A un certo punto del film Artisti e modelle [Artists and Models, 1955], la bella Abigail Parker (Dorothy Malone) si presta a fare un ritratto di Eugene, lo svitato vicino di casa interpretato da Jerry Lewis. L’immagine che sta dipingendo – e che noi spettatori possiamo vedere – non è però quella dell’uomo, bensì di un topolino, di quelli che potremmo incontrare in un cartoon o in qualche comics dei quali Eugene, aspirante scrittore per ragazzi, è un fervente appassionato.

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Questa brevissima scena, tratta per altro da un film non diretto da Lewis, è emblematica: fornisce difatti l’occasione per riflettere sul celebre “picchiatello” del cinema americano – morto poche settimane fa all’età di 91 anni – non solo in qualità di grande erede della tradizione splastick (Stan Laurel, Buster Keaton, Charlie Chaplin, Harold Lloyd, etc.) ma anche del cartone americano statunitense più caustico e sovversivo, quello di Chuck Jones e, soprattutto, Tex Avery.
La scena, infatti, sembra suggerire implicitamente una continuità tra la figura di Lewis e il mondo dell’animazione, come se dietro a quel volto in carne ed ossa si nascondesse qualcos’altro. Non c’è dubbio che una comune “follia nel metodo” – per dirla con Franco La Polla1 – accomuna i più inverosimili gags di Jerry Lewis a quelli dei cartoons prodotti dalla Warner e dalla MGM tra gli anni Quaranta e Cinquanta. La volontà di portare all’estremo il paradosso e il non-senso, di forzare i limiti dello spazio e del corpo, di rivelare continuamente la finzione cinematografica sono, difatti, alcuni dei punti che Lewis ha in comune con il mondo del cartone animato – e che qui, brevemente, mi piacerebbe illustrare.

Che Lewis, nella sua recitazione, nelle sue gestualità e nelle sue modulazioni vocali, possedesse un potenziale comico surreale ed astratto – eccessivo per un cinema “dal vivo” – se ne era già probabilmente accorto Frank Tashlin, il migliore regista che diresse il duo comico Jerry Lewis/Dean Martin2. A questo sottostimato regista, Lewis ha spesso dichiarato di “dovergli tutto”. Ma forse ciò non risiede unicamente in quegli espedienti, registici e tecnici, che può aver imparato sui set di film quali Hollywood o morte! [Hollywood or Bust, 1956], Il balio asciutto [Rock-a-Bye Baby, 1958], Il ponticello sul fiume dei guai [The Geisha Boy, 1958] o, per l’appunto, il già citato Artisti e modelle. Credo piuttosto che il rapporto di Lewis con questo ex-cartoonist di Hollywood sia da ricercare nello spiccato interesse, da parte di Tashlin, nel realizzare un cinema dal vivo nel quale confluissero elementi propri dell’animazione.

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jerry lewis - 3In Gangster cerca moglie [The Girl Can’t Help It, 1956], due dei migliori film di Tashlin senza Jerry Lewis, possiamo ritrovare nella bella pin-up Jayne Mansfield un corpo ideale per trasferire gli eccessi erotici dell’Avery di Red Hot Riding Hood [id., 1943] nella commedia americana.

Ed è proprio nel corpo dis-organico, (o meglio ancora, «dis-organizzato»3) di Lewis che Tashlin trova il “luogo” ideale dove convogliare quei gags a metà strada tra lo slapstick e il cartoon. Si tratta difatti di una comicità essenzialmente fisica, “pura”, quella proposta da Jerry Lewis, che ritorna in auge a Hollywood dopo un periodo di marginalità4, ma che aveva trovato nei cartoni animati (come ad esempio in quelli di Tex Avery) la sua ideale prosecuzione5.
Non mancano dunque, nel cinema lewisiano, riferimenti diretti e omaggi sentiti all’universo del cartoon. Ad esempio, in uno dei migliori film di Lewis diretti da Tashlin, Il balio asciutto, l’attore si ritrova all’interno di un apparecchio televisivo. Qui, per non destare sospetti, inizia a recitare vari ruoli, come se si trovasse all’interno degli stessi programmi TV. Si tratta, invero, del medesimo gag che compare in Cellbound [1955] di Tex Avery, cartoon che vede protagonista Spike, l’irascibile mastino nemico giurato di Droopy che, evaso di prigione attraverso un lunghissimo tunnel, sbuca proprio all’interno della televisione del suo stesso carceriere!

