Un breve excursus storico sulla figura dello shonen
Fin dai suoi albori l’animazione giapponese ha conferito un ruolo fondamentale alla figura del “ragazzo” (shonen, in giapponese). Un elemento che ha dunque caratterizzato cento anni di produzioni cinematografiche e televisive, evolvendosi e acquisendo caratteristiche diverse a seconda del periodo storico di riferimento e diventando il catalizzatore di valori, paure e disagi di un popolo intero. Non a caso il primo personaggio animato a diventare celebre in Giappone è proprio un ragazzino: Momotarō, protagonista di svariate produzioni di stampo nazionalistico e propagandistico, nonché del primo lungometraggio animato realizzato nel paese, Momotarō – Il guerriero divino venuto dal mare [Momotarō Umi no Shinpei, 1945] diretto da Mitsuyo Seo. Saranno poi numerosi i giovani protagonisti delle opere di uno dei padri fondatori della moderna animazione giapponese, il “Dio del manga” Osamu Tezuka, tra cui ricordiamo il fondamentale Astro Boy [Tetsuwan Atomu], per la prima volta trasposto su schermo nel 1963.
Sopra: Momotarō, simbolo del Giappone imperiale e dei suoi valori, colui che scaccia l’invasore dalla patria. Sotto: Astroboy, il robot dai sentimenti umani che protegge l’umanità, creato dal dottor Tenma su immagine del figlio morto.
Prima di addentrarci nel panorama degli anni ’90 di Neon Genesis Evangelion [Shin seiki Evangerion, creata da Hideaki Anno, 1995], è importante rilevare come, nei due prolifici decenni precedenti (in cui si è verificata la “prima ondata” di diffusione dell’animazione giapponese nel mondo), la figura del ragazzo abbia avuto un ruolo fondamentale per rappresentare una generazione, quella post-bellica, priva di valori e di fiducia nel futuro, profondamente anti-militarista, segnata dalla paura del nucleare e in perenne conflitto con i propri padri; tutte tematiche che segneranno profondamente la produzione di questo periodo.1 Fondamentale è però sottolineare come saranno la forza e determinazione di questi shonen a garantire loro un futuro all’interno di un mondo allo sfascio. E questo a prescindere dal sostegno dei padri, visti come la prosecuzione della generazione bellica degli anni ’30 e ’402. A veicolare tale scala valoriale sarà spesso la fantascienza, con la nascita dei Robot Giganti creati dal maestro Go Nagai, o dello Spokon, il genere sportivo.
Alcune iconiche opere che rappresentano i temi cardine di queste decadi. Dall’alto al basso: Rocky Joe [Ashita no Jō, 1970-1971], Mobile Suit Gundam [Kidō Senshi Gandamu , 1979-1980], Akira [id., 1988].
Shinji, un protagonista atipico
L’arrivo di Evangelion nel panorama animato giapponese segnerà profondamente la produzione successiva per molteplici ragioni. Qui ci preme analizzare l’influenza esercitata sull’evoluzione della figura dell’otaku, per poi riflettere in modi più generali sui legami che intercorrono tra gli otaku stessi e la rielaborazione di alcuni avvenimenti tragici della storia nipponica.
Il nostro lavoro si aprirà quindi con l’analisi di Neon Genesis Evangelion e si concluderà con quella di Your Name. [Kimi no na wa, Makoto Shinkai, 2016], opere accomunate dalla rappresentazione di una minaccia atomica.
Prima di parlare di Evangelion, però, occorre fare ancora un passo indietro per sottolineare come le nuove arti figurative giapponesi (cinema, animazione, manga) abbiano sovente rielaborato i traumi e le catastrofi che hanno segnato la storia del paese. Non sorprende quindi, nella lunga storia degli anime, la reiterata presenza diretta o indiretta dei disastri nucleari di Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto 1945): si vedano Akira [id., 1988] di Katsuhiro Ōtomo, che riflette metaforicamente sulla paura del nucleare, e Gen di Hiroshima [Hadashi no Gen, 1983] di Keiji Nakazawa che invece rappresenta le tragiche ultime ore di Hiroshima, e le loro infernali conseguenze, in modo crudo e realistico.
Sopra: Akira, l’esplosione che distrusse Tokyo nella terza guerra mondiale. Sotto: Gen di Hiroshima, gli interminabili attimi di terrore dell’esplosione di Hiroshima.
Arriviamo quindi agli anni ’90 di Neon Genesis Evangelion. Rispetto ai due precedenti, in questo decennio la produzione animata risulta complessivamente più svagata, sia nelle tematiche che nelle atmosfere. Se negli anni ’80, grazie al successo di opere come Shoujo e Shonen3, prende il via una progressiva mitigazione dei toni, sarà proprio a partire dagli anni ’90 che questi prodotti più spensierati diverranno una quota maggioritaria della produzione nazionale.4
Ci troviamo quindi, almeno nel mondo dell’animazione e del fumetto (e in contrasto con una realtà caratterizzata da una profonda stagnazione economica), all’interno di un clima più leggero, dove le forze nemiche sembrano incarnare un male assoluto e autoriferito e non più metaforizzare le problematiche nazionali.
L’opera di Anno si distacca profondamente da questo registro, ispirandosi invece all’immaginario mecha5 degli anni ’70 e ai maestri degli anni ’80 come Katsuhiro Ōtomo, Hayao Miyazaki e Mamoru Oshii, presso cui l’autore si è formato. Troviamo quindi negli impact di Evangelion (le devastanti esplosioni causate dagli Angeli6 responsabili della distruzione di gran parte del pianeta) un riferimento alle catastrofi nucleari, cosa raramente rintracciabile nell’animazione degli anni ’90. E una simile e rinnovata complessità è presente anche nel protagonista Shinji: orfano della madre e figlio di Gendou Ikari, il capo della Nerv (l’agenzia che nell’opera si occupa di contrastare gli attacchi da parte degli Angeli), si ritrova a dover pilotare le unità Eva, i grossi mecha con cui difendere l’umanità e Neo-Tokyo 3 (citazione alla Neo Tokyo di Akira).
