Gli indomabili [Frontier Marshal, 1939] è il primo film ad avere come protagonista il leggendario sceriffo Wyatt Earp, interpretato per l’occasione da Randolph Scott, ma il suo regista, Allan Dwan, rivelò in seguito a Peter Bogdanovich che per lui il film non riguardava specificamente Wyatt Earp (fu difatti il produttore, Darryl Zanuck, ad insistere sul nome) e che, come indica il titolo, il suo protagonista poteva essere un qualsiasi frontier marshal1. Dwan aveva d’altronde conosciuto di persona il vero Wyatt Earp, negli anni in cui quest’ultimo passava il proprio tempo ciondolando intorno ai set di Hollywood, e, a detta del regista, l’aveva persino filmato, confuso tra le altre comparse, in una scena collettiva di The Half-Breed [1916], ma non ne conservava per questo un’opinione favorevole, arrivando anzi a definirlo «crooked as a three-dollar bill»2. Nella conversazione con Bogdanovich sul film, Dwan preferì piuttosto dilungarsi a raccontare di come riuscì a costruire il set della città di Tombstone in maniera economica usando le scenografie di vecchi western3. Se Wyatt Earp è interscambiabile con qualsiasi altro frontier marshal, allora anche Tombstone è interscambiabile con qualsiasi altra città di frontiera, ed è dunque significativo che la Tombstone del film sia stata costruita a partire dai set di altri western.
Randolph Scott in una scena de Gli indomabili.
Si può dire, d’altronde, che sia proprio Tombstone la vera protagonista del film. Gli indomabili comincia infatti con il resoconto della storia della città a partire dalla sua fondazione, legata alla scoperta dell’argento nel territorio, fino al presente della narrazione, in cui a dominare la vita dei suoi abitanti sono il vizio e la criminalità. La sequenza in questione può ricordare in parte l’inizio di un altro film di Dwan, La donna che volevano linciare [Woman They Almost Lynched,1953], in cui una presentazione del contesto storico della Guerra di Secessione serve da introduzione alla città del film, Bordertown, posta esattamente al confine tra Nord e Sud, ma è soprattutto una sequenza del contemporaneo Gli avventurieri [Dodge City, Michael Curtiz, 1939], anch’esso vagamente ispirato alla storia di Wyatt Earp, a presentare particolari somiglianze. Entrambe le sequenze servono ad introdurre le rispettive città del film, Tombstone e Dodge City. La sequenza di Gli avventurieri, inserita in realtà circa dieci minuti dopo l’inizio del film, consiste in un rapido montaggio di immagini unite tra di loro da dissolvenze incrociate e tendine, dove vediamo in ordine: un paio di sparatorie per strada, insegne di bar e variety halls, un’inquadratura che riprende l’interno di un saloon partendo dal dettaglio di una roulette, un’altra sparatoria, un linciaggio, due uomini che affissano l’insegna “CLOSED” alla porta dell’ufficio dello sceriffo. In Gli indomabili si ritrova, appunto, un montaggio simile ma con un uso molto più estremo delle dissolvenze incrociate, che diventano a un certo punto delle vere e proprie sovrimpressioni tra immagini diverse. Così all’immagine costante delle carovane dei coloni vengono sovrapposte scene che mostrano la diffusione del vizio e dell’illegalità, come in Gli avventurieri, ma anche altre che mostrano più in generale la nascita di una nuova comunità, per esempio mostrando la costruzione di nuovi edifici. A un tratto viene mostrata una sparatoria e subito dopo un dottore che domanda: «What is it, a baby or a shooting?»; «A baby!», gli viene risposto. Se nella sequenza di Gli avventurieri ogni immagine è semplicemente seguita da un’altra che è in qualche modo legata alla precedente da un rapporto di causalità (ciò che il montaggio mostra può essere in fondo così sintetizzato: da una situazione iniziale di disordine si genera il vizio, che a sua volta porta a ulteriore disordine fino a giungere al linciaggio e dunque all’abolizione della legge), in Gli indomabili eventi diversi vengono presentati simultaneamente come parte del più ampio processo di colonizzazione, fornendo una rappresentazione della frontiera americana molto più complessa rispetto a quella del film di Curtiz. Quest’uso stratificato dell’immagine, che permette di mostrare più cose contemporaneamente, è tipico di Dwan (sebbene l’uso di dissolvenze e sovrimpressioni per ottenere questo risultato anche tramite il montaggio rappresenta un caso speciale) e dimostra come la famosa economia narrativa spesso chiamata in causa in relazione al suo cinema (e di cui Gli indomabili, con i suoi 71 minuti di durata, è una perfetta dimostrazione) è dovuta soprattutto a quest’incredibile capacità di manipolare il tempo attraverso una precisa organizzazione dello spazio dell’immagine, come appare ancora più chiaro nel corso del film. La sequenza si conclude con un’inquadratura dall’alto della strada principale di Tombstone, attraversata da una grande folla di persone. Questa strada e questa folla sono destinati a fare da sfondo alla storia del film, rappresentano il paesaggio, allo stesso tempo estraneo e familiare, dentro cui i personaggi si muovono. Ognuno dei personaggi principali – il pistolero Doc Halliday (sic) (Cesar Romero); la sua amante Jerry, cantante da saloon (Binnie Barnes); Sarah Allen, la sua vecchia fiamma venuta a Tombstone a cercarlo (Nancy Kelly) – viene introdotto attraverso un movimento di macchina che lo isola dalla folla e dall’ambiente che lo circonda. Fa eccezione a questa regola proprio Wyatt Earp, la cui particolare entrata in scena merita per questo un ulteriore approfondimento.
Fotogrammi tratti dalla sequenza de Gli avventurieri.
Fotogrammi tratti dalla sequenza de Gli indomabili.
La scena in questione inizia con la tenera inquadratura di una madre che culla il figlio cantandogli una ninna-nanna, bruscamente interrotta da un rumore di spari; una panoramica subito ci sposta dall’interno all’esterno, riportandoci di nuovo nella strada principale dove vediamo una folla di persone fuggire spaventata (ancora una volta Dwan ci tiene a mostrare la contiguità di situazioni tra loro opposte). Scopriamo che gli spari che abbiamo sentito provengono dal Bella Union, dove un indiano ubriaco ha iniziato a sparare all’impazzata. Tra la folla che si riunisce davanti all’hotel di fronte al Bella Union ci sono anche il sindaco e il marshal di Tombstone. Quest’ultimo si rifiuta di andare ad arrestare l’indiano. Una voce sarcastica esclama: «A nice lot of law you got here!». La folla si guarda intorno per capire chi ha parlato, ma la voce proviene dall’esterno dell’inquadratura. Uno stacco di montaggio ci mostra infatti Wyatt Earp (era sua la voce sarcastica) che da una balconata si lamenta del disordine che gli impedisce di dormire. Seguono una serie di campi e controcampi tra Earp e la folla sottostante, in cui Wyatt afferma di poter arrestare l’indiano «if it was any of my business», affermazione a cui segue la risposta del sindaco: «Well, you come down here and I’ll make it your business». Dunque, Wyatt, che era inizialmente fuori campo, scende infine dalla balconata, in modo da poter entrare nella stessa inquadratura degli abitanti di Tombstone e ricevere così la stella di marshal dal sindaco: anche l’integrazione dell’eroe nella comunità viene dunque espressa in questo modo in termini spaziali.
Scena di introduzione di Wyatt Earp.
Come già accennato in precedenza, l’organizzazione dello spazio è in Dwan funzionale alla concisione narrativa che caratterizza i suoi film. Per spazio si intende qui sia lo spazio dell’inquadratura, quindi, detto in altri termini, l’organizzazione del profilmico, sia lo spazio geografico del set. Per quanto riguarda il primo, ci si riferisce in particolare alla capacità di Dwan di mostrare nella stessa inquadratura due o più cose contemporaneamente. All’indiscrezione dei primi piani, di cui fa un uso accorto, Dwan preferisce i piani americani o i campi medi, che gli permettono di mostrare ogni dettaglio in relazione al suo contesto, ogni individuo in relazione al suo ambiente. Ne deriva una concezione dell’inquadratura come spazio completo in sé stesso, un campo che ha già in sé il suo controcampo (cosa che rende ancora più significativo il fatto che, quando Earp compare per la prima volta nel film, egli sia inizialmente fuori dall’inquadratura). Tutto ciò dimostra anche una fedeltà, da parte di Dwan, all’epoca del muto e dei suoi tableaux, in cui il regista americano ha raggiunto alcuni degli esiti più sublimi in questo senso, per esempio nell’eccezionale The Good Bad Man (1916), uno dei suoi film migliori. Valga come esempio il fotogramma tratto da The Good Bad Man riprodotto di seguito, dove troviamo almeno tre livelli, o strati: nel primo i due amanti, nel secondo l’amico geloso e nel terzo la gente che balla nell’altra stanza. Ritroviamo una simile composizione dell’inquadratura in Frontier Marshal, conferma di come il film sia da considerarsi parte di un discorso artistico sullo spazio e sulla messa in scena iniziato più di venti anni prima.
