Bisogna che qualcuno ci insegni a desiderare. Il cinema è l’arte perversa per eccellenza. Non ti offre quello che desideri, ti dice come desiderare.
– Slavoj Žižek
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I primi minuti di Irréversible [id., 2002] sono una precisa dichiarazione di poetica: dopo alcune ardite evoluzioni della flying camera di Gaspar Noé, penetriamo in un anonimo appartamento parigino con due uomini che conversano. Quello nudo sul letto è l’attore Philip Nahon (il macellaio di Carne [id., 1991] e Solo contro tutti [Seul contre tous, 1998]) che dichiara di essere stato in prigione per avere abusato della propria figlia. Il suo interlocutore risponde che l’incesto è un tabu dell’occidente e che è giusto assecondare i propri desideri e abbandonarsi al piacere.

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Questa scena apparentemente fuori dal contesto della narrazione è il motore di tutta la filmografia di Noé: la necessità di esplorare la parte mostruosa nascosta sotto le vesti eleganti della civiltà. La tendenza al realismo traumatico2 trova le sue origini negli anni 90 come reazione al clima culturale del postmoderno, dominato dalla smaterializzazione del reale e dal disimpegno ludico. Cinema eretico, i cui principali esponenti (Carax, Siedl, Dumont, Reygadas, Grandieux, Breillat, Von Trier e tanti altri) diventano sovversivi dell’immaginario3. Sembra proprio che il meccanismo continuo di repressione della parte istintuale porti alla perversione dello sguardo, mai dritto, a volte obliquo, più spesso strabico. Da un lato la necessità di mostrare tutto recidendo con un colpo di rasoio l’occhio dello spettatore, dall’altro l’uso di una tecnica che tende all’estremizzazione delle soggettive, ad una fotografia (del grande Benoît Debie) dai colori lisergici che tende ad esteriorizzare il caos viscerale, un utilizzo sadico dell’inquadratura fissa (la famigerata scena dello stupro di quasi 9 minuti con la Bellucci sodomizzata dal campione di lotta Jo Prestia detto La Tenia), ad una ipertrofizzazione maniacale del piano sequenza (la discesa colonscopica nel locale Rectum). Non solo un film-cervello ma anche un film-enterico che soprattutto nella prima parte abbonda di labirinti claustrofobici dalle pareti rosso-sangue che assomigliano alle anse intestinali.

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Tre personaggi principali: Alex (Monica Bellucci) oggetto del desiderio razionale di Pierre (Albert Dupontel) e di quello selvaggio di Marcus (Vincent Cassel) e tre modi diversi di approcciarsi alla vita. Lo stupro di Alex è l’evento miccia che fa esplodere la rabbia mostruosa di Marcus e che trascina Pierre nella spirale sanguinosa della vendetta. Se è vero che la vita è anche fatta di sperma, merda e sangue dobbiamo pure ammettere che Noé è attratto dalle possibilità di un uso anarchico della macchina da presa che sottolinea costantemente l’estensione del dominio della lotta dal regno economico a quello sessuale. Vedendo il mediometraggio Carne e il lungometraggio Seul contre tous non può essere tralasciato il fatto che Noé ha sempre parlato della violenza come reazione a un sistema di potere.
Il Macellaio anonimo che compare proprio nel primo frammento di Irréversible (“il tempo distrugge tutto” dice in una disperata confessione citando Ovidio4), rappresenta il vero prodotto di una società capitalista intollerante e cinica. L’antisemitismo e l’omofobia che caratterizzano questo personaggio non sono giustificati ma rappresentano il prodotto escremento, la carne putrefatta del monopolio delle lobbies economiche. A questa necessità filosofica di rappresentare la disperazione e la nevrosi sia della classe borghese che della working class si associa una tendenza ambivalente semi narcisistica che fa strabordare l’io registico in eterogenei esercizi di stile. L’apoteosi è la soggettiva post mortem in Enter the Void [id., 2009] e il 3D eiaculatorio in Love [id., 2015]. La critica accusa Noé di avere un Ego smisurato e di omologarsi nel conformismo dell’anticonformismo, aderendo a quella cultura di massa che vorrebbe stigmatizzare. In realtà l’autocompiacimento o il manierismo di Noé è un modo di rimettersi in gioco evitando di apparire un giudice sentenzioso o un moralista new age. Ed è questa una delle caratteristiche che sembra avvicinarlo alla corrente della New French Extremity5 che vede tra i maggiori esponenti autori come Bruno Dumont, Bertrand Bonello, Claire Denis, Leos Carax, Catherine Breillat, Philippe Grandieux. Il fatto di vederlo nudo, in piena erezione nel locale gay, sottende la necessità di evitare le accusa di razzismo e di omofobia che inevitabilmente sono in agguato dopo la rappresentazione infernale del locale Rectum, infestato dalla Tenia.

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Per un autore che dice di amare Kubrick e Pasolini non è assolutamente una contraddizione in termini: c’è molto Eyes Wide Shut [id., 1999] in Irréversible (si pensi alla equivalenza Cassel-Bellucci e Cruise-Kidman) e tutta la prima parte del film potrebbe essere un incubo (un doppio sogno?) di Monica Bellucci sotto il manifesto dell’ ultimate trip di 2001: Odissea nello spazio [2001: A Space Odyssey, 1968].

