parole vengono espresse dai sottotitoli in Vdor (Intrusion) di Niko Novak e Matevz Jerman [2021], subito prima che un corpo organico inondato da una luce chiara e splendente venga fatto in mille pezzi. Un momento catartico ma anche distruttivo, che allontana dalla possibilità di un’univoca chiave di lettura nell’osservare gli animali in formaldeide della Gian Rinaldo Carli High School di Capodistria, Slovenia. La sensazione è quantomeno duplice: l’immagine rasserena e libera, o lo spettatore dovrebbe invece “abbassare le aspettative”?
Vdor (Intrusion) di Niko Novak e Matevz Jerman, 2021
Tra l’obbligo e il permesso di guardare passa un intero spettro di possibilità che il Laterale Film Festival indaga da ben sei edizioni, e quella del 2022 non fa differenza: la selezione rilancia ancora una volta, e mette in primo piano, l’annoso dubbio della collocazione dello spettatore rispetto alla materia mostrata in un film; se lo spettatore è previsto e dialetticamente coinvolto oppure considerato come occhio passivo; se l’occhio stesso della camera, che perlustra forme e mondi tra il reale e l’alterità, sia un occhio privilegiato, o se invece deve ridurre le potenzialità dell’occhio umano, per esempio simulando un’assoluta parzialità del punto di vista; o se addirittura proporre quella parzialità particolare come un privilegio irripetibile, possibile solo al cinema. Remaining Silent di Yanbin Zhao [2022] non è estraneo a queste domande. Questo silenzioso showreel di luoghi urbani e casalinghi, mostrati per l’ultima volta prima della demolizione, è un lavoro di progressiva e tenace stratificazione di un’immagine documentaria: il viraggio in seppia, le sovrapposizioni di inquadrature, l’out of focus, i giochi di riflessi, contrapposti alla discrezione dei pochissimi suoni, riconducono alla possibilità di fare testimonianza di un luogo in maniera parziale, emotivamente coinvolti in quegli spazi e in quelle forme. È forse un modo per proporre un’identificazione con l’occhio del regista, una possibilità limitante che però è anche privilegiata e unica.
Remaining Silent di Yanbin Zhao, 2022
Come succede per i due cortometraggi appena citati, un simile dibattito sulla “posizione” dello spettatore è chiaramente urgente e importante nel genere documentario, in cui l’esposizione di un dato oggetto (un luogo, una persona, un argomento) è guidata in maniera estremamente diretta verso un soggetto che guarda. Eppure non si esce necessariamente fuori dall’ambito del documentario se queste prerogative di “genere” vengono manomesse: si pensi per esempio a Blind Body di Allison Chhorn, sospeso tra elegia sokuroviana (Dolce, 1999) e gli abissi di Paravel e Castaing-Taylor (Caniba, 2017), ritratto per out of focus e colore di Kim Nay, sopravvissuta cambogiana ai Khmer Rossi e residente in Australia, ormai cieca. La materia documentaria è allusa dalle voci fuoricampo alla radio, ma è chiaro che l’obbiettivo è entrare nel mondo di Kim e lasciarsi avvolgere sensorialmente.
Blind Body di Allison Chhorm, 2021
Caniba di Lucien Castaing-Taylor e Véréna Paravel, 2017
Dolce di Aleksandr Sokurov, 1999
È dunque, “entrare in un mondo”, esperienza parziale o esperienza assoluta perché altra da noi? Fuoriuscire dalla percezione quotidiana delle cose per entrare nel limitatissimo mondo dell’occhio di un microscopio (A Perfect Storm di Karel Doing, 2021, di semi e piccolissimi fiori), è un restringimento ai limiti o un’apertura all’invisibile e all’impossibile? La risposta è nell’incommensurabilità delle emozioni che la percezione può comportare, nel fatto che l’emozione di perdersi non è direttamente proporzionale a quanto siano larghi o stretti i bordi dell’immagine, specialmente se il movimento (come quello forsennato e maniacale di A Perfect Storm) fa perdere percezione di quei limiti. C’è davvero differenza fra il seme di una pianta e la statua di un gargoyle, se non l’idea razionale della “dimensione” dell’immagine?