Di fatto, una delle grandi innovazioni di Anno riguarda proprio la figura del protagonista: se i giovani che avevano finora caratterizzato la storia dell’animazione giapponese erano personaggi predisposti all’azione, Shinji si pone invece in una specie di stasi perenne, è quasi catatonico, psicologicamente tormentato da preoccupazioni e dubbi irrisolvibili (mostri peggiori di quelli che dovrebbe combattere a bordo del suo mecha). Shinji in uno dei vari momenti di riflessione e sconforto.
Una simile caratterizzazione si ritrova forse nel precedente Mobile Suit Gundam [Kidō Senshi Gandamu , 1979-1980] di Yoshiyuki Tomino. Shinji e Amuro, protagonista di Mobile Suit Gundam, hanno infatti caratteristiche simili: rifiutano categoricamente la guerra, vivono un tormentato rapporto con l’autorità paterna e provano un profondo disagio interiore che li ostacola durante i combattimenti a bordo dei rispettivi mecha. Come scrive A. Fontana nel suo La bomba e l’onda. Storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima: «Il taglio psicologico e la proposizione di un protagonista intimamente problematico è la chiave per fare un’animazione capace di riflettere brillantemente sui temi recenti e non.»7
Questa era l’innovazione apportata da Tomino all’interno del genere mecha, ripresa e rielaborata da Anno: «le fantasie grafiche degli anime robotici riflettono simbolicamente la storia che abbiamo delineato. Esse riproducono le angosce e i desideri, la tensione fra il Sè a l’Altro e l’agenda ideologica che hanno caratterizzato la modernizzazione giapponese, anche se defamiliarizzando questa storia e riscrivendola all’interno di una cornice mitologica.»8
Ma, osserva Ghilardi: «se Amuro Rei non riesce comunque a scovare un senso nella guerra e nelle battaglie combattute – perchè di fatto un tale senso non esiste – guadagnerà almeno la comprensione della propria esistenza; comprensione non fine a se stessa, ma anche portatrice di verità per gli altri.»9, Shinji come si comporterà di fronte a queste sfide, cosa ne trarrà? Difficile equiparare le differenti soluzioni prospettate dalle due opere, visto il complesso apparato filosofico e psicoanalitico di Evangelion. Quest’ultima, nel finale, relega la distruzione globale a una dimensione unicamente interiore ed evita di rappresentare iconograficamente la catastrofe (importante sottolineare che Anno con The End of Evangelion [Shin Seiki Evangerion Gekijō-ban: The End of Evangelion Air/Magokoro wo, Kimi ni, 1997], rifacimento degli ultimi due episodi della serie animata, ricreerà un’ulteriore versione del finale, questa volta molto più fedele all’iconografia del genere). Si tratta di una scelta rivoluzionaria per il genere, poi largamente imitata.
Caratterizzati da una visionaria carica sperimentale, i 40 minuti finali di Evangelion materializzano i pensieri e i tormenti della coscienza di Shinji10. La lotta non è qui tra il singolo e una minaccia proveniente dall’esterno, ma è pienamente intima e spirituale. I dilemmi che hanno assillato Shinji per tutta la serie coinvolgono ora il destino dell’umanità intera. In tal modo viene evidenziata la duplice funzione del personaggio: da una parte rappresentazione e incarnazione della gioventù giapponese dell’epoca, dall’altra simbolo della necessità di concepire una società capace di soddisfare i bisogni e garantire la felicità del singolo (tema caro a diversa produzione nipponica). Shinji è quindi in Evangelion individuo che si fa collettività. Come scrive Fontana:
Si capisce chiaramente come l’intera opera sia un’analisi, una dedica, l’approfondimento di un universo adolescenziale ancora sconosciuto ai più, ma si pone anche come scossone di una società, quella giapponese, spesso troppo ingessata nella formalità dei gesti quotidiani, nel rapporto fra gli individui, nel comunicare emozioni. Il conflitto in cui i protagonisti di Evangelion sono catapultati, non provoca, come nella maggior parte dei casi, una spinta verso il coraggio o verso la conoscenza del sè, quanto l’acuirsi di un disagio esistenziale che affonda le sue radici nello stesso tessuto sociale.11
In effetti, Evangelion è un’opera che nasce proprio dalla crisi economica degli anni ’90, causata da una bolla speculativa successiva alla crescita del decennio precedente, che scardina quasi definitivamente gli antichi valori della società giapponese e coltiva una generazione priva di qualsiasi ideale.12
Diventano sempre più frequenti i casi di giovani hikikomori e gli otaku13 vengono apertamente stigmatizzati14 dai media dopo i fatti della metropolitana di Tokyo nel 1995, quando la setta Aum Shinrikyo, fondata da Shoko Asahara, rilascia del veleno Sarin uccidendo 12 persone e intossicandone altre 6000. Questo episodio di cronaca nera (destinata ad avere un forte impatto nella storia degli anime) mostra i pericoli di una generazione chiusa in se stessa e priva di efficaci guide, spesso cercate anche all’interno di contesti di estremismo religioso. Lo stesso Anno inserisce simili suggestioni nella sua opera, perché Shinji non è altro che il prototipo dell’otaku degli anni ’90: un ragazzo tormentato da demoni interiori che lo rendono inerme (e quindi inutile alla società), senza guida politica, genitoriale e sociale, chiuso nella sua stanza a immaginarsi un mondo alternativo informato dai modelli proposti dagli amati anime, manga e videogiochi (Shinji è più spesso impegnato a nascondersi invece che combattere a bordo dell’Eva). Come scrive Bartoli:
Fuggire dalle responsabilità create dalla crescita: questa è inizialmente la linea di condotta tenuta da Shinji, il quale inoltre si dimostra non in grado di costruire sane relazioni interpersonali (otaku infatti signiica ‘la vostra casa’, modo di rivolgersi al prossimo deferente e distaccato). Anno esorta cosi i giovani dell’epoca a rompere la gabbia di cristallo in cui sono rinchiusi, guardando con fiducia al prossimo e alla generazione dei padri, la cui stigmatizzazione appare semplicemente frutto del rifiuto dei giovani di crescere.15
Il finale dell’opera assume una valenza positiva: Shinji rifiuta il Perfezionamento dell’uomo, che avrebbe ridotto l’umanità a una gigantesca entità pensante collettiva, accetta sorprendentemente di affrontare di petto la vita e capisce l’importanza delle relazioni personali da cui si era fino a quel momento schermato. Di rimando, le stilizzate e tormentate linee che tratteggiavano la figura di Shinji – scelta grafica di grande essenzialità -, trovano finalmente stabilità nelle inquadrature finali della serie. Si pensi alla scena delle congratulazioni, dove la ritrovata tranquillità dei personaggi coincide con un ritorno ai colori naturali e a linee più morbide. Il terzo impact, che avrebbe cambiato per sempre l’umanità, viene quindi sventato nel momento in cui Shinji supera il proprio status di otaku (categoria sociale vista senza alcuna simpatia da Anno).
