Il desiderio en abime

Quando il film uscì nel 1992 la gran parte dei critici aprì il fuoco su Brian De Palma. Il plotone di esecuzione fu trasversale, ad ogni latitudine, e rimproverava al regista di Newark le solite mancanze e smemoratezze: manierismi, autocitazioni, mancanza di verosimiglianza, buchi narrativi e gravi incongruenze della sceneggiatura. Dimenticando così l’intento di destrutturazione del thriller classico che De Palma porta avanti sin dai tempi post-avanguardisti di Murder à la Mod [id., 1968]: nel caso di Doppia personalità – Raising Cain [Raising Cain, 1992] si prendono due classici del genere come L’occhio che uccide di Michael Powell [Peeping Tom, 1960] e Psyco [Psycho, 1960] di Alfred Hitchcock, si frullano insieme mescolando citazioni e rimandi, si rielabora il tutto con una operazione iconoclasta che rimanda alla Pop Art, richiamando l’approccio di Andy Warhol al Cenacolo vinciano. La crisi del diegetico1 fa sì che la struttura classica della narrazione noir si frammenti in pianisequenza, distorsioni grandangolari, moltiplicazione dei punti di vista (gli schermi televisivi, le telecamere), rotazioni a 180 gradi (la scena del bosco): la copia che viene prodotta ha una nuova forma che riflette la poetica del suo autore. Quando Picasso rifà Las Meninas di Velásquez trasforma le figure classiche della pittura seicentesca in stilizzazioni astratte, ponendo la sua firma inconfondibile sull’operazione. De Palma parte con una storia molto semplice: Carter Nix (John Litghow) è uno psichiatra che vuole dimostrare alcune teorie di fisiopatologia dell’età evolutiva sulla propria figlia; nel frattempo la moglie Jenny (Lolita Davidovich), dottoressa trascurata e insoddisfatta, inizia una relazione adulterina con il marito di una sua paziente. Le due storie si intrecciano e si rincorrono tra loro in un cortocircuito di paura e desiderio: generando sogni indistinguibili dalla realtà, persino incubi contenuti dentro matrioske oniriche come nella scena “madre” del “paranoid park”.

Sin dai primi minuti di film si inserisce il tema della personalità multipla e delle proiezioni soggettive di Carter all’interno di un racconto oggettivo. Per differenziare il punto di vista, De Palma usa una ripresa obliqua, dall’alto o dal basso, spesso deformata rispetto all’inquadratura precedente. Esemplificativa la prima comparsa di Cain, il doppio malvagio che prende il sopravvento nel momento in cui Carter deve compiere un omicidio o un rapimento. Mentre Carter è inquadrato in piano medio, Cain è rappresentato con una angolazione inclinata.

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Il titolo Raising Cain assume dunque una multipla valenza: da un lato rappresenta l’emergere del male nel momento in cui ostacoli si frappongono alla realizzazione del piano, dall’altro sottolinea che all’interno della stessa famiglia si possano allevare personalità malvagie. È anche il riferimento al libro del Dr. Nix Raising Cain: The Creation and Evolution of the Multiple Personality; infine è citazione parodica di un famoso saggio di Pauline Kael2 su Quarto potere [Citizen Kane, 1941] di Orson Welles. E la figura patriarcale del Dr. Nix assume connotazioni da incubo proprio nella percezione del figlio Carter. Il primo incontro tra i due è rappresentato da De Palma con un grandangolo distorto in cui la mano molestatrice appare gigante, a ricordare gli abusi dell’infanzia.

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L’avversione di De Palma per la psicoanalisi è abbastanza evidente: nei suoi film gli psichiatri o abusano dei propri figli o si travestono da assassini per rimuovere la propria impotenza (confronta con l’analisi di Vestito per uccidere [Dressed to Kill, 1980] presente su Lo Specchio Scuro). Il discorso di De Palma non è freudiano o junghiano, ma fa riferimento a una questione di stile. Non importa quello che racconto, importa come lo racconto. Con questo uso spericolato della grammatica filmica, allo spettatore rimane, fino all’ultimo fotogramma, il dubbio sulla effettiva veridicità delle figure di Cain e del Dr. Nix, proiezioni di una soggettività perturbata che alle violenze psicologiche del padre somma il tradimento della moglie Jenny. Quest’ultima ipertrofizza l’empatia verso la paziente morente e trasferisce il suo fallimento professionale con una possibile continuità della vita rappresentata dall’innamoramento. Ma il desiderio sessuale porta in sé le stimmate del senso di colpa: vicino al letto d’ospedale Jenny e Jack si innamorano proprio mentre la moglie di quest’ultimo sta agonizzando. De Palma si inventa un raccordo in asse spaventoso sugli occhi spalancati delle donna tradita che associano l’orrore scopico al senso di colpa.