A Perfect Storm di Karel Doing, 2021
Di come l’inquadratura e i suoi limiti vengano messi in crisi dal movimento è maestro indiscusso Paolo Gioli, attivo fin dalla fine degli anni ’60 e convinto che montaggio e movimento possano cambiare il senso attraverso un formato particolare. Fin dalle Commutazioni con mutazioni (1969), in cui convivevano tre formati diversi su unico supporto, fino a Quando i corpi si toccano (2012), presentato in selezione Laterale 2022, è l’inquadratura stessa della pellicola oggetto di discussione, tanto da mettere in crisi il senso ultimo della cornice “attorno” all’inquadratura: accediamo così a un altro mondo fuori dall’inquadratura, trasmigrando da una pellicola all’altra? Dov’è lo spettatore nei lavori di Paolo Gioli? È occhio passivo oppure è percezione libera?
Quando i corpi si toccano di Paolo Gioli, 2012
Immaginando dunque che la “liberazione” di uno sguardo non necessiti di una prospettiva cosmica delle cose, ma anche dall’estrema parzializzazione, non stupisca che in quello che può capitare di non vedere svolga un ruolo di fondamentale importanza l’immaginazione, che riempie a modo suo il fuoricampo, con l’ausilio del suono o del silenzio. Un esempio per tutti potrebbe essere Stenòs opaios di Mauro Santini (2021), un insieme di volti e mani illuminate che respirano, smuovendo la grana dell’immagine, come se fossero enti semoventi subacquei, mentre a scandire il loro respiro stanno gong, vibrafoni e cetre.
Stenòs opaios di Mauro Santini, 2021
O ancora di più, Asha di Federico Barni (2022), in cui un cane fugge dalla sua padrona, si intrufola in delle insenature rocciose e accede a un’altra dimensione, sicuramente nello spazio ma forse anche nel tempo. Diversamente da Stenòs opaios, qui l’immaginazione non sta a colmare il fuoricampo, ma colma il senso stesso che sta fra le inquadrature: Asha fugge dalla padrona, e attraverso i boschi si ritrova a casa sua e la sveglia una mattina, per poi tornare nei boschi e farsi ritrovare.
Asha di Federico Barni, 2021
Sembra dunque in totale contrasto con il resto della selezione il corto apocalittico di Tsai Ming-liang, The Night (2021), che sembra il risultato del location scouting per Days (2020) ma in realtà è un cortometraggio autonomo, in cui il mondo si è svuotato dagli esseri umani e rimangono solo scenari alienati, o pareti piangenti come in Stray Dogs (2013). In The Night la figura umana è scomparsa; e lo spettatore? Per Tsai lo spettatore assomiglia sempre più a un fantasma.
The Night di Tsai Ming-liang, 2021
Ed in effetti solo un fantasma potrebbe trasmigrare da una pellicola all’altra (come accade in Quando i corpi si toccano di Gioli); e solo un’entità sovrannaturale potrebbe colmare il fuoricampo di Stenòs opaios o aggirarsi storicamente fra le immagini e le voci de L’incanto di Chiara Caterina (2021). Ancor più fantasmatico poi lo spettatore in grado di entrare negli occhi di James Edmonds, che in Configurations (2021) dal collage di estratti mekasiani di vita quotidiana estrae un affresco astratto di pure linee, luci e movimenti, variando l’esposizione dell’obbiettivo, diminuendo e aumentando a piacimento i frame al secondo e invitando a una graduale nuova percezione del mondo con un movimento lento e graduale verso una strana abitazione dalle forme incoerenti.
Configurations di James Edmonds, 2021
Lo spettatore, come un fantasma, libero nel movimento e non più limitato dai bordi dell’immagine, può proiettare i suoi desideri sull’immagine filmata: a riprodurre questa suggestione è Làcrimas di Jeremy Moss (2022), che, con luci e torce puntate sugli alberi, riproduce le emozioni melodrammatiche di grandi classici hollywoodiani, da Come le foglie al vento [Written on the Wind, Douglas Sirk, 1956] a L’ereditiera [The Heiress, William Wyler, 1949). La selezione 2022 del Laterale Film Festival sembra dirci che i limiti dello schermo sono solo un’illusione.