Fotogramma tratto da The Good Bad Man.
Fotogramma tratto da Gli indomabili.
Esempio di inquadratura “stratificata” ne Gli indomabili.
Ma simili “stratificazioni” dell’immagine possono rintracciarsi anche altrove nel film, per esempio nella scena dell’intervento chirurgico di Pablo, il figlio del proprietario del saloon, colpito accidentalmente da una pallottola durante una sparatoria: a un primo livello troviamo Jerry e Sarah, prima nemiche, che collaborano per aiutare Doc, ad un secondo livello Doc che pratica l’intervento e ad un terzo la folla che assiste preoccupata, tra cui il padre del bambino.
Ma per spazio si intende, come già accennato, anche quello geografico del set, che non è meno importante. Nel corso di Frontier Marshal viene stabilita una geografia molto precisa, così come accade in altri western di Dwan (si pensi a La campana ha suonato [Silver Lode, 1954], o a Stirpe maledetta [The Restless Breed, 1957]), che ha il suo centro proprio nella strada principale di Tombstone, più volte attraversata dai personaggi del film. Questi attraversamenti sono spesso mostrati tramite delle panoramiche, in modo da preservare sia l’integralità dei movimenti degli attori che quella dei luoghi. Ad ogni modo, Dwan cerca sempre di rendere il più possibile chiare le coordinate spaziali di ogni scena, mantenendo dunque una concezione unitaria dello spazio, anche quando la posizione degli attori rende necessario dividere l’azione in più inquadrature. Un ottimo esempio di ciò è la scena della sparatoria all’O.K. Corral. Ciò che è interessante notare in questa scena, però, non è solo come Dwan riesca con poche inquadrature a rendere chiara la disposizione dei vari personaggi nello spazio, ma anche il fatto che l’O.K. Corral sia posizionato a solo un edificio di distanza dal bar di fronte al quale la banda di Curly Bill uccide Doc (un carrello laterale ci mostra il cammino di Earp dal bar fino al corral): tutto accade dunque sostanzialmente nello stesso luogo e nell’arco di pochissimo tempo, se si considera inoltre che l’assassinio di Doc avviene subito dopo che quest’ultimo ha terminato l’intervento su Pablo salvandogli la vita, ad ulteriore dimostrazione che ogni cosa a Tombstone è sempre ad un passo dal suo opposto (prima di uscire dal bar, Sarah gli chiede: «Isn’t it more thrilling to give life than to take it away?»).
Fotogrammi tratti dalla scena della sparatoria all’O.K. Corral. Da notare come la montagnola di sacchi faccia da facile punto di riferimento geografico all’interno delle varie inquadrature.
Passano, di fatto, appena tre minuti tra l’assassinio di Doc e la fine della sparatoria finale, che si conclude con la morte di Curly Bill, non per mano di Earp ma di Jerry: quando Bill esce dall’O.K. Corral per recuperare il suo fucile, è proprio Jerry, ancora in lacrime vicino al cadavere di Doc, che gli spara alle spalle. Tutto ciò dimostra quel che si diceva all’inizio, e cioè che la compressione del tempo del racconto nel cinema di Dwan è di fatto legata ad un’equivalente compressione dello spazio. Ciò che sembra interessare particolarmente Dwan è mostrare infine come la vita della frontiera si poggiasse sulla difficile coesistenza di cose e circostanze contrastanti, la cui vicinanza è causa, nel film, del rapido capovolgimento delle situazioni: anche la difficoltà del mestiere di frontier marshal è dunque per Dwan una questione di spazio.
NOTE
1. P. Bogdanovich, Allan Dwan: The Last Pioneer, Praeger Publishers, Inc., New York, 1971, p. 122.
2. K. Brownlow, The War, the West and the Wilderness, Alfred A. Knopf, New York, 1978, p.180.
3. P. Bogdanovich, Op. cit., pp. 121-122.