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Se l’atto della creazione è iniziato con la separazione della luce dall’oscurità, con il passare del tempo il tentativo di ri-enunciare il rapporto tra lo spettatore e l’immagine e, in seconda battuta, tra realtà, rappresentazione e immaginario porta i fotogrammi di Irréversible ad essere impronta di tenebra, non di luce. Nel caos del reale avviene una progressiva decostruzione del principio di realtà con la creazione di uno spazio connettivo6 che rende porosi e continuamente attraversabili i margini dello schermo. È come se gli schermi, dopo la vertigine del postmoderno, avessero abbandonato i margini dei propri perimetri geometrici per aprirsi in uno spazio ibrido in cui si sovrappongono elementi visivi, dinamiche culturali e subculturali diffuse ed extra cinematografiche, mutazioni biologiche dell’organismo corporeo7. La chiusa con lo sfarfallio fastidioso della pellicola che sembra essere uscita dal meccanismo di proiezione sembra confermare questo assunto.

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L’altro principio fondamentale è quello della crisi del soggetto. Gli esempi di Fight Club [id., 1999] e di Memento [id., 2000] avevano dimostrato una frammentazione del personaggio che diventa sempre meno monolitico e più interrogativo. Il progressivo innalzamento della soglia del visibile comporta una apologia della brutalità visiva tesa a restituire allo spettatore la percezione del dolore e della sofferenza. In un secolo di apatia e di indifferenza emotiva, l’unico modo di provocare una reazione nello spettatore e di colpirlo nei cinque sensi, portarlo in un caos organolettico che lo costringa a separare la realtà dalla sua rappresentazione. E qui che è importante inserire la influenza di Pier Paolo Pasolini su tutto il cinema estremo del nuovo millennio. La lezione di Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) sta dietro ogni inquadratura pornografica della violenza, dietro ogni provocazione sonora e visiva. Viene mostrato l’indicibile e e l’impossibile così che non si possa più distinguere cornice interna e cornice esterna della storia: chi osserva deve chiarire la propria posizione morale di fronte a ciò che sta guardando. Questa posizione esperenziale non è una provocazione autoreferenziale ma un tentativo disperato di raggiungere un livello superiore di consapevolezza. Ecco quindi la camera fissa a terra che inquadra senza stacchi la violenza subita da Alex.

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La consumazione reiterata del desiderio sessuale porta con sé una pulsione di morte che tende a ad annientare l’oggetto amato: allora anche se ciascuno è fatto dei propri desideri, pochi riescono a diventare ciò che veramente sono. Salò insegna che il sesso può diventare uno strumento di violenza sui più deboli, sui diversi, sui non omologati al sistema. E ce lo mostra con il girone della merda e del sangue, senza sconti, senza censure. Noé riprende lo stesso discorso, lo attualizza alla società dello spettacolo e ci aggiunge la CG per fare spappolare una testa con l’estintore e per inserire un pene posticcio alla fine della sodomia nel sottopassaggio della metro. Non è abiezione, è poesia utopico/ereticale.

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I primi quaranta minuti di Irréversible sono una prova durissima da sopportare: a Cannes nel 2002 molti spettatori lasciarono indignati la sala e la critica non fu tenera con l’esibizionismo dell’autore franco-argentino (un autorevole critico italiano disse che Irréversible era uno dei film più brutti e sconci di tutti i tempi8). L’intento è selettivo e perturbante: colpire in maniera viscerale per vedere dove arrivano i limiti di sopportazione. La discesa infernale nel locale gay e la ricerca affannosa del colpevole per le strade di Parigi è tutta girata dalla fine all’inizio alla maniera di Memento: cosi da partire dagli effetti per risalire alle cause. Così da destabilizzare qualsiasi punto di riferimento e provocare vertigine. La nota stilistica predominante è l’iperrealismo con una estetica che sembra prefigurare cromaticamente quella al neon9 ma che porta alla luce un nichilismo che spezza il respiro e le speranze. Detto questo e volendo quindi inserire certe licenze poetiche all’interno di un percorso autoriale, rimangono delle perplessità nella dissociazione forma/contenuto. È molto rischioso dipingere il locale degli omosessuali come un inferno dantesco e fare assomigliare questa discesa nel Rectum ad una serpeggiante colonscopia. Parolacce, fisting, fellatio, rapporti sadomaso, torture, sangue, merda, sperma. Dipingere in maniera surreale e deforme il mondo omosessuale parigino presta inevitabilmente il fianco a tutta una serie di critiche che riguardano l’etica e l’estetica. Diventa arduo per lo spettatore distinguere tra il punto di vista di Marcus (Vincent Cassel) e Pierre (Albert Dupontel) e quello di Gaspar Noé: seguendo le acrobazie della macchine da presa che disegna evoluzioni ellittiche nel cielo creando l’illusione di lunghi piano sequenza dall’alto l’impressione è che il regista faccia finta di prendere le distanze dal narrato per poi immergersi improvvisamente in un pericoloso tuffo mortale dentro l’orrore di questo inferno dei viventi. Gli stessi dialoghi tra i tre personaggi principali Alex, Marcus e Pierre sottendono una certa superficialità (solo Alex racconta di un sogno premonitore e sembra mediare tra i due contendenti maschi), una specie di abbandono quasi disperato al sesso inteso non come forma di comunicazione ma vero abuso di potere di un corpo sull’altro. Pasolini per primo aveva identificato: «l’ansia conformistica di essere sessualmente liberi, trasforma i giovani in miseri erotomani nevrotici, eternamente insoddisfatti (appunto perché la loro libertà sessuale è ricevuta, non conquistata) e perciò infelici. Così l’ultimo luogo in cui abitava la realtà, cioè il corpo, ossia il corpo popolare, è anch’esso scomparso»10. E allora diventa più esplicito l’intento eretico di Gaspar Noé la cui filosofia sembra combaciare con quella di Marguerite Duras: «Faccio del cinema perché non mi piace quello che mi si fa vedere. Fare del cinema è essere contro il cinema che vi mostrano….»
Quando nel locale Rectum osserviamo il groviglio di corpi e di genitali avvertiamo distintamente una sensazione di caos pulsionale: l’abbandonarsi al sesso segna il passaggio dalla disgregazione sociale al cupio dissolvi, un movimento autodistruttivo che poggia sulla impossibilità a fare combaciare spirito apollineo e spirito dionisiaco, nascondendo un incolmabile vuoto dell’anima. Non è un caso che il personaggio più razionale dei tre, Pierre (Albert Dupontel), compia l’azione più terrificante del film infierendo con un estintore sul cranio di un potenziale sodomizzatore dell’amico Marcus.