Durante il viaggio nella psiche di Shinji l’animazione torna ai suoi albori, semplice perché spoglia i pensieri più primitivi e puri del ragazzo.
Esempio delle forme sperimentali della messa in scena di Anno, volte a rendere la confusione di Shinji.
Una delle inquadrature finali della serie dove le varie persone conosciute da Shinji nella serie, e in quel momento unite tutte in un’unica entità, si congratulano con il protagonista per la scelta che riporterà tutto alla normalità e per aver sconfitto i suoi demoni.
Gli anni 2000: la vittoria della cultura pop e l’otaku come centro dell’animazione giapponese
Come abbiamo già accennato, gli anni ’90 sono stati un periodo di produzioni dai toni sicuramente più leggeri rispetto al passato. E lo stesso vale per il nuovo millennio. Inoltre, gli anni ’90 coincidono con una seconda grande “ondata” di diffusione degli anime nel mondo e con la sempre maggiore produzione di gadget e merchandising legati alle serie più popolari.16
Se la “prima ondata” portò in occidente i grandi classici mecha, come la già citata Mobile Suit Gundam, e le opere di Go Nagai e Leiji Matsumo come Mazinger Z [Majingā Zetto, 1972-1974] e Capitan Harlock [Uchū kaizoku kyaputen Hārokku, 1978-1979], gli anni ’80 e ’90 regalano al mondo una rinnovata immagine del Giappone con i nuovi battle shonen17, con le opere comiche di Rumiko Takahashi, con slices of life18 strappalacrime e con gli shoujo che portano alla ribalta la forza femminile di una nuova categoria di eroine. Dragon Ball [Doragon Bōru, 1984], I cavalieri dello zodiaco [Seinto Seiya, 1985], Ranma 1/2 [ Ranma ni bun no ichi, 1987] o Sailor Moon [Bishōjo senshi Sērā Mūn, 1991] diventano alcuni dei casi più di successo in Giappone e in vari paesi nel mondo.
Questa “ondata” di opere che nascono negli anni ’80 e ’90 cresce capillarmente, cambiando per sempre l’immaginario dell’animazione giapponese. Gli eroi dell’animazione non sono più dilaniati da ferite interiori ma sono ora sorridenti e senza ambiguità. Nei mondi rappresentati iniziano a scomparire le metropoli distrutte e i paesi in rovina, sostituiti da floride società all’avanguardia. Mentre, come già accennato, il Male assume una valenza quasi astratta, spesso senza un legame con le vicende reali. Chiaramente, però, seppur più rare, continuano a esistere opere più adulte e complesse, e non è da sottovalutare la presenza di elementi oscuri anche in prodotti disimpegnati e scanzonati (proprio sulla scorta di Evangelion): questa caratteristica sarà infatti il punto di avvio per la NAS (nuova animazione seriale), un insieme di opere di autori che rivoluzioneranno i canoni tecnici e stilistici dando vita a capolavori come Cowboy Bebop [Kaubōi Bibappu, 1999-2000] di Shinichirō Watanabe o Serial experiment Lain [id., 1998] ideato da Yoshitoshi Abe e diretto da Ryūtarō Nakamura.
La produzione animata seriale (e quella dei manga, con cui ha uno stretto legame) si sposta comunque con prepotenza verso il nuovo immaginario più svagato e leggero e negli anni ’00 ha creato un gigantesco mercato che ha avuto, e continua ad avere, ripercussioni addirittura sul mondo reale. La cultura pop giapponese diventa quindi simbolo della Nazione nel mondo intero, la cultura otaku che negli anni precedenti era stata fortemente criticata viene ora riabilitata e utilizzata come strumento di promozione culturale e pubblicitaria, influenzando pesantemente mode e abitudini delle nuove generazioni di giapponesi e creando nelle grosse città veri e propri distretti19 dedicati alla cultura otaku e geek20.
Come scrive Calorio:
Nel contesto della pop culture, invece, gli effetti del connubio tra fandom e risorse tecnologiche furono decisamente più visibili ed estesi, tanto da spingere il Giappone stesso, non solo a livello di industria culturale e dell’intrattenimento, ma anche sul piano delle scelte governative, a rivedere le proprie politiche di esportazione culturale al fine di riconquistarsi un posto nell’economia mondiale tramite un approccio basato non sulla forza militare, né su quella economica, bensì su forme di soft power. 21
Un esempio di questo atteggiamento lo ritroviamo nell’incredibile scelta del Ministero degli Esteri di nominare personaggi di fantasia quali Astroboy, Doraemon ed Hello Kitty come ambasciatori rispettivamente della difesa, dell’animazione e del turismo. Di fatto, in Giappone, oggi, quasi ogni località turistica, paese o stazione ferroviaria possiede una “mascotte” presa dall’immaginario pop. Non bisogna poi dimenticare che, durante la cerimonia del passaggio di consegne per le Olimpiadi di Tokyo 2020, il primo ministro Shinzo Abe si è presentato con il berretto di Super Mario: ormai la cultura pop ha, agli occhi del mondo, una pervasività pari alla cultura giapponese tradizionale che dall’800 in poi ha affascinato cittadini creando il fenomeno del japonisme22.
L’ex primo ministro Shinzo Abe durante la cerimonia sopra citata.
