«La realtà è noiosa, la bugia è divertente».
Lo ripete Paolo (Philippe Leroy), protagonista (e, per molti versi, alter ego del regista) de L’occhio selvaggio [1967] di Paolo Cavara.
A rivederlo, con il senno di poi, sedimentatesi le memorie di una stagione tanto periferica quanto irripetibile del cinema italiano, L’occhio selvaggio è un film fondamentale, un testo-chiave della nostra cinematografia. Non tanto per essere stato «in anticipo sui tempi», quanto per essere stato il primo a rielaborare criticamente (e compiutamente) l’immaginario di quella stagione. A svelarne le strategie retoriche. A mostrare come ogni tentativo di documentazione – non a caso, l’anno prima aveva visto la luce delle sale Blow-up [1966] di Michelangelo Antonioni – sia sempre filtrato dalla parzialità inevitabile di uno sguardo.1
È una vera e propria abiura quella di Cavara, un regista che in prima persona aveva contribuito alla realizzazione dei due film che diedero la stura al filone dei mondo movies: il semi-eponimo Mondo cane [Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi, Paolo Cavara,1962] e La donna nel mondo [Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi, Paolo Cavara, 1963].
Più che una definizione (molto superficialmente: film-inchiesta o reportage, spesso a carattere esotico e sensazionalistico, zeppi di immagini di sesso e violenza il cui fine è quello di porre lo spettatore di fronte a situazioni-limite attraverso immagine-estreme) del mondo movie, più che qualsivoglia tassonomia o classificazione (si contano centinaia di epigoni, ciascuno con le proprie specificità), a contare oggi è forse la necessità di interrogarsi su un modo di fare e pensare cinema le cui implicazioni (teoriche e non pratiche2), sotto alcuni punti di vista, si riverberano anche sul presente.

l'occhio selvaggio

L’occhio selvaggio

Jacopetti Files (Mimesis, 2016) di Fabrizio Fogliato e Fabio Francione – introdotto da un’interessantissima prefazione di Nicolas Winding Refn – nasce anche da qui, da un’esigenza anzitutto storico-filologica. Se il titolo pone al cento la controversa figura di Gualtiero Jacopetti – soldato, giornalista3, esploratore, filmmaker, fu il perno, l’iniziatore, il padre in spirito di questo sottogenere – il volume allarga però il territorio d’indagine alle principali personalità (da Franco Prosperi allo stesso Cavara, dai fratelli Castiglioni a Stanis Nievo, da Guido Guerrasio ad Antonio Climati e Mario Morra) e ai principali film di quel filone controverso. E lo fa ricorrendo ad un apparato (davvero sbalorditivo per mole e ricchezza) di recensioni d’epoca e interviste, di elzeviri e trafiletti, persino di frammenti d’inchieste (celeberrima quella condotta da L’Espresso che svelò come, durante le riprese di Africa, addio [Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi,1966], Jacopetti avesse letteralmente orchestrato la fucilazione di tre mulielisti per inserire poi il materiale filmato nel montaggio della pellicola) strettamente legati all’attualità del momento.
Così, oltre all’inquadramento storiografico, il volume ha il pregio innegabile di fornire al lettore gli elementi per interrogarsi. Posto di fronte ad una pluralità di punti di vista (se p.e. Moravia scrive «Jacopetti in Mondo cane ha toccato sen­za rendersene conto una materia degna di Pascal con l’animo e le parole di un membro della café-society di Roma.»4, Morando Morandini, a proposito di Addio ultimo uomo [Alfredo Catsiglioni, Angelo Castiglioni, 1978], si domanda:«L’intento didattico è esplicito. Ma è anche corretto? In che misura è anche un alibi? O una speculazione sensazionale?»5), in grado di dialogare virtualmente con chi ha vissuto in prima persona quell’esperienza (importantissime, in questo senso, l’intervista a Jacopetti presente nella prefazione e quella a Franco Prosperi nella post-fazione), il lettore può così immagazzinare gli elementi per contestualizzare (storicamente) e ri-elaborare (criticamente) la materia.

mondo cane

Mondo cane

Senza dimenticare che rimangono ovviamente dubbi e controversie (alcuni commentatori parlano de La donna nel mondo come di un collage ricavato da spezzoni non utilizzati per Mondo cane, altri invece sottolineano la separazione tra il girato delle due pellicole), Jacopetti Files permette di allargare il bacino delle riflessioni verso considerazioni di portata più ampia. Dov’è il confine tra osservazione e voyeurismo? Quand’è che il film-inchiesta diventa pretesto (come diceva Morandini) per solleticare gli istinti più vieti degli spettatori? In che misura è corretto assestare un colpo basso ricorrendo ad immagini estreme e scioccanti? E quando lo shock ha una sua funzione precisa e giustificabile e quando invece corteggia semplicemente un’idea di esperienza sensazionalistica e demistificante? Se il progetto è quello di documentare la realtà, quanto e come incide l’ineludibile mediazione dello sguardo autoriale (interessante a tal proposito quanto afferma Ernesto G. Laura a proposito di Mondo cane:«L’opera prima di Jacopetti […] dimostra “ad abundantium” come l’assenza di soggetto, di invenzione drammatica, di attori, non elimini fra la realtà oggettiva e il film che vuole rispecchiarla una mediazione insopprimibile, quella dell’autore che, come in questo caso, può a tal punto soggettivizzare quella realtà da farle perdere i contorni obiettivi e riconoscibili, forzandola e snaturandola prima con la particolare scelta del “punto di vista”, poi con la particolare organizzazione delle immagini in sede di montaggio.»6)?

africa addio

Africa addio

A completare questo vero e proprio memoralia, un ricco apparato iconografico in cui si succedono locandine e manifesti pubblicitari, fotobuste, prime pagine di quotidiani, puzzle di articoli, fotografie, persino scatti ritraenti il pubblico in piedi, fuori dalle sale, in attesa della proiezione.
Tutto, rigorosamente, d’epoca.

la donna nel mondo

La donna nel mondo

NOTE

1. Il film di Cavara, in verità, è anche un violento atto d’accuso nei confronti di un cinema che contrabbandava per documentario sequenze ricostruire o del tutto messe in scena, distorcendo la realtà all’insegna di un vero e proprio sadismo dove l’essere umano è ridotto a merce da riprendere e la morte uno shock sensazionalistico da vendere al pubblico. In questa sede, comunque, il film interessa anzitutto per una questione, se vogliamo, di natura critico-filologica, ovvero per la sua capacità di problematizzazione.

2. Purtroppo, non si può dar maggior respiro in questa sede a tali interessantissimi interrogativi. Basterà dire che ritornare criticamente su quella stagione oramai esauritasi può rivelarsi utile per inquadrare (anche solo storicamente) in maniera più ampia quella sempre più abbondante fetta di cinema contemporaneo che adotta il linguaggio del documentario in presa diretta, della docufocution, del found footage, del mockumentary.

3. Nel 1953 (lui, classe ’19) fonda  il settimanale Cronache, dalle cui cenenri nel 1955 nascerà L’Espresso

4. A. Moravia, L’Espresso, 15 aprile 1962 

5. M. Morandini, Il Giorno, 1978 

6. E.G. Laura, Bianco e Nero, 1962