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Il sonoro con la scelta di frequenze bassissime (28 hz) altamente disturbanti e la tecnica ondivaga di ripresa hanno il preciso scopo di nauseare lo spettatore già messo ko dai movimenti della steady-cam. La musica tecno del locale e quella della festa contrastano in maniera voluta con Mon Menage a Moi catata da Etienne Daho: queste note malinconiche sembrano sugellare l’iniziale idillio tra Marcus ed Alex nel loro appartamento e assumono una valenza quasi profetica. Diventa evidente che il percorso a ritroso di Irreversible dovrebbe riconsegnare alla memoria un tempo incontaminato fatto di luce, di verde, di spruzzi d’acqua, di bambini che giocano, di Alex che legge in pieno relax An Experiment with Time di John William Dunne, mentre la musica di Beethoven (la famosa Sinfonia numero 7) accompagna i giri elicoidali della macchina da presa in un circolo quasi celestiale in cui tutti gli elementi sembrano essere in armonia con l’universo. È la sorprendente conclusione del film, una oasi di pace che ben presto il tempo corroderà, un paradiso terrestre non ancora contaminato dal peccato originale umano.

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Se si riesce ad arrivare al finale sembra evidente che le provocazioni di Noé sono funzionali a una visione del mondo disperata, in cui la carne e il corpo sono mostrati in contrasto con un paradiso perduto in un altro luogo e in un altro tempo; di questo Eden primordiale noi conserviamo un tenue e flebile ricordo, una piccola fessura o un buco nero in cui tuffarsi per ricreare quella condizione di serenità prima della caduta sulla terra, prima della rivolta nel dolore. Quelli di Gaspar Noé sono veri e propri angeli perduti, bambini alla ricerca di un ventre materno che li accolga in un Nostos uterino che ripropone una primitività metafisica fatta di purezza. E in questo viaggio a ritroso, in cui viene ridefinita la relazione tra il soggetto e l’oggetto del loro desiderio, diventano un po’ come il regista, soli contro tutti.

Pornography is thus just another variation on the paradox of Achilles and the tortoise that, according to Lacan, defines the relation of the subject to the object of desire.
– Slavoj Zizek11

NOTE

1. Dichiarazione contenuta nel documentario The Pervert’s Guide to Cinema [Sophie Fiennes, 2006].

2. V. Buccheri, La scienza del sogno, Edizioni Il Casoro, 2010.

3. P. Bertelli. Cinema dell’eresia. Gli incendiari dell’immaginario, NDA Press, 2005.

4. Ovidio, Tempus Edax Rerum. Metamorfosi XV, 234.

5. T. Palmer. Brutal Intimacy: Analyzing Contemporary French Cinema, Wesleyan University Press, Middleton CT. 2011

6. P. Pisters, The matrix of visual culture. Working with Deleuze in film theory, Stanford University Press, 2003.

7. F. Marineo, Il cinema del terzo millennio. Immaginari, nuove tecnologie, narrazioni, Piccola Biblioteca Einaudi, Mappe, Torino, 2014.

8. A. Crespi su «L’Unità», https://archivio.unita.news/assets/main/2002/05/25/page_020.pdf

9. Cfr. L. Baldassari, L’estetica “al neon” nel cinema contemporaneo: appunti per una mappatura, editoriale per Lo Specchio Scuro.

10. P. P. Pasolini, Lettere Luterane, Giugno 1975.

11. Da The Pervert’s Guide to Cinema.