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La figura di Jenny è centrale nella economia del racconto: è proprio la relazione clandestina con il grande amore Jack a determinare la «scena primaria» che si svolge nel parco in pieno giorno. L’ingresso di Jenny nel tunnel del desiderio è preannunciato dalla scena nel negozio di orologi.

Sulle note da carillon di Pino Donaggio (qui all’ultima collaborazione con De Palma dopo Carrie – Lo sguardo di Satana [Carrie, 1976], Vestito per uccidere, Blow Out [id., 1981] e Omicidio a luci rosse [id., 1984]), Jenny si trova ironicamente intrappolata nella televisione a forma di cuore e vaga all’interno del negozio fino a quando i suoi occhi si fermano su una serie di orologi musicali. Il tema del tempo perduto e della memoria di un passato felice sono l’innesco di una catastrofe psico-temporale che continua ad autoalimentarsi in uno sguardo sempre rivolto a spiare, osservare, studiare.

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La scena dell’amplesso tra gli amanti è un puro trionfo di voyeurismo: lo spettatore guarda Jenny che è guardata da Nix che ha il timore di essere scoperto dalla moglie. Non sappiamo dove finisca la paura di osservare e inizi il desiderio di eccitarsi spiando o essendo spiati. Jenny registra a livello subconscio, durante l’amplesso con Jack, lo sguardo duplice (masturbatorio-omicida) del marito. Sia Jenny che Carter vivono una perdita di soggettività in relazione alle avventure del desiderio3.

Da questo momento in poi Raising Cain si frammenta in mille pezzi, diventando uno spazio del pensiero desiderante, in un tempo infinitamente circolare. Il desiderio en abime genera prima la paura di avere invertito i regali (non a caso un orologio carillon) e infine di essere trafitti dalla spada della statua equestre (del Palazzo della Legione d’Onore a San Francisco) come punizione per il tradimento consumato nella camera del residence di Jack. In realtà l’unico vero congresso carnale avviene nel parco e determina un rovesciamento delle gerarchie narrative facendo perdere allo spettatore l’orizzonte della visione. Se all’inizio le telecamere a circuito chiuso spiano una bambina ignara di essere oggetto di uno studio psicopatologico, il voyeurismo si trasforma in follia omicida proprio quando il soggetto osservato si rende conto di essere oggetto di una distorsione che rimanda all’infinita mutevolezza del visibile. Stavolta non ci sono specchi o altri dispositivi a facilitare la desoggettivazione e la messa in abisso: tutto ha origine dalla perversione dello sguardo che, aiutato dalla dinamica dei tradimenti (del padre, del figlio, dell’amante), ribalta l’orizzonte degli eventi4.

Gli amanti colti in flagrante generano il dubbio sull’effettiva progressione narrativa: è difficile incollare i pezzi di un puzzle senza farli coincidere, il feticismo del dettaglio in De Palma diviene mania: dopo Cain, appaiono Josh (il bambino molestato) e Margo (il Super-io materno protettore). Carter sopprime la moglie soffocandola con un cuscino e poi cerca di farla annegare in una scena che è citazione diretta di Psyco. Il desiderio occulta il proprio oggetto, lo oscura a tal punto da renderlo irriconoscibile, infine la pulsione sessuale si trasforma in pulsione di morte5.

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È la dimensione inconscia di Jenny che si sobbarca il rimorso di coscienza del tradimento e le sue divagazioni oniriche si avvolgono su se stesse come in un nastro di Möbius, portando alla collisione e all’implosione di passato, presente e futuro: nelle immagini dei suoi incubi vi sono sia tracce premonitrici (la statua equestre con la spada fallica) che dettagli di risoluzione del giallo (l’ombra del marito guardone) che scambi di regali rivelatori di scambi di persona (il doppio con l’impermeabile). Questa parte onirica che ha fatto storcere il naso alla maggioranza dei critici, è invece una vera e propria sperimentazione con successivo cambio del punto di vista da Carter a Jenny e poi alle personalità multiple di Carter. Il frequente ricorso alla focalizzazione interna ha a che fare con la valenza voyeuristica del film, fatto di «sguardi celibi che barrano e sostituiscono la soddisfazione sessuale continuamente frustrata»6. Le immagini non riflettono mai il presente ma i ricordi dei due protagonisti ed è bravissimo John Lithgow a tramutarsi da marito distrutto (come il povero Jake Scully in Body Double) in Peeping Tom omicida nello spazio di un carrello laterale.

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Il ricorso al piano sequenza per De Palma non significa massima aderenza al reale secondo la teoria di Bazin7, ma la bellezza del falso che sostituisce lo splendore del vero: esemplificativi sono i 4 minuti e 14 secondi che seguono il percorso di una doppia rampa di scala fino all’ascensore della dottoressa Waldheim scortata da due poliziotti. La psichiatra, imparruccata come l’assassino di Psyco, racconta la storia del dottor Nix e di suo figlio, scendendo e risalendo i piani dell’edificio del commissariato, guidata dal tenente Terri (il mitico Gregg Henry) che la corregge varie volte nelle sue traiettorie peripatetiche. La scena assume una citazione indiretta dei resoconti psichiatrici finali che chiudono Psyco e inseriscono il grottesco della messa in abisso di ogni approccio razionale. La spiegazione psichiatrica delle personalità multiple si risolve in un salire-scendere le scale di un dipinto di Escher, in cui il loop non consente più di identificare il senso del percorso e anche la veridicità di tali affermazioni. L’autorità medica viene ad essere destituita e gli stessi poliziotti ritengono la donna un po’ svitata, facendo la tara alle sue dichiarazioni. Qui il postmoderno sembra riflettere sul proprio statuto, rimettendosi in discussione8.

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I primi tre fotogrammi sono relativi al pianosequenza nel commissariato, evidentemente ispirato alla litografia Relativity [1953] di M.C. Escher 

L’altra scena da ricordare è il sottofinale giocato in verticale su tre piani, nel quale un ascensore fa da trait d’union di situazioni pronte a trovare l’adatto climax. Jack a piano terra, la carrozzina eisensteiniana al primo piano, con il tenente Terri incapace di una presa plastica al volo; al secondo piano i tre contendenti con bambina in caduta libera.

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Ricordiamo che anche in Psyco erano similmente presenti tre livelli: la cantina del subconscio, il piano terreno del’Io e il primo piano del Super-io. L’analisi di Žižek però non sembra adattarsi al film di De Palma che tende a sfuggire ad ogni classificazione filosofica freudiana.

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Raising Cain infatti non è un thriller, non è un giallo, non è un trattato di psichiatria. Da qualsiasi parte lo si osservi sfugge ad ogni definizione. È un film sperimentale e antispettacolare dove De Palma tenta di accalappiare l’interesse dello spettatore cercando di fondere paura e desiderio fino a ricorrere alla soggettiva allucinata. La maggior parte di critici e di spettatori si innervosisce, noi preferiamo abbandonarci alla forza delle immagini e alla girandola di citazioni e sottocitazioni. In Psyco c’era Norman Bates con madre morta e una donna con il complesso di colpa per un furto commesso per coronare il suo sogno d’amore. In Peeping Tom un padre che usava violenza psicologica al figlio. Pensate alla storia di Raising Cain e non potete fare a meno di avere una smorfia ironica, come quella dell’imparruccata Margo nell’agghiacciante finale del film. De Palma in 95 minuti porta a compimento un’operazione che va in direzione contraria all’anti-racconto moderno, ossia al flusso di coscienza che sabota la narrazione9. Al contrario sviluppa uno dei rari esempi di iper-racconto postmoderno, elaborando una rete diegetica che moltiplica la narrazione fino a disperderla e che fa emergere l’umano attraverso l’assurdo10. Mettere in abisso il desiderio è sognare talmente forte da far sembrare tutto vero.

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NOTE

1. C. Bisoni, Brian De Palma, Le Man (Genova), 2002 pp. 199-204

2. P. Kael, Raising Kane, The New Yorker, 1971

3. P. Bertetto. Microfilosofia del Cinema, Marsilio (Venezia), 2014, p.21 

4. A. Costa. La mela di Cézanne e l’accendino di Hitchcock, Piccola Biblioteca Einaudi (Torino), 2014, pp.170-175

5. O. Pourriol,  Cinefilosofia, De Agostini (Novara), 2009, p. 136

6. R. Nepoti, Brian De Palma,  Il Castoro Cinema (Torino), 1995, pp. 104-109

7. A. Bazin, Che cosa è il cinema, Garzanti (Milano), 1990, pp .89-90 

8. L. Jullier, Il cinema postmoderno, Kaplan (Torino), 2006, pp. 95-100

9. S. Daney. Il cinema e oltre, Il Castoro (Torino), 1997, p. 257 

10. V. Buccheri, La scienza del sogno, Il Castoro (Torino), 2010, pp 98-99