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Citazioni a parte, i rapporti tra Avery, Tashlin e Lewis sono ben più strutturali e assumono declinazioni diverse e sfaccettate. Come specifica Giorgio Cremonini nella bella monografia dedicata all’attore-regista6, Lewis, pur ereditando da Tashlin un timing per gli sketch sempre perfetto, al contempo se ne allontana, demolendo la linearità e la verosimiglianza delle storie (a parte alcuni casi come Le folli notti del dottor Jerryll [The Nutty Professor, 1963] e Tre sul divano [Three on a Couch, 1966]) a scapito di film decisamente più eccentrici ed illogici. Come in un cartoon, per l’appunto.
Innanzitutto, come sottolineato all’inizio, si tratta di una comicità che passa principalmente dal «corpo», spesso utilizzato in maniera stilizzata. Se infatti Jayne Mansfield fu la perfetta incarnazione delle tante “pupe” dei cartoons di Avery – che, con la loro provocante bellezza, facevano saltare letteralmente gli occhi fuori dalle orbite dei loro ammiratori –, Lewis, come nota Toni D’Angela, «appare subito come un elemento sovversivo ed eccessivo come “Howl Wolf” in Swing Shift Cinderella (1945) e Red Hot Riding Hood di Tex Avery, il cui cinema d’animazione surreale, espansivo e debordante non è certo estraneo alla “Lewisland”.»7 In Lewis, difatti, possiamo ritrovare quella stessa elasticità fisica, quelle iperboliche mimiche facciali, nonché quel trasformismo frenetico che già caratterizzavano il wolf dei cartoni diretti da Avery per la Metro-Goldwyn-Mayer – e che, anni più tardi, uno dei più talentuosi eredi di Lewis, Jim Carrey, omaggerà in The Mask – Da zero a mito [The Mask, 1994].

jerry lewis - 6 jerry lewis - 7L’esasperazione della mimica facciale: sopra, Il mattatore di Hollywood [The Errand Boy, 1961]; sotto, Wild and Wolfy [1945].

jerry lewis - 8 jerry lewis - 9Corpi elastici: sopra, Le folli notti del dottor Jerryll; sotto, di nuovo Wild and Wolfy.

Come Avery, anche Jerry Lewis, nei suoi film più sovversivi, ama svelare la finzione cinematografica, realizzando gags di notevole acutezza metalinguistica8. Pensiamo alla celeberrima scena della casa-set “sezionata” ne L’idolo delle donne [The Ladies Man, 1961], che tanto avrebbe impressionato Jean-Luc Godard da riproporla, rivisitata, in Crepa padrone, tutto va bene [Tout va bien, 1972]. Vi è qui un uso dello spazio in senso dichiaratamente meta-filmico: pratica, questa, frequentata anche da Tex nei suoi cartoons più sperimentali. Come nota infatti Quim Casa a proposito di Lucky Ducky (1948): «Affascinato da gags metalinguistici, Avery mostra i suoi due protagonisti [George e Junior, NdT] superare la soglia che separa il colore dal bianco e nero. Quando, disorientati, tornano indietro sui loro passi, scoprono un cartello che spiega che il Technicolor finisce in quel punto esatto. Il medium cinematografico è il gag stesso. [..]. Il lavoro di costruzione dell’inquadratura è dunque rivelato, come ne L’idolo delle donne di Jerry Lewis, quando il travelling della gru rivela il set»9

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jerry lewis - 11Lo spazio come luogo metacinematografico: sopra, L’idolo delle donne; sotto, Lucky Ducky.

Tanto il cinema di Lewis quanto quello di Avery sono perennemente calati in un universo puramente cinematografico, consapevoli della finzione e dell’umorismo (nonché della critica) che può scaturire dal suo disvelamento. «Il cinema è il cinema», specifica Cremonini, «ma è (o comunque può essere) anche critica dell’immaginario, rivelazione e quindi assimilazione in un universo autonomo, insieme astratto e concreto […].»10 Voglio dunque proporre ora qualche esempio di come il cinema di Lewis instauri un forte legame con la comicità sovversiva di Avery.
Nel film Il mattatore di Hollywood [The Errand Boy, 1961], un lungo travelling sugli studi della “Paramutual” Pictures (!) si conclude alle spalle dell’attacchino Morty Tashman (Jerry Lewis), intento ad appendere un cartellone con la scritta “Directed by Jerry Lewis”. Fin dalle prime immagini, lo spettatore è consapevole di trovarsi di fronte ad un film. Come non pensare, allora, ai medesimi “disvelamenti” della finzione cinematografica in opere averiane quali The Early Bird Dood It [1942] e Tortoise Beats Hare [1941], oppure alla serie – ad alto tasso metafilmico – del folle scoiattolo Screwy Squirrel?

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jerry lewis - 13Film nel film: sopra, Il mattatore di Hollywood; sotto, The Early Bird Dood It.

E ancora. Nei primi minuti de Il ragazzo tuttofare [The Bellboy, 1960], il primo bellissimo film da regista di Lewis dedicato a Stan Laurel, un produttore ci avverte che l’opera che stiamo per vedere è “completamente folle”. Poco dopo, lo stesso produttore sale sulla sedia e inizia a comportarsi in maniera altrettanto folle (come avrebbe fatto l’averiano papero Duffy Duck). Un gag simile, anche se più sofisticato, apre Il ciarlatano [The Big Mouth, 1967]. Qui, un uomo ben vestito e composto, seduto dietro la propria scrivania, si rivolge direttamente allo spettatore avvertendolo che ciò che stiamo per vedere è assolutamente veritiero. Ma l’inquadratura arretra, mostrandoci l’uomo in mezzo al mare. Si tratta di “interpellazioni” comiche, che anche Avery aveva frequentato anni prima: ad esempio nel capolavoro Who Killed Who? [1943].