Nel nuovo millennio, è diventato molto difficile capire quanto l’animazione influenzi direttamente la realtà o quanto siano le scelte commerciali e governative a modificare l’immaginario, dato il loro stato di simbiosi apparente. Agli occhi del mondo, infatti, il Giappone vorrebbe apparire come un’autentica fabbrica dei sogni, una enorme Disneyland (viene in mente il sogno dello stesso Walt Disney, che arrivò a creare un mondo “fuori dal mondo reale” attraverso la costruzione dei suoi grandi parchi tematici; tentò addirittura di costruire una vera e propria città – Celebration, in Florida, che attualmente conta circa 7500 abitanti – allo scopo d’impiantare lo stile di vita e gli ideali Disney nella vita quotidiana; progetto utopico che per certi versi è stato ripreso nei distretti pop delle grandi metropoli giapponesi a cui abbiamo poco fa accennato).
Protagonista fuori e dentro l’animazione, in questo periodo, è proprio l’otaku: acquirente e, al contempo, protagonista di svariata produzione anime e manga. Negli anni 2000 la figura dell’otaku diventa quella di un ragazzo semplice, spesso imbranato o impacciato, una persona normale, amante della cultura pop e geek, spesso in difficoltà con l’altro sesso: «They are no longer perverts or potential sociopaths; they are isolated from others physically, but connected through technology; they have friends; and they want to love and be loved in the same way ‘normal’ people do.»23
La figura femminile, invece, viene sempre più racchiusa in categorie stereotipiche (le Tsudendere, le Yandere, le Loli etc.) e troppo spesso, sia nei ruoli da protagonista che di supporto, si distingue quasi esclusivamente per l’alto coefficiente erotico, elemento fondamentale per attrarre grandi fette di pubblico otaku. Strettamente correlata a ciò è l’esplosione del mondo kawaii (letteralmente “carino”, “adorabile”, “grazioso”), diffusa in diversi anime e manga e portatrice di mode che si estenderanno in tutto il paese (discorso simile si può estendere anche all’immaginario loli24) come, per esempio, la grande diffusione di maid cafè25dagli inizi del XXI secolo.
Nella produzione animata degli anni Duemila, i protagonisti sono sempre meno approfonditi psicologicamente e diventano macchiette interscambiabili, mentre il mercato si satura di prodotti quasi indistinguibili, con archetipi e modelli figurativi riutilizzati allo sfinimento. Le scuole diventano uno dei luoghi più caratteristici della produzione animata, proprio perché assai familiari ai principali fruitori delle opere. Anche generi come fantasy, fantascienza e horror vengono contagiati da queste caratteristiche: i mostri e i demoni si trasformano in creature sensuali, gli eroi sono estremamente distanti dai prototipi del secolo precedente e molti spazi caratteristici della società contemporanea vengono traslati e rielaborati in doppi immaginifici. Ma incredibilmente questi schemi semplici e ridondanti colpiscono continuamente il pubblico, che applica nei loro confronti immediate strategie di riconoscimento: se gli eroi animati in cui s’identificano sono sempre circondati da ragazze bellissime e riescono a superare ogni difficoltà nonostante la loro goffaggine, allora gli stessi lettori possono immaginarsi al loro posto a condividere le stesse conquiste. Una situazione che però ha avuto anche conseguenze nefaste: troppo spesso i giovani giapponesi, infatti, quando si scontrano con la durezza della realtà, perdono fiducia in loro stessi e cessano di comunicare con l’esterno. Il numero di hikikomori26 nel paese è ancora estremamente alto, come purtroppo quello dei suicidi e delle persone scomparse.
Se nell’animazione dei decenni precedenti il mondo rappresentato riproduceva le difficoltà di quello reale, in modo diretto o metaforico, ora l’ipertrofica società del Giappone contemporaneo non trova corrispondenza di amorosi sensi nelle opere d’ingegno, generando quindi la difficoltà a scindere l’immaginario dal mondo reale.Ne scrive a riguardo Galbraith:
Today, interwoven concerns about reality problems inform much of what is said about “otaku”: on the one hand, a rejection of reality or escape from it, or “otaku” as manga/anime fans oriented toward fiction, the unreal, or the two-dimensional; on the other, potential confusion and conflation of fiction and reality, which makes interactions and relations with cute girl characters suspect and dangerous.27
Sono numerosi i casi di giovani studenti e salary man28 che si chiudono in loro stessi, contemplando unicamente l’esistenza del mondo virtuale e animato: «For Eji Sonta, manga/anime fans, or rather the “otaku” among them associated the two-dimensional complex, have allowed attraction and attachment to fictional characters to disrupt a normal social and sexual life.»29
Suggestione, quest’ultima, che ha portato alla nascita di uno dei generi più popolari degli ultimi anni: l’isekai, sottogenere del fantasy in cui i personaggi del mondo reale si ritrovano intrappolati in mondi paralleli o all’interno dei videogiochi. Chiara metafora di una generazione sempre più alienata dal contesto sociale.
Il successo degli isekai è rapido e in continua ascesa. Ciononostante la figura dell’otaku oggi non è pressoché mai ritratta in maniera negativa, come accadeva invece in Evangelion, ma è quasi celebrata. Chiaramente parliamo della produzione più popolare dell’animazione giapponese, ma bisogna ribadire che il mercato ospita anche opere di grande valore artistico: un esempio sono le serie di Masaaki Yuasa, prodotti che giocano sugli stereotipi pop come Madoka Magika [Mahō shōjo Madoka Magika, 2011] o la Monogatari series [Monogatari shirīzu, 2005-in corso] di Nisioisin e i lavori di studi di grande livello, come il Trigger.
Re: ZERO [Re: zero kara hajimeru isekai seikatsu, 2014] e Sword Art Online [Sōdo Āto Onrain, 2012]-, due degli Isekai di maggior successo degli ultimi anni
Makoto Shinkai: una rivalorizzazione dell’immaginario pop
Per chiudere questo percorso sugli otaku bisogna necessariamente parlare di uno degli autori cardine della nuova animazione nipponica: Makoto Shinkai, probabilmente il più influente regista giapponese degli ultimi dieci anni.
Spesso incompreso, il rapporto che Shinkai instaura con la cultura pop giapponese è molto complesso, sia dal punto di visto teorico che formale. A uno sguardo superficiale, le sue opere sembrano semplicemente riutilizzare i cliché dell’immaginario pop degli ultimi anni. In verità, il regista opera una sorta di restyling che, pur aderendo a certi cliché estetici e narrativi, li sublima e li astrae all’interno di un macrocosmo governato da leggi proprie. La rielaborazione degli archetipi, i brani j-pop, il racconto “in prima persona”, il ricorso al voice over, l’estetica da videoclip, l’innovativa CGI che genera straordinari giochi di luce e movimenti di camera avvolgenti: mai, prima d’ora, tutte queste caratteristiche erano state utilizzate allo scopo di creare un vero e proprio linguaggio. Non è quindi un caso se negli ultimi anni si sono moltiplicate le opere che prendono spunto dai suoi lavori, spesso puramente derivative (possiamo citare, tra le tante il non troppo riuscito Voglio mangiare il tuo pancreas [Kimi no Suizō o Tabetai, 2018] e l’interessante La forma della voce [Koe no katachi, 2016]).
L’amore che Shinkai prova per il mondo della cultura pop è visibile in tutte le sue opere, cariche di un romanticismo esplosivo, che dialoga apertamente con le emozioni dello spettatore. Shinkai crea mondi dove tutto è possibile, dove i personaggi sono chiamati a trascendere ogni limite. E sono proprio i limiti imposti dalla distanza a caratterizzare ogni suo lavoro, fatta forse eccezione per il poco riuscito Il viaggio verso Agartha [Hoshi wo ou kodomo, 2011], piatta imitazione dei lavori del grande Hayao Miyazaki.
Le prime due opere del regista, il cortometraggio La voce delle stelle [Hoshi no koe , 2002] e il lungometraggio Oltre le nuvole, il luogo promessoci [Kumo no mukō, yakusoku no basho, 2004], rielaborano, attraverso le nuove forme della cultura pop, vecchie suggestioni dell’animazione degli anni ’80: entrambi film fantascientifici (il primo ad esempio recupera l’immaginario mecha con notevoli intuizioni), mettono in scena una relazione amorosa che supera i limiti dello spazio e del tempo, data la distanza che divide i due amanti (lo spazio profondo nel primo caso e un sonno indotto nel secondo).
Di carattere più intimista sono invece i due lavori seguenti: 5 cm per secondo [Byōsoku go senchimētoru, 2007] analizza il rapporto tra Takari e Akari, innamorati fin da piccoli e costretti a continue separazioni, che si troveranno a colmare questa distanza spaziale tramite lunghi viaggi in treno; mentre ne Il giardino delle parole [Kotonoha no niwa, 2013] la distanza da coprire sarà quella dell’età, trattandosi di storia d’amore tra uno studente e un’insegnante del suo liceo.
Prima di passare alle ultime due opere del regista, e nello specifico a Your Name. [Kimi no na wa, 2016], occorre però citare brevemente gli effetti di un tragico evento che scosse tutto il Giappone nel 2011: il disastro nucleare di Fukushima, causato dal terremoto e dal maremoto di Tohoku dell’11 marzo dello stesso anno. Quella che ci preme sottolineare qui è una delle reazioni manifestate dal popolo giapponese dinanzi alla tragedia: il forte ritorno all’animismo. Un recupero che ritroveremo anche all’interno dell’animazione giapponese: basti pensare a opere chiaramente debitrici del magistero di Miyazaki come Penguin Highway [Pengin Haiwei, 2018] e lo spettacolare I figli del mare [Kaijū no kodomo, 2019] di Ayumu Watanabe.
L’animismo può essere definito come: «belief in the existence of a spiritual world, and a soul or spirit apart from matter; spiritualism as opposed to materialism» e ancora «the attribution of life and personality (and sometimes soul) to inanimate object and natural phenomena»30.
La tragedia del 2011 dà quindi vita a una nuova forma di animismo:
New animism can be regarded as a movement to critique and jettinson predjudice toward the ‘underdeveloped’, who are close to nature, a prejudice which is deep-seated in our civilisation. […] new animism frames animism broadly as a concept that directly challenges the fondumental premises of modernity. This juxtaposition of animism against modernity in not surprising, since animism was positioned as the anthitesis of modernity as seen by Weber’s notion of the ‘disinchantment’ of the modern world […]31.
Come rielabora il cinema di Shinkai questi elementi?
Gli ultimi due film del regista, Your Name. (2016) e Weathering with You [Tenki no ko, 2019], sono entrambi segnati da catastrofi naturali: rispettivamente lo schianto di una cometa e una devastante serie di piogge torrenziali. S’impone quindi un nuovo limite da trascendere per i giovani protagonisti del cinema di Shinkai: il loro amore dovrà superare le forza distruttive della natura, metafora di un paese minacciato da continui disastri ambientali. In Weathering with You queste forze sono inafferrabili e trascendenti e per questo rappresentate con la medesima iconografia di ascendenza animista propria dell’animazione giapponese tra gli anni ’90 e i primi 2000.
In Your Name., il più grande successo commerciale del regista, un’esplosione (come in Evangelion) sta per distruggere i luoghi abitati dai protagonisti. Più precisamente, due frammenti di una cometa che si schianteranno a terra distruggendo il villaggio di Mitsuha (protagonista femminile del film): ancora una volta l’iconografia di riferimento sono le esplosioni nucleari (i due frammenti rimandano alle due bombe che colpirono Hiroshima e Nagasaki). Da Evangelion a Your Name la forza simbolica di questo evento non si è mai spenta, ma si è anzi rinnovata dopo il disastro di Fukushima (esce infatti nello stesso anno un’altra opera animata sulle esplosioni della Seconda guerra mondiale In questo angolo di mondo [Kono sekai no katasumi ni, 2016]).
Ma se Shinji di Evangelion reagisce con l’autoisolamento, come si comporta invece Taki, il protagonista maschile di Your Name., di fronte alla tragedia imminente? Taki è, come tutti i protagonisti del cinema dell’autore, un giovane qualunque, un pò impacciato con le ragazze, quasi una rielaborazione convenzionale della figura dell’otaku, senza lati oscuri; è il perfetto prototipo del personaggio maschile dell’animazione giapponese degli anni 2000. Rispetto a Shinji, tuttavia, egli può fare affidamento sul contributo “demiurgico” che Shinkai sovente offre ai suoi personaggi, aiutandoli a ottenere traguardi altrimenti impossibili. Come scrive Fontana: «l’utopia prende corpo nell’impossibilità di conciliare spazi lontanissimi e un tempo che scorre inevitabilmente.»32
A permettere la realizzazione di questa utopia è l’inscrizione in un contesto pop dove tutto è possibile (una conoscenza, questa, strettamente condivisa da personaggi e spettatori), persino un intervento diretto del regista sul mondo da lui messo in scena. Ecco quindi un’altra svolta, stavolta sul piano narrativo, che distingue le opere di Shinkai dal resto della produzione pop esistente: il regista stesso manipola il mondo che abitano i suoi personaggi e permette loro l’attuazione di progetti apparentemente irrealizzabili. Di fatto la pedante ricerca di “buchi di trama” nelle narrazioni del regista non ha mai tenuto conto delle “regole” che il suo cinema dichiara programmaticamente: la sospensione dell’incredulità diviene strumento importantissimo per immergersi nei suoi mondi e nelle sue storie, al cui interno Shinaki si sente libero d’intervenire condizionando in prima persona la narrazione. L’autore diventa dunque in qualche modo personaggio attivo dei suoi film.
Questo stratagemma discorsivo trova una magnifica esemplificazione in una delle scene più potenti e famose di Your Name.: il primo, reale, incontro tra i due protagonisti33 .Collocato su di un monte dove a sua volta si trova un tempio sacro (altro riferimento alla cultura animista), l’incontro tra Taki e Mitsuha sfonda le pareti del tempo (i personaggi vivono infatti all’interno di due linee temporali distanti alcuni anni) tramite uno dei giochi di campi e controcampi più interessanti del cinema contemporaneo. Il regista è quindi, ancora una volta, il demiurgo: tramite il montaggio alterna le due linee temporali sfasate fino a farle coincidere all’interno di uno spaziotempo possibile solo al cinema.
Separati, anche iconicamente, da una magnifica luce solare, il montaggio indugia sui personaggi nelle rispettive linee temporali fino a far coincidere, per qualche minuto, finalmente i due mondi dei due protagonisti e permettere quindi l’esplosione dei sentimenti tra Taki e Mitsuha.
Coordinata l’evacuazione del paese prima dello schianto della cometa, i due amanti smetteranno per sempre di scambiarsi di corpo e i ricordi della loro relazione spariranno, apparentemente, per sempre.
Toccherà ancora al regista, nel finale, rendere possibile la loro riconciliazione, lasciando intendere come il ricordo che Taki e Mitsuha hanno della loro storia sia ancora presente nei rispettivi cuori. E questo in un incontro “casuale”, se visto da una prospettiva narrativa tradizionale, ma in realtà reso possibile dalla volontà del regista.
L’incontro finale tra Taki e Mitsuha, diventato talmente iconico da rendere le scalinate qui riprodotte una meta turistica piena di visitatori (Shinkai lavora infatti molto nella riproduzione animata, in modo estremamente fedele, di luoghi reali).
Le opere di Shinkai si pongono anche come una personalissima rilettura del melodramma caratterizzata da una particolare stilizzazione, della forza delle emozioni e dalla ricerca di un linguaggio dove i palpiti sentimentali si mescolano a suggestione fantastiche o fantascientifiche. Il suo cinema si esprime attraverso forme che possono irritare lo spettatore, proprio per la sua natura orgogliosamente pop; ma è proprio questa estrema consapevolezza che gli permetti di reinventare i canoni del genere e consegnare allo spettatore emozioni sincere.
In questi venti anni di animazione giapponese c’è stato quindi un completo ribaltamento della figura che abbiamo preso in analisi: quella dell’otaku.
Lo stesso Taki rappresenta, come gran parte della produzione degli anni 2000, un personaggio totalmente positivo, che fa dei suoi evidenti limiti e delle sue schiette emozioni il proprio punto di forza, ma aiutato – come detto – dall’azione che il regista opera sul mondo diegetico in qualità di un vero e proprio deus ex machina. Questo contributo demiurgico che Shinkai concede ai suoi personaggi, però, si verifica unicamente nel momento in cui gli stessi cercano di impegnarsi a fondo per realizzare i propri scopi: il desiderio del regista (confermato dalle sue dichiarazioni e dalle interviste rilasciate) è quello di spronare i giovani a dare il meglio di sé; elemento che accomuna le sue opere a quelle di Anno, sebbene questi parta da opinioni totalmente opposte sugli otaku. Dalla visione negativa veicolata dalle opere di Anno, la figura dell’otaku si è infatti pian piano modificata per essere infine riletta in chiave più matura e complessa da Shinkai, l’unico in grado di farla dialogare criticamente con l’immaginario pop di riferimento.
NOTE
1.«Alcuni elementi chiave di quel dopoguerra hanno inciso definitivamente su un immaginario nei confronti del quale l’animazione giapponese ha tratto ispirazione per il suo sviluppo storico. La bomba atomica, la sottomissione (anche psicologica) agli Stati Uniti, la mancata possibilità di metabolizzare il proprio lutto storico, far emergere colpe e colpevoli. […] Invece, tutto questo non succede, ed essendo l’animazione l’espressione artistica moderna più importante del Paese, ne riflette tutte le conseguenze: sia in forma cosciente -come nel caso di chi ha vissuto queste esperienze e ha elaborato un personale pensiero a riguardo, trasportandolo sul prodotto animato- sia in maniera inconscia, trasportandosi su un modo di rappresentare storie e personaggi che, involontariamente, contiene inevitabili riferimenti storici e politici.», A. Fontana, La bomba e l’onda. Storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima, Bietti, 2013, p.27-28
Per più specifiche analisi su tutte queste tematiche riferirsi allo stesso testo che, analizzando varie opere e autori, fornisce un quadro più approfondito e specifico di queste.
2. «La nuova generazione, che vive questo periodo di transizione, porta con sè una dicotomia che, nella storia animata, si risolve nello scontro aperto con la “vecchia” generazione, rappresentante indomita di un passato tradizionalista». A. Fontana, La bomba e l’onda. Storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima, Bietti, 2013, p.29
Ancora, in riferimento al testo di A. Fontana, consultare il paragrafo 1.12.2 “Yoshiyuki Tomino: la guerra come realtà” per una più approfondita analisi sulla rappresentazione della generazione bellica dei padri nell’animazione dell’epoca.
3. Shoujo e Shonen sono alcuni dei termini che sono stati creati per nominare e distinguere i target a cui si riferiscono le opere manga e animate giapponesi, in questo caso rispettivamente a un pubblico femminile il primo e uno di ragazzi il secondo.
4. «La crisi economica, e tutti gli effetti sociali che ha comportato, fa si che una parte dell’animazione offra prodotti che si ispirano alle leggende orientali per strumentalizzarle ai fini d’intrattenimento, utilizzando il genere shoujo o shonen come base di partenza. In questo modo, l’animazione ha una doppia funzione: da una parte, distrae in positivo una popolazione sotto shock per quella rivoluzione dei valori seguiti alla grave crisi economica, proponendo appunto titoli la cui dimensione narrativa è leggera ed emozionalmente coinvolgente; dall’altra, tenta di rinsaldare proprio quei valori centenari che compongono la spina dorsale della società nipponica.» A. Fontana, La bomba e l’onda. Storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima, Bietti, 2013, p.121
5. «Si tratta del genere dei robot giganti: enormi costruzioni robotiche pilotate dall’eroe della serie, che hanno la funzione di difendere il pianeta dagli attacchi di nemici intenzionati a conquistarlo o, ancora peggio, a distruggerlo.» A. Fontana, La bomba e l’onda. Storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima, Bietti, 2013, p.46
6. Antefatti di Evangelion: Il 13 settembre del 2000 un violento cataclisma colpisce l’Antartide, causando il completo scioglimento della calotta australe e di conseguenza una notevole variazione nell’inclinazione dell’asse terrestre. I successivi cambiamenti climatici, l’innalzamento del livello del mare e lo scatenarsi di conflitti globali per aggiudicarsi le poche risorse rimanenti portano alla morte di circa tre miliardi di persone. L’esplosione, denominata Second Impact, viene attribuita allo schianto di un poderoso meteorite sul polo sud. La vera causa della catastrofe però è da ricercarsi in un fallimentare esperimento eseguito da un gruppo di scienziati su di un colossale essere umanoide chiamato Adam, primo di una serie di misteriosi nemici conosciuti come angeli. L’esperimento viene condotto da un team di ricerca guidato dal dottor Katsuragi, dietro cui si cela un’organizzazione chiamata Seele e il suo enigmatico Progetto per il perfezionamento dell’uomo. Per realizzare il piano viene istituito un centro di ricerca chiamato Gehirn, il cui scopo principale è quello di sviluppare contromisure adeguate contro gli attacchi di ulteriori angeli, previsti in alcuni documenti noti come pergamene del Mar Morto. Vedono così la luce gli enormi umanoidi artificiali Evangelion, i tre supercomputer MAgi e la città di Neo Tokyo-3. L’organizzazione, portati a termine i propri compiti, viene rinominata Nerv e, sotto la guida di Gendo Ikari, viene incaricata di contrastare l’imminente attacco degli angeli.
7. A. Fontana, La bomba e l’onda. Storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima, Bietti, 2013, p.87
8. A. Gomarasca, La bambola e il robottone. Culture pop nel Giappone contemporaneo, Einaudi editore, Torino 2001, p.252
9. M. Ghilardi, Cuore e acciaio: Estetica dell’animazione giapponese, Esedra edizioni, Padova 2003, p.153
10. «Il Progetto per il perfezionamento dell’uomo è un progetto che mira a far evolvere artificialmente l’umanità, che ha raggiunto il suo limite come colonia imperfetta di entità separate, in un singolo essere. Come suggerisce il nome, è nato per dare agli uomini ciò che loro manca per completarsi vicendevolmente e diventare perfetti. Viene portato avanti in assoluta segretezza sotto la direzione della Seele e Gendō Ikari, comandante supremo della Nerv. Sembra che l’agenzia speciale Nerv e le macchine umanoidi Evangelion siano state costruite allo scopo di realizzare questo progetto. Questo progetto prevede infatti di indurre artificialmente il Third Impact eliminando tutta l’umanità, e, abbandonando la forma umana, farla evolvere verso una nuova era. Il Perfezionamento consiste nel fondere le anime di tutti gli uomini in un solo essere, così da permettere agli uomini di colmare la solitudine, eliminando le ansie e le paure che affliggono i singoli individui.»
11. A. Fontana, La bomba e l’onda. Storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima, Bietti, 2013 p.130
12. «Gli anni Novanta rappresentano per il paese del Sol Levante un periodo difficile, col la recessione peggiore dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Gli assetti sociali, i valori, tutto è rimesso in discussione, provocando una crisi che non si limitava all’ambito economico-finanziario, ma che ha contaminato inevitabilmente anche quello del tessuto sociale con la sua scala dei valori.» A. Fontana, La bomba e l’onda. Storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima, Bietti, 2013 p.118
13. «In the 1980s, Nakamori Akio proposed the notion of ‘otaku’ in Manga Burikko […]‘Otaku’ is a term of semiotic discrimination ( bunka kigōron- teki sabetsu yōgo ) presented by people who happened to be labelled a certain way (‘new breed’), based on the ‘distortion’ ( konran ) of cultural hierarchy, and who tried to make that label into a special privilege […]From this point, the tag ‘otaku’ was converted from a tool of semiotic criminals, who enjoy fabricating difference and hierarchy, to something for the purpose of social standing or, to put it another way, to secure a new hierarchy. Th e transformation of ‘otaku’ in hiragana to ‘ otaku ’ in katakana is nothing other than the creation of a ‘new breed’ of ‘otaku’.», Otsuka Eiji, Foreword: Otaku Culture as ‘Conversion Literature’ in Debating Otaku in Contemporary Japan Historical Perspectives and New Horizons di Patrick W. Galbraith, Thiam Huat Kam, Björn-Ole Kamm, Christopher Gertei, 2015, p.XX
14. Anche precedentemente il termine era stato usato con accezioni negative da parte dei media: «Because of the incident in which Miyazaki Tsutomu murdered four little girls in 1988 and 1989, the word ‘otaku’ came to be used as a discriminatory term for manga and animation fans», Otsuka Eiji, Foreword: Otaku Culture as ‘Conversion Literature’ in Debating Otaku in Contemporary Japan Historical Perspectives and New Horizons di Patrick W. Galbraith, Thiam Huat Kam, Björn-Ole Kamm, Christopher Gertei, 2015, p.XXV
15. F. Bartoli, Mangascienza. Messaggi filosofici ed ecologici nell’animazione fantascientifica giapponese per ragazzi, Tunuè editore, Latina 2011, p.117
16. «[…] Paradossalmente, questi titoli, solitamente considerati più “semplici” rispetto ad altri con pretese contenutistiche e di messa in scena più profonde, hanno avuto un enorme successo, non solo in patria ma anche all’estero». A. Fontana, La bomba e l’onda. Storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima, Bietti, 2013, p.121
17. Un sottogenere tipico dello Shonen, basato principalmente sui combattimenti e una serie di sfide che il protagonista deve progressivamente superare per diventare più forte e realizzare il suo obiettivo finale.
18. Sottogenere della commedia che evita di costruire una trama complessa; si basa su racconti quotidiani ed episodi spesso slegati tra loro, o tenuti insieme solamente da un contesto generale.
19. Interessante documento di questo è l’articolo di Kikuchi Satoru, dove definisce Akihabara come “The ‘holy land of otaku’ “ nel suo articolo The Transformation and Diffusion of ‘Otaku’ Stereotypes and the Establishment of ‘Akihabara’ as a Place- brand in Debating Otaku in Contemporary Japan Historical Perspectives and New Horizons di Patrick W. Galbraith, Thiam Huat Kam, Björn-Ole Kamm, Christopher Gertei, 2015
Ancora a riguardo del rapporto tra gli otaku e i luoghi che popolano si consiglia la lettura di Otaku and the Struggle for Imagination in Japan di Patrick W. Galbraith, 2017, capitoli 4 e conclusion e i capitoli 5-6-7-8 di Fandom Unbound Otaku Culture in a Connected World di Mizuko Ito, Daisuke Okabe, Izumi Tsuji
20. «In un celebre articolo del 2002, Douglas McGray prendeva atto della svolta d’immagine intrapresa dal Giappone, che da “pericolo giallo” e grigio gigante economico si stava trasformando in un esportatore di coloratissimi prodotti culturali, mentre la cultura otaku, inizialmente guardata con sospetto anche in patria, andava conquistando una nuova dignità sia in Giappone che all’estero[…]. Tra la fine degli anni Novanta e il primo decennio degli anni Duemila, al grido dello sloogan “Cool Japan”[…], il governo varò diverse iniziative atte a promuovere la cosiddetta konketsu sangyo (“industria dei contenuti”) giapponese, ovvero un intreccio di prodotti mediali legati alla cultura manga e alla sfera digitale.» G. Calorio, To the Digital Observer: Il cinema giapponese contemporaneo attraverso il monitor, Mimesis, 2019, p.79-80
21. G. Calorio, To the Digital Observer: Il cinema giapponese contemporaneo attraverso il monitor, Mimesis, 2019, p.79
22. Dal dizionario Treccani – Japonisme: Termine, usato per la prima volta (1872-73) dal critico P. Burty, per indicare l’interesse per il Giappone e l’influenza della sua arte sui movimenti artistici europei tra la metà del 19° sec. e la Prima guerra mondiale. Alla diffusione del fenomeno contribuirono le Esposizioni universali, cui il Giappone partecipò con propri padiglioni (fin dal 1862 a Londra), l’apertura di negozi specializzati in oggetti dell’Estremo Oriente e la pubblicazione, curata dal collezionista e mercante Samuel Bing (1838-1905), della rivista Le Japon artistique (1888-91).
23. Lien Fan Shen, Traversing Otaku Fantasy: Representation ofthe Otaku Subject, Gaze and Fantasy in Otaku no Video in Debating Otaku in Contemporary Japan Historical Perspectives and New Horizons di Patrick W. Galbraith, Thiam Huat Kam, Björn-Ole Kamm, Christopher Gertei, 2015, p.75
24. Il mondo Loli deriva dal fenomeno Lolicon, abbreviazione di Lolita complex, e nella cultura manga e anime fa riferimento a quelle opere dove son presenti personaggi femminili dalle sembianze infantili e fanciullesche, i caratteri sono quelli delle bambine tra gli 8 e i 13 anni, delineate spesso in modo erotico; da specificare che non necessariamente questi personaggi hanno effettivamente quella età: anche personaggi centenari vengono rappresentanti attraverso questi canoni estetici.
25. Particolari caffetterie dove si è serviti da giovani cameriere vestite con una divisa di influenza vittoriana e il loro tipico grembiule. Le stesse ragazze intrattengono tipicamente il cliente con canti o altre esibizioni, mantenendo sempre una carica quasi servilistica verso di esso e un atteggiamento che possiamo definire kawaii.
26. Per un approfondimento sulla problematica degli hikikomori, a livello storico, numerico, medico-psicologico e le correlazioni con la cultura popolare consultare i seguenti articoli: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4886853/
https://www.jpsychopathol.it/issues/2013/vol19-3/01b-Suwa.pdf
27. Patrick W. Galbraith, Otaku and the Struggle for Imagination in Japan, 2017, p 74
28. Tipici lavoratori maschili del settore terziario, spesso di aziende, giapponesi. Sono sottoposti a turni di lavoro esasperanti, guadagnano uno stipendio fisso che non garantisce loro grandi libertà economiche e sono spesso soggiogati ai piani alti delle aziende in cui lavorano
29. Patrick W. Galbraith, Otaku and the Struggle for Imagination in Japan, 2017, pp.61-62
30. Definizioni tratte dal The Oxford English Dictionary
31. S. Yoneyama, Animism in Contemporary Japan: Voices for the Anthropocene from post-Fukushima Japan, Routledge, 2018, p.18
32. A. Fontana, La bomba e l’onda. Storia dell’animazione giapponese da Hiroshima a Fukushima, Bietti, 2013, p.163
33. I protagonisti, durante i continui scambi tra i loro corpi che caratterizzano la prima parte del film, appuntano sui diari, quaderni, sulle note del telefono e pure sugli stessi corpi ciò che hanno fatto nella loro giornata, in modo che, ogniqualvolta il vero possessore del corpo si risvegliasse, trovasse traccia delle azioni e dei comportamenti svolti quando era “abitato” dall’altra persona.