I film evangelici “non canonici” o “apocrifi”, nel senso in cui sono ritenuti apocrifi testi come il Ciclo di Pilato,1 non sono mai stati frequenti nel cinema italiano, per ovvie ragioni politiche. Difficile pensare in effetti che il nostro cinema, strutturalmente e culturalmente, anche nelle sue propaggini più dissacranti, potesse produrre opere come Sebastiane [id., Derek Jarman, 1976] o L’ultima tentazione di Cristo [The Last Temptation of Christ, Martin Scorsese, 1988]. Se si escludono ovviamente artisti “ai margini” come Mario Schifano o Carmelo Bene (che parodia l’Ultima Cena nella sua Salomè [id., 1972]). L’eccezione scandalosa nel cinema d’autore è come sempre quella di Pasolini che prima subisce un processo per vilipendio alla religione a causa del cortometraggio La ricotta [id., 1962], inserito nel film a episodi Ro.Go.Pa.G, in cui la crocifissione del Salvatore viene “proletarizzata”, e il regista Orson Welles pronuncia una invettiva feroce contro borghesia e intellettuali del Belpaese, e poi produce un film in realtà profondamente cristiano, il Vangelo secondo Matteo [id., 1964], nel quale il messaggio cristiano è letto sub specie Marx, o addirittura in ottica anarco-rivoluzionaria (ma rispettando le Scritture: “non porto la pace ma la spada” lo dice lo stesso Gesù, non è certo invenzione del regista).2 Qualcosa in comune con questa lettura socio-politica pasoliniana del messaggio evangelico informa anche un film dimenticato come L’inchiesta di Damiano Damiani del 1986, non certo neofita di pellicole militanti, che nasce da un soggetto vecchio di decenni a firma Ennio Flaiano e Suso Cecchi d’Amico rimasto comprensibilmente irrealizzato.3
Il protagonista è l’inquisitore Tito Valerio Tauro (Keith Carradine) che arriva in Giudea su ordine dell’imperatore Tiberio per indagare sulla morte del giudeo che chiamano Gesù e mettere alle strette Ponzio Pilato (Harvey Keitel). Dietro questa struttura a giallo c’è una verità storica: Tiberio fece davvero condurre una indagine durante il suo impero sul nascente movimento cristiano che metteva in discussione il potere romano nelle colonie ebraiche; il problema non è infatti di natura teologica ma tutto temporale, poiché i romani – come ammette lo stesso Tauro – consentono ai loro sudditi di professare la religione che preferiscono, l’importante è la fedeltà al Cesare e il versamento delle tasse. Una concezione paradossalmente molto più moderna di ciò che verrà dopo, e questo perché il messaggio di Cristo ha dei chiari intenti ed effetti politici, checché ne hanno voluto dire alcuni teologi del “doppio magistero” nei secoli a venire, da qui l’urgenza di un intervento inquisitorio.

Nonostante ciò a Damiani non interessa la ricostruzione storica degli eventi quanto mettere in scena un dibattito moderno sulla natura del potere e sullo scandalo del “socialismo” evangelico. Nel corso del suo ragionare sofistico Criside, l’amico greco di Tauro, arriva ad affermare “Comincio a pensare che questo Gesù non esista”, e Giulia Procula, affascinata dall’escatologia cristica, si chiede che senso abbia la vita senza un “dopo” in cui credere; tutti i personaggi parlano un linguaggio moderno e condividono dubbi moderni.
Cerchiamo di capire allora se il film di Damiani sia un film “religioso” e quale sia la lettura fornita del fenomeno cristiano. In primo luogo, come si è già detto, viene dato risalto al lato sociale del messaggio evangelico: emblematica la figura di Ennio Minore, giovane soldato romano che colpito dalle parole di Cristo sentite dai suoi discepoli durante l’inchiesta, decide di smettere di uccidere per lavoro e rifiutare di prestare fedeltà a Roma. Tauro empatizza col soldato ma non lo comprende: anche lui è rimasto colpito dalle parole cristiane ma come si può concordare con una favola? Nulla di ciò che dice il Cristo può avere attinenza con la realtà o concretamente realizzarsi, perché gli uomini non sono fatti come dicono questi negatori sia della Legge Ebraica che della Legge di Roma. Davanti ad affermazioni come “perdona i tuoi nemici” o a gesti come quello di andare incontro al traditore Giuda e consentirgli di compiere il misfatto, tutte informazioni ricavate interrogando i testimoni, la logica di Tauro collassa: perché si dovrebbe perdonare chi ti odia? Perché permettere che si compia un tradimento svelato anzitempo? Per comprendere l’illogicità del messaggio cristiano c’è bisogno della mediazione greca, dei sofismi di Criside, che avanza ipotesi ardite: forse il nazareno voleva con la sua morte “essere di esempio a colui che lo seguono” ed era necessario quindi che si compiesse il sacrificio. La logica del sacrificio di sé, evitando di schiacciare il nemico, è incomprensibile per un romano, mentre il greco può raggiungere questa verità che è però lontana da quella che sappiamo essere la spiegazione teologica: non è tanto il sacrificio che si deve compiere, quanto il miracolo della resurrezione, senza il quale la religione cristiana risulta priva di senso. Così anche la logica di Criside ha un limite: è naturalista, non ammette il miracolo.

Lo scetticismo di Tauro è quindi sia di natura empirica che di natura socio-politica (“La legge romana non prevede la resurrezione” afferma); è il modello etico cristiano che – per quanto desiderabile – non è attuabile: e d’altronde cosa sarebbe dello Stato o dell’Impero se venisse applicato? Non v’è dubbio: l’anarchia. Su questo Tauro è chiaro, per mezzo di lui parla l’interpretazione maggioritaria sulla caduta di Roma che vede nel cristianesimo il colpevole primario. L’inquisitore tenta di avvisare l’ottuso Pilato che i soldati potrebbero smettere di obbedire e i giudei trovare motivi per ribellarsi e che il messaggio dell’uomo che ha fatto torturare e crocifiggere è incompatibile coi loro valori, con la loro volontà di dominio e assoggettamento. Le parole di Tauro avrebbero quindi, nella finzione cinematografica, salvato l’Impero se fossero state ascoltate, ma Pilato impedisce perfino che i messaggi dell’inquisitore arrivino a Tiberio, il quale si fida del suo inviato.
Il Tauro di Carradine è fedele all’imperatore, propugna una concezione quasi hobbesiana del potere, ma è dotato di una magnanimità che gli viene dalla sua natura raziocinante (dona monete ai mendicanti perché “tanto non mi costa nulla”, si affeziona al suo schiavo perché ne apprezza gli argomenti). Al contempo è un amante della verità, la cerca con ogni mezzo, fino ad attaccare frontalmente, se necessario, quel potere che vorrebbe preservare. Il suo compito è scoprire dove è finito il corpo di Gesù, sparito dal sepolcro e secondo i suoi discepoli risorto: non crede al miracolo, né è direttamente interessato alla vicenda (“eseguo solo il mio mandato”) ma non esita ad attaccare Pilato e i suoi quando provano a ingannare il popolo ebraico spacciandogli un cadavere per un altro. Non vuole un compromesso o una soluzione politica, come gli suggerisce truffaldino e tormentato il Procuratore. Ma il suo amore per la verità è ingenuo: brucia davanti al popolo il cadavere finto, ammettendo l’inganno del potere, e subito scoppia una rivolta durante la quale per proteggerlo muore il suo schiavo Marco.
Tauro sembra avere una idea chiara di cosa la verità sia, a differenza sia di Pilato che nel Vangelo di Giovanni chiede a Gesù “cos’è la verità”, che dello stesso Gesù che non gli risponde. E infatti Pilato è un uomo contemporaneo, novecentesco, costantemente roso dal dubbio e per questo alla fine batte la via nichilista, sceglie di non scegliere e preferisce la menzogna a una verità che non si può trovare, vede nel relativismo una scappatoia eticamente discutibile (perdendo per questo il rispetto e l’amore di Claudia) ma pragmaticamente efficace. Tauro – proseguendo su questi binari – è allora un “ottocentesco”, un razionalista classico. E forse lo è anche Damiani il quale non solo elimina ogni evidenza sovrannaturale dalle vicende, come già Pasolini, evitando di svelare se le credenze dei cristiani siano ben poste o meno, ma fornisce al suo protagonista e allo spettatore una soluzione razionale al mistero della sparizione del cadavere.

Un indovino, interpretato dal mago Silvan,4 mostra a Tauro come sia possibile causare uno stato di morte apparente e i due arrivano addirittura a eseguire un esperimento: crocifiggono un gruppo di persone e l’indovino dà un particolare infuso solo a uno di loro. Quando sono tutti morti mostra poi che dopo qualche ora il malcapitato che ha ricevuto l’infuso si risveglia: un vero e proprio test laboratoriale con gruppo di controllo. Tauro, finalmente certo di possedere la verità, va a comunicare a Pilato che Gesù è ancora vivo e che il succo del suo messaggio, compresa l’immolazione, non è altro che una messinscena per ingannare i creduloni e minare alle basi l’ordine costituito. Nel frattempo il giudeo sopravvissuto all’esperimento viene ucciso: ormai non serve più. La verità dell’inquisitore, quella empiricamente controllabile, non fa sconti, non si pone dubbi etici. Ma è anche l’unica soluzione sensata al mistero offerta dal regista, la chiusura della parte “gialla” della narrazione.

Tauro allora parte alla ricerca del nazareno per arrestarlo e il film vira in un percorso di redenzione in cui il romano si accorge che la verità del messaggio cristiano è nella speranza: probabilmente la credenza soprannaturale che la muove è fallace ma ha realizzato una comunità di persone che si aiuta a vicenda e si prende cura dei lebbrosi. Avviene a questo punto un plot twist peculiare: i discepoli scambiano Tauro per il Salvatore, e l’inquisitore che vorrebbe perseguitare Gesù finisce per identificarsi a tratti con esso. E d’altronde fu proprio Cristo ad affermare “io sono la Via, la Verità, la Vita”: Tauro nella sua disperata ricerca filosofica è come se compiesse un percorso spirituale. Un percorso monco perché non c’è conversione né accettazione, ma lo spirito sociale che anima la sua scoperta è forse accolto. Così quando ritrova Pilato e lo avvisa ancora una volta, con maggiore cognizione di causa, che lo spirito evangelico, e non solo la lettera, è un pericolo per la tenuta dell’Impero, è già un alieno, un diverso, un nemico di quel potere che ha in odio la verità. Pilato è pronto a creare un’altra menzogna: “tu non sei Tauro, Tauro è stato ucciso dai cristiani” gli dice e poi lo fa trafiggere.
L’inchiesta è quindi il Vangelo di Pasolini dal punto di vista dei “cattivi”: una disamina su come l’anelito rivoluzionario, il “porgi l’altra guancia” vengono percepiti da parte di coloro che hanno fatto della ferocia leonina un criterio sociale e di ordine pubblico. Ma non solo: Tauro muore con le sue verità in mano, nella frustrazione di non essere ascoltato, nell’impossibilità di comunicarle, avendo perseguito un sacrificio dichiarato e lampante (come aveva profetizzato Claudia) in nome di principi per lui sacri. Muore insomma come un Cristo anti-cristiano, la versione “forte” del pensiero debole della religione rivelata per come lo vedeva Nietzsche. Il potere allora rimane semplice meccanismo di sopraffazione e non garante di ordine e di giustizia, non latore di “mali necessari” per perseguire un fine, ma fine esso stesso. La realpolitik di Tauro è incompatibile sia con l’ingenuità cristiana sia con l’arroganza pilatesca. Forse la vittima di ogni secolo e di ogni epoca è, sembra dirci Damiani, la razionalità.
Letteratura:
Una possibile fonte sul tradimento di Giuda come passaggio necessario e calcolato per l’affermazione del Cristianesimo, previsto consapevolmente dallo stesso Gesù, è L’opera del tradimento di Mario Brelich (1975), peraltro anch’esso strutturato come un giallo in cui Auguste Dupin, il detective di Poe, cerca di dipanare a distanza di millenni il “mistero di Giuda”. Ma è plausibile che nessuno degli autori ignorasse idee simili espresse da un dissacratore cristiano come Giovanni Papini in Storia di Cristo (1921) e Il Diavolo (1958).
L’interpretazione della figura di Pilato ha qualcosa della frustrazione della versione di Bulgakov (il capitolo XXV del Maestro e Margherita in particolare) ma ancor più prende a piene mani dal Ponzio Pilato del 1962 di Roger Caillois in cui il Procuratore non può mai ascoltare la sua coscienza perché il fanatismo religioso e il potere giudaico, nella terra che deve amministrare, richiedono continue soluzioni politiche intermedie; e nel film sono proprio questi i motivi principali della messinscena del finto cadavere, che dovrebbe calmare la popolazione autoctona, come è evidente dalle conseguenze nefaste che lo svelamento della verità provoca.
Ma non si può non nominare l’enorme eco mediatica che dieci anni prima dell’uscita del film ebbe Ipotesi su Gesù di Vittorio Messori, saggio con pretese storiografiche “di parte cattolica” discusso ampiamente su giornali e rotocalchi e letto da moltissimi italiani. L’inchiesta sembra quasi una risposta laica a certi temi là presenti.
NOTE
1. Costituito da testi esclusi dal canone biblico ma tutti inerenti la figura del Procuratore della Giudea o le vicende immediatamente successive alla morte di Gesù dal punto di vista romano. È formato da Sentenza di Pilato, Atti di Pilato (detti anche Vangelo di Pilato), Paradosis di Pilato, le lettere a Erode e Tiberio, la Vendetta del Salvatore, la Morte di Pilato e la Guarigione di Tiberio.
2. Ancor più radicale è l’esempio di Teorema [id., 1968] (che diverrà anche uno dei primi esempi della fase sperimentale della narrativa pasoliniana) che, per quanto apprezzato proprio dalla critica cattolica dell’epoca tanto da ricevere il premio OCIC, è pur sempre la versione sessuale della venuta di dio sulla terra.
3. La sceneggiatura definitiva è del regista con Vittorio Bonicelli, già autore affermato di adattamenti biblici perché collaborò alla Bibbia di John Huston [The Bible: The Beginning, 1966] e ai televisivi Atti degli Apostoli di Roberto Rossellini [id., 1969].
4. Scelta non casuale: il noto prestigiatore, similmente a come avviene nel film, ha messo la sue competenze al servizio di un’associazione come il CICAP, volta allo smascheramento dei trucchi che si celano dietro a presunte esperienze paranormali.