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jerry lewis - 15Produttori in scena: sopra, Il ragazzo tuttofare; sotto, Who Killed Who?.

Ma lo spettatore può essere chiamato in causa anche attraverso l’utilizzo di cartelloni e scritte. Sempre nel Mattatore di Hollywood – indubbiamente, uno dei suoi film più riusciti –, Morty sta affogando in una piscina. Estrae quindi un pleonastico cartello con scritto “Sto affogando, aiutatemi!”. E quanti cartelloni utilizzano i personaggi di Tex (e del suo allievo Chuck Jones11), a commento delle situazioni paradossali che si trovano a vivere?

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jerry lewis - 17Il cartellone rivolto al pubblico: sopra, Il mattatore di Hollywood; sotto, The Heckling Hare [1941].

Infine, entrambi gli artisti scherzeranno sul tabù per eccellenza: la morte. Nel suo ultimo film, Qua la mano picchiatello [Cracking Up, 1983], Warren (Jerry Lewis) vuole farla finita. Si lega il cappio al collo, ma, anziché morire, fa crollare l’intera casa! Poco dopo collega una pistola al pomello della porta, ma quando l’arma fa fuoco, il proiettile colpisce la televisione (uccidendo, per altro, il personaggio di un film!). Parimenti, anche Avery scherza sovente sul suicidio, ad esempio in film animati come Half-Pint Pygmy [1948] o What Price Fleadom [1948].

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jerry lewis - 19L’ultima frontiera del gag: la morte. Sopra, Qua la mano picchiatello; sotto, What Price Fleadom.

Lewis e Avery sono stati dunque due artisti che hanno abbattuto convenzioni e tabù attraverso un cinema che ha trovato proprio nel cinema stesso una delle sue principali fonti di ispirazione. Una comicità debordante, la loro, che investe tutto e tutti: corpi, generi… addirittura i fotogrammi stessi del film (pensiamo al finale de Le folli notti del dottor Jerryll). Un vero e proprio «caos ordinato» – per riprendere il titolo originale di Pazzi, pupe e pillole [1964], «The Disorderly Orderly» –, che ci ricorda, ancora oggi, come non vi sia nulla di più sovversivo, anarchico e perturbante della risata.

NOTE

1. Cfr. Chuck Jones: La follia nel metodo, in F. La Polla, Stili americani, Bonomia University Press, 2003.

2. Da ricordare anche, tra gli altri, almeno George Marshall e Norman Taurog.

3. Per un’approfondita analisi sull’uso del corpo attoriale di Lewis in relazione alle teorizzazioni di Antonin Artaud (e Gilles Deleuze/Felix Guattari) sul «corpo senza organi», cfr. con T. D’Angela, Jerry Lewis o l’impossibile. Il corpo, la voce e le macchine, http://www.lafuriaumana.it/index.php/archives/31-lfu-12/91-toni-d-angela-jerry-lewis-o-l-impossibile-il-corpo-la-voce-e-le-macchinev

4. Tra la metà degli anni Trenta e la metà degli anni Cinquanta si afferma infatti la commedia sofisticata, che segna anche il tramonto di una comicità più “fisica” come quella del muto.

5. Sul ruolo del cinema averiano come prosecutore dello slapstick, rinvio all’articolo dedicato a Tex Avery presente sul sito ( https://specchioscuro.it/tex-avery/ ), nonché al saggio di R. De Ritis, Tex Avery, la tradizione del vaudeville e la comicità americana tra gli anni ’30 e ’40, in (a cura di M. Fadda, F. Liberti), What’s Up, Tex? Il cinema di Tex Avery, Lindau, Torino, 1998.

6. Cfr. G. Cremonini, Jerry Lewis, Il Castoro Cinema – La Nuova Italia, Firenze, 1979, p. 18.

7. T. D’Angela, Op. cit..

8. È noto come Lewis sia stato particolarmente apprezzato dalla sempre avveduta critica francese e troppo spesso sottostimato da quella statunitense e italiana.

9. «Fascinated by gags with meta-language, Avery films his two protagonists crossing a space that moves from colour to black and white. When, bewildered, they retrace their steps, they discover a sign explaining that Technicolor ends there. The cinematographic medium is the gag. […] The framework is thus revealed, in the same way as in Jerry Lewis’ The Ladies Man, when a crane travelling reveals the setting.» Q. Casas, Tex Avery. Anthropomorphic transgression, https://abcdefghijklmn-pqrstuvwxyz.com/tex-avery-anthropomorphic-transgression/

10. G. Cremonini, Op. cit., p. 29

11. Mi riferisco ovviamente al migliore personaggio mai creato da Chuck Jones, Wile E. Coyote.