Film «lussuoso e barocco», in cui i corpi entrano nell’immagine come il sognatore entra nel proprio sogno, Malgré la nuit [id., 2015] di Philippe Grandrieux si presenta come una summa del lavoro di finzione del regista e, allo stesso tempo, come un metatesto centrale della sua filmografia, proseguendo il discorso autoriflessivo incominciato dall’autore con il fondamentale White Epilepsy [id., 2012]. Come quest’ultimo, infatti, Malgré la nuit propone una riflessione su alcuni elementi chiave del cinema grandrieuxiano (il rapporto di coalescenza tra visibile e invisibile, la nozione di figura, ecc.), facendo del processo di costruzione delle immagini – la “lotta” sostenuta dall’autore per arrivare alla propria opera – il soggetto del film. