Il cinema sempre […] ha una naturalezza fisica di spazio/tempo e questa “magia” deve avere un’apparenza e sempre arriva allo spettatore dandogli la sensazione di essere spontanea.

Albert Serra1

Dopo Honor de cavallería [id., 2006], definito dai Cahiers «una sorta di home movie su Don Chisciotte e Sancho Panza2» e Il canto degli uccelli [El cant dels ocells, 2008], prosegue il lavoro del catalano Albert Serra sulla progressiva, astratta depurazione dei grandi archetipi della cultura Occidentale. Se Honor de cavallería – che, a posteriori, si può quasi identificare come il manifesto programmatico di questa inclinazione autoriale – partiva dal celeberrimo testo di Cervantes e lo decantava a tal punto fino a trasformarlo in un’opera rarefatta e a(nti)temporale (dimostrando per assurdo l’immortalità di un personaggio/archetipo come Don Chisciotte, perfettamente a suo agio in un contesto quasi del tutto estraneo a quello del “testo” di riferimento) e se Il canto degli uccelli raccontava il viaggio dei Re Magi come un Mistero Buffo, Història de la meva mort [id., 2013] compie un passo ancora più radicale e decisivo: recupera infatti due figure tipologiche profondamente sedimentate nell’immaginario collettivo come Giacomo Casanova e il Conte Dracula e ne immagina un’impossibile incontro (di cui successivamente si discuteranno le modalità).

Ne sorge una prima riflessione automatica: se Casanova è personaggio realmente esistito, Dracula – seppur ispirato alla quattrocentesca figura, avvolta nel mistero e nella leggenda, del Principe di Valacchia Vlad III detto Ţepeș ovvero l’Impalatore – è invece parto di fantasia. Un dettaglio non da poco, testimonio di un atteggiamento autoriale che, sulla scorta di un revisionismo di matrice postmoderna e quindi metatestuale, opera una metempsicosi della grande cultura archetipica dell’Occidente destinata a reiterarsi in un (corto)circuito che è anche “del testo”3 (Casanova, Dracula e il loro incontro impossibile).

Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione Carpazi Giacomo Casanova

Per “testo”, in questo caso, si potrebbe intendere tutto l’insieme di risultanze culturali (d’arte o di pensiero) maturate nello specifico nell’Occidente civilizzato. Immerso in questo flusso magmatico, l’autore può sentirsi libero di recuperarne gli archetipi e dissezionarli, facendoli propri (lo stesso Casanova di Serra si estrania dall’esperienza biografica del suo corrispettivo “reale”, compiendo un viaggio nei Carpazi di cui non v’è traccia nelle diverse cronologie che ripercorrono la vita del celebre seduttore del ‘700).

Girato interamente in luce naturale o a lume di candela e interpretato da attori non professionisti, Història de la meva mort è un film drammaturgicamente scisso in due parti. Una scissione che è tanto narrativa quanto formale. Il film – d’ambientazione tardo settecentesca – si apre in Svizzera, in un lussuoso castello che è residenza del Casanova, per poi dislocarsi nei Carpazi, in un casolare dove il medesimo Casanova si è stabilito a seguito di un viaggio (di piacere? di ricerca intellettuale e speculativa?). Non poco lontano da qui, però, un altro castello, quello oscuro e tenebroso del conte Dracula, spicca sulla piccola gola.

E mentre Casanova si trascina stancamente tra copule, libagioni e racconti di gioventù, Dracula distribuisce la morte come un dono, liberazione dalla sofferenza e dalla pesantezza – tutta terrena – del vivere. Destinati chiaramente ad incontrarsi – ma tutto il film, a partire dall’incipit notturno in cui Casanova conosce il nuovo servitore e testimone dei suoi ultimi giorni di vita, è ricco, più o meno surrettiziamente, di pulsioni di morte – i due personaggi si troveranno insieme solamente nel finale in cui il Nosferatu vampirizza Casanova.

La chiara bipartizione di Història de la meva mort lascia pensare ad una polarità simmetrica. Se la prima parte è luministicamente calda e solare, razionalistica e meccanicistica (Casanova), la seconda si rivela più tetra, notturna e intrisa di palpitazioni metafisiche (Dracula), tanto da lasciar pensare ad una specie di specchio oscuro, di rimando suppletivo. Gli elementi si ripetono riflessi in una luce speculare: il castello di Casanova e quello di Dracula, la natura boscosa dallo slancio vitalistico (nella prima parte) e imbevuta di premonizioni di morte (nella seconda). Il cibo si trasforma organicamente in feci nella prima parte, le feci – nella seconda – si trasformano magicamente e alchemicamente in oro.

Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione Giacomo Casanova Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione

Il Settecento dei Lumi di Casanova incontra l’Ottocento assolutista e romantico di Dracula.

Non è solo nella letteratura che Casanova e Dracula sono divenute figure simboliche, archetipiche o esemplari. Anzi, più volte proprio il cinema si è rifatto a questi personaggi proponendone diverse letture, e probabilmente Serra non è insensibile all’eredità lasciata per esempio da Il Casanova di Federico Fellini [Federico Fellini, 1976] o da Nosferatu il vampiro [Nosferatu. Eine Symphonie des Grauens, Freidrich Wilhelm Muranu, 1922]. Anche qui, però, il cineasta di Bañolas segue un percorso del tutto personale.
Come Fellini, anche Serra non tace il tormento del Casanova intellettuale ma, da par suo, addirittura fa assurgere questa dimensione a preponderante, lasciando in secondo o terzo piano quella del licenzioso campione del sesso. Quando è in scena, il nobile veneziano passa quasi sempre il suo tempo a discorrere di arte e di filosofia, pontifica sul senso della scrittura, non tace il desiderio di voler scrivere una biografia che diventi una summa dei costumi e del pensiero del suo secolo, si catapulta in divertite intemerate anticattoliche (facendosi in un certo senso portatore di un atteggiamento che lo avvicina all’ateismo materialista di de Sade nonché allo stesso Dracula che nel film confessa:«Nel mio castello non c’è posto per il Cristianesimo») e si dimostra più volte desideroso di conoscere cosa accada dopo la morte. Senza troppe forzature, si potrebbe quasi parlare di una rilettura di Casanova in chiave faustiana e parimenti risulta interessante operare un paragone tra
Història e il recente Faust [id., 2011] di Aleksandr Sokurov. Se il Faust di Sokurov è un letterato e saggio tormentato, la cui ricerca interna al film è profondamene terragna e corporale e dove il sesso diventa strumento di conoscenza, il Casanova di Serra compie un percorso che è quasi opposto, quello di un noto seduttore la cui massima aspirazione è la Conoscenza, intellettuale e metafisica, cui calza perfettamente questa celebre citazione goethiana:

Filosofia ho studiato,/ diritto e medicina,/e, purtroppo, teologia/da capo a fondo, con tutte le mie forze. […] E nulla, vedo, ci è dato sapere.4

In fondo, per Casanova, il sesso è oramai un atto meccanizzato che offre il piacere del divertissement, della distrazione. Il coito, non a caso, è accompagnato da una risata “omerica” che fa dell’unione fra corpi un territorio conosciuto e senza mistero, già esplorato e quindi meno interessante di un piano, quello appunto della Conoscenza, che invece appare distante e inafferrabile, ancora da indagare.

Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione Il Casanova di Federico Fellini Federico Fellini
(Lo studio e il sesso: la ricerca intellettuale e speculativa, il desiderio di Conoscenza, segnano indelebilmente la figura del Casanova. La copula – come testimonia anche l’ultimo frame tratto da Il Casanova di Federico Fellini – è un gesto automatico, una performance atletica, un divertissement che procura un appagamanento transitorio e insoddisfacente)

Più sfuggente, Dracula compare solo nella seconda parte e rimane on screen per pochi minuti. Se da una parte Serra dilata enormemente il tempo della sua apparizione disseminando in precedenza i segnali della sua presenza – radicalizzando un topos che accomuna una nutrita teoria di film dedicati al Nosferatu, dal già citato capodopera di Murnau a Dracula [id., Tod Browning, 1931] fino a Dracula di Bram Stoker [Dracula, 1992, Francis Ford Coppola]. Differente e più complesso il caso di Nosferatu – Il principe della notte [Nosferatu: Phantom der Nacht, Werner Herzog, 1979] – dall’altra il regista spagnolo nega ogni possibile suspense (e il nome del personaggio non viene mai pronunciato durante il film ma citato esclusivamente nei titoli di coda). L’apparizione di Dracula infatti è improvvisa, come elemento naturale pienamente inscritto in un luogo eterotopico. Serra, inoltre, ribalta la tradizionale figura del vampiro come creatura esclusivamente notturna, frustrando un aspetto marcatamente gotico che molto ha contribuito al fascino neoromantico del Nosferatu.

Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione conte Dracula vampiro

È ancora una volta evidente come Serra, pur rifacendosi ad un immaginario figurativo universalmente noto, lo trasfiguri (in una sua intervista parla scientemente di «libertà estetica»1), come in precedenza era successo con Don Chisciotte e Sancho Panza. Tanto più che i due mo(vi)menti culturali di cui i due archetipi sono in qualche modo rappresentanti – l’illuminismo per Casanova, il romanticismo per Dracula – tradizionalmente studiati/interpretati in antitesi, nello spazio/tempo di Història de la meva mort assumono una contiguità problematica.

Si è infatti già accennato a come in questo Casanova, al di là delle ambizioni da intellettuale illuminato, riluca uno scarto faustiano; e il Faust di Goethe è uno dei testi capitali della letteratura romantica. Così come Goethe (1749-1832) fu uno degli artisti che marcarono il passaggio dall’Illuminismo al Romanticismo5. E se la morte di Casanova per mano di Dracula – unita ad un’illuminazione che, come detto, è più aperta e solare nella prima parte (in cui, escluso l’incipit, tutto, volti compresi, è quasi sempre perfettamente in luce) diventa più contrastata, notturna e caravaggesca nella seconda (ricca com’è di ombre e penombre, di zone di buio, di fonti luministiche più flebili) – può favorire una lettura esclusivamente di passaggio tra diversi momenti storico/culturali, è anche vero che, accettando l’interpretazione in chiave postmoderna, si potrebbe parlare di una metastoria in cui, per l’appunto, illuminismo e romanticismo possono convivere naturalmente. Allo stesso modo, possono “convivere naturalmente” Casanova e Dracula, la figura storica settecentesca e la creazione letteraria di fine Ottocento.

Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione conte Dracula vampiro Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione
(La luce e il buio: il “Secolo dei Lumi” di Casanova è cupo e in penombra; Dracula – figura tardo-gotica tradizionalmente impossibilitata a vivere alla luce del sole – appare in pieno giorno)

Lo stesso Dracula – che nel romanzo (1897) di Stoker (così come p.e. in Murnau) è incarnazione fisica di un Male di cui l’uomo è percettore solo inconscio e che, nel momento della materializzazione, lo annichilisce – sembra più una figura fredda e meccanica, un automa che agisce per necessità che difficilmente s’attaglia ad una rigida lettura tanto manichea quanto unicamente romantica (il linguaggio di Serra si manifesta anche qui come incrollabilmente postmoderno). E in fondo la contiguità fra Dracula e Casanova (intesi in questo frangente come archetipi e non come personaggi), più ancora che dal passaggio storico/culturale cui si è accennato, è testimoniata dalla forte carica libidica e sessuale (prima ancora che erotica) che – in forme e modalità differenti – ne permea la fama. Non a caso, uno dei fattori ineliminabili che hanno decretato il successo del romanzo di Stoker è da imputarsi alla presenza pervasiva del «sesso senza genitali, senza confusione, senza responsabilità, senza senso di colpa, senza amore o, meglio ancora, al sesso implicito.»6

Contrariamente a Stoker e – in particolare – alle numerose riletture e rielaborazioni del personaggio praticate posteriormente, però, Serra abbandona qualunque maledettismo, portando al grado zero l’equivalenza (la medesima alla base p.e. de La grande abbuffata, Marco Ferreri, 1973) tra Eros, -fagìa e Thánatos. E non bisogna sottovalutare il secondo termine di questo rapporto: non solamente, infatti, anche Casanova sembra trarre maggior godimento dal cibo che dal rapporto sessuale (come si diceva in precedenza, ridotto a meccanica esecuzione, come di uno spartito perfettamente conosciuto), ma soprattutto Dracula, nell’atto irreversibile del succhiare il sangue delle proprie vittime, compie un gesto che è contemporaneamente una summa di tutti e tre gli elementi. Si nutre del sangue in un abbraccio/amplesso voluttuoso e passionale sancendo la morte della vittima. 

Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione conte Dracula vampiro Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione conte Dracula vampiro
A questo proposito, sono interessanti le prospettive simboliche che questo triplice legame – che accomuna entrambi i personaggi – apre rispetto al finale del film, in cui Dracula incontra Casanova “solo” per dargli la morte. In fondo, tradizionalmente pare piuttosto difficile non interpretare la figura del Nosferatu come essa stessa simbolica, capace di tessere una relazione allegorica con quegli elementi proibiti e nascosti che la psicoanalisi – la cui nascita si può definire coeva al romanzo di Stoker, esso stesso ancora pregno d’istanze vittoriane – avrebbe cominciato ad indagare proprio in quegli anni. «Egli è l’ignoto nella vita umana, l’ancestrale paura dell’uomo», scrive Paola Fani7. Un fattore, questo, che già la struttura epistolare del romanzo contribuisce ad amplificare nel momento in cui il vampiro – invisibile allo specchio, ovvero il filtro in qualche modo “oggettivo” – è invece percepito via via attraverso l’ottica delle diverse voci che lo compongono, divenendo, con gradi di definizione diversi, strumento di morte, terrore, attrazione, fascino morboso. In un certo senso, si potrebbe quindi affermare che il vampiro diventa una forma di proiezione materiale e, tornando all’epicentro del discorso, simbolica dell’uomo/sull’uomo.

Non sarebbe illecito a questo punto pensare ad un’eventuale proiezione simbolica che Dracula potrebbe rappresentare per Casanova. Come si è già detto, nella rilettura di Serra prima ancora che biograficamente, il celeberrimo libertino veneziano è personaggio culturalmente bipolare, gravido di sollecitazioni intellettuali tanto tardo-illuministiche (cita più volte Voltaire) quanto pre-romantiche (dice al proprio servo che il primo di loro due che sarebbe morto avrebbe dovuto apparire in sogno all’altro per raccontargli l’esperienza post mortem). Illuminante a questo proposito quanto scrive Piergiorgio Bellocchio a riguardo della figura storica del Casanova:«[…] nonostante la vastità dei suoi interessi, le sue grandi ambizioni e qualità, niente viene da Casanova perfezionato, portato in fondo. Fallisce completamente o resta meno d’un dilettante in tutto ciò che intraprende: avvocato, ecclesiastico, ufficiale, storiografo, filologo, romanziere, giornalista, filosofo, agente segreto, finanziere, industriale, teatrante, spia. […] Ma è proprio il suo fallimento a darci la misura della sua fondamentale non riducibilità a quell’ordine moribondo che egli si ostinava a sentire suo» 8 9

Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione conte Dracula vampiro
Fallito come intellettuale e pensatore, Casanova può invece legare la propria fama quasi esclusivamente alle doti di seduttore e atleta del sesso (cfr. la celebre scena del duello all’ultimo amplesso ne Il Casanova di Federico Fellini). Una scissione netta, che l’incontro con il Nosferatu, il “non-morto” per eccellenza, icona romantica e a-razionale, trasforma in definitiva sconfitta. La morte di Casanova per mano di Dracula potrebbe quindi rappresentare una morte “simbolica”, quella della sua ricerca intellettuale/razionale, sopraffatta da ataviche inclinazioni istintuali e da una volontà di conoscenza di un sapere che è misterico, arcano e in un certo senso proibito (forse perché irraggiungibile). Destinato, possibilmente, a trasformarsi esso stesso in un vampiro, Casanova non potrebbe nemmeno realizzare il desiderio di conoscere cosa esista dopo la morte, terribilmente condannato invece ad una perenne non-vita.


In esergo a quest’analisi si parlava di come Serra lavorasse su di una progressiva e astraente depurazione degli archetipi culturali. A questa “depurazione” testuale ne corrisponde una, estetica e formale, di messa in scena. Non ci sono inquadrature in movimento, solo campi e piani fissi. Campi medi e campi lunghi vengono spesso preferiti ai primi piani, talvolta le scene si esauriscono in lunghi pianisequenza fissi. Sovente, il regista catalano ricorre a lenti grandangolari che aiutano a mantenere la profondità di campo del quadro, in modo tale che – in un’inquadratura in cui tutto è a fuoco – l’occhio dello spettatore sia libero di vagare tra i diversi elementi strutturali che compongono l’inquadratura.

Da questo punto di vista, Serra sembra porsi su quella linea di astrazione e purificazione della messa in scena che nel cinema contemporaneo, sulla scia dell’eredità di Ozu e Bresson [mediata dagli Straub e Oliveira], è propria di cineasti come Tsai Ming-liang e Bruno Dumont; ma anche di quello Yorgos Lanthimos facente parte della Giuria che decise di assegnare a Història de la meva mort il Pardo d’Oro a Locarno nel 2013. Per un curioso caso il Presidente di quella giuria era il cineasta filippino Lav Diaz, il cui percorso autoriale, tra i cineasti di oggi, si manifesta come il complementare di quello di Serra. Se Lav Diaz parte dal quotidiano e assurge al metafisico, Serra compie il percorso inverso. I racconti “quotidiani” del regista filippino divengono vieppiù rarefatti fino a spogliarsi delle normali coordinate spaziali, mentre Serra racconta storie extra-ordinarie (con elementi sovrannaturali) con rigore naturalistico ed entomologico pressoché documentario. Història de la meva mort, non per niente, è un film di tempi morti, di stasi, di contingenze e, appunto “quotidianità”, se è vero che Serra mostra persino Casanova che va di corpo. Non a caso, il cineasta spagnolo si avvale – oltreché di un di un vocabolario catalano che cerca di ricostruire filologicamente (Serra è laureato in filologia) il linguaggio, lessicale e grammaticale, del ‘700 – di un soundtrack dal palpito iperrealistico, concentrandosi su suoni e rumori d’incidenza veristica (dal melograno sgranocchiato al frinire dei grilli, dal calpestio degli zoccoli alle oscillazioni delle ruote di legno che tracciano solchi sull’erba) cui le parole si amalgamano con disinvoltura. Per contro è emblematico come in Century of Birthing [Siglo ng pagluluwal, 2011], Lav Diaz, nella lunga sequenza del pellegrinaggio dell’ex-adepta della “Casa di Dio”, decida di sospendere il sonoro, ammantando l’intero spezzone del film di un’atmosfera fuori del tempo.

Se tra i cineasti di riferimento si citavano in precedenza Yasujiro Ozu e Robert Bresson (in particolare per il ricorso radicale a campi/piani fissi e per la cura certosina del sonoro) e se l’illuminazione a lume di candela o con luci naturali non può non far pensare a Barry Lyndon [id., Stanley Kubrick, 1975] – altro film d’ambientazione settecentesca – un’altra referenza piuttosto chiara, come per Il canto degli uccelli lo era il Pier Paolo Pasolini di Uccellacci e uccellini (1966) e soprattutto Il vangelo secondo Matteo (1964), è sicuramente il mediometraggio sperimentale Inauguration of the Pleasure Dome [id., Kenneth Anger, 1954]. Anche nel film di Anger, il protagonista entrava in contatto con archetipi culturali10, da Afrodite ad Ecate, da Lilith alla dea Khali, in uno spaziotempo alternativo – mentale (?) – in cui, come nel finale di Història, una primordiale tensione orgiastica prendeva il sopravvento sul rigore geometrico/cartesiano del set, trasfigurandosi in un rituale di latente ascendenza orfica (come si diceva in precedenza, il Dracula di Història potrebbe rappresentare la morte “simbolica” del razionalismo illuminista del Casanova, soggiogato dalle sue forze pulsionali e dal desiderio di conoscenza “proibita”). Inoltre, nelle prime scene di entrambi i film, il protagonista (Casanova per Serra, il mago Shiva per Anger) viene ripreso di fronte ad uno specchio11, contemporaneamente visibile di profilo e riflesso, in un’inquadratura – intermedia tra il mezzo busto e il primo piano – dal taglio molto simile, e illuminata – in entrambi i casi – da un fascio di luce che proviene dal fuoricampo, alla destra del personaggio in scena.

Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione Historia de la meva mort Albert Serra Lo Specchio Scuro recensione Lucifer Rising Kenneth Anger
(Sopra: Història de la meva mort. Sotto: Inauguration of the Pleasure Dome)

Tanto sotto il profilo formale che sotto quello strutturale, quindi, il film di Serra si configura come un’opera chiaramente postmoderna. Rispetto ad un altro celebre regista postmodernista come Tarantino che parte da una materia mediale di matrice strettamente pop e talvolta sconfinante nel trash, rendendola interattiva fino ad ibridarla in un meccanismo perfettamente autocosciente il cineasta catalano attinge ad un immaginario più intellettuale ed elusivo e produce una simbiosi che partendo dalla “cultura” arriva alla “natura”. Serra, però, non è né ecumenico né snob: il suo, infatti, non è esclusivamente un lavoro teorico sul cinema, ma anche un processo di ricerca avviato nel cinema (in fondo, la netta scissione tra la prima e la seconda parte riporta al contrasto, filmicamente atavico, tra luce e ombra). Ad oggi, Història de la meva mort risulta la sua opera più compiuta e potente, il film che suggella uno dei percorsi autoriali più stimolanti e affascinanti dell’ultimo decennio.

 

NOTE

1. Intervista ad Albert Serra http://www.laboratorioprobabile.it/allegati/albert_serra_il_mio_cinema.pdf

2. cit. da Giulio Sangiorgio in “FilmTv” n.1088.

3. Intendendo qui “postmoderno” più come “atteggiamento”, “strumento d’indagine” che come “corrente artistica e di pensiero”.

4. in Faust, J.W. Goethe, ed. Athena.

5. Anche la figura di Casanova (1725-1798), intellettuale (illuminista e massone, decisiva l’esperienza parigina del 1750, conosce Metastasio e, nel ’60, incontra Voltaire e successivamente Da Ponte e qualcuno sostene che abbia in minima parte collaborato alla stesura del libretto del Don Giovanni) frustrato e libertino affermato, insofferente alla disciplina (intraprese una carriera ecclesiastica in Calabria che subito abbandonò, lasciò l’esercito non tollerandone la rigorosa disciplina) è testimone – sulla sua pelle – di un passaggio di epoche, il morente illuminismo e l’incipiente romanticismo. [Le informazioni biografiche sono tratte dall’introduzione di Piergiorgio Bellocchio in Giacomo Casanova, Memorie scritte da lui medesimo, ed. Garzanti].

6. James Twitchell, The Living Dead – A Study of the Vampire in the Romantic Literature, Duke University Press, 1981 citato in Cristopher Frayling, Nightmare: The Birth of Horror, p. 107 a sua volta citato in M. J. Trow, I misteri di Vlad l’Impalatore, Newton Compton Editore, p. 40.

7. Dalla prefazione a Bram Stoker, Dracula, ed. Newton Compton.

8. Dall’introduzione a Giacomo Casanova, Memorie scritte da lui medesimo, ed. Garzanti pag. XV.

9. In Història de la meva mort come detto, Casanova sembra già essere problematico latore di una dialettica in cui, forse inconsapevolmente, illuminismo e romanticismo convivono come categorie in qualche modo extra-storiche, fuori della cronologia.

10. Curiosamente, una struttura tematicamente affine si può riscontrare anche nel film d’avanguardia italiano Necropolis (1970, Franco Brocani) dove in una necropoli dalle scenografie essenziali debitrici del teatro di Artaud sfila una pleiade di miti e archetipi (da Frankenstein ad Attila, da Eliogabalo al Satana interpretato da Carmelo Bene – autore egli stesso di celebri riletture di personaggi e archetipi della grande cultura occidentale, da Amleto a Don Giovanni).

Anche per il film di Brocani pare piuttosto evidente l’influenza esercitata da Inauguration of the Pleasure Dome e più in generale dal cinema di Anger, ipotesi questa corroborata dalla nutrita presenza di riferimenti a stilemi e alfieri della controcultura di quegli anni (da Mick Jagger fino a Deleuze). 

Altro riferimento cinematografico per un confronto è senza dubbio Pietra [Kamen, 1992, Aleksandr Sokurov] in cui si anima un altro incontro impossibile, quello tra il fantasma di Cechov e il custode della sua casa divenuta Museo. 
Tra gli esempi più recenti si può invece fare riferimento a Wuthering Eights [idem, 2011, Andrea Arnold] in cui la regista “si permette” una completa depurazione del testo letterario di partenza, l’arcintoto romanzo di Emily Brontë, desaturandone il substrato romantico (e fantasmatico, quello della celebre lettura cinematografica di William Wyler) e sottolineando i moti e le pulsioni più violente e primigenie. Senza contare la licenza di mostrare sullo schermo un Heathcliff nero.

11. Ironia della sorte, Casanova diverrà un vampiro, figura che la tradizione vuole non venga riflessa da superficie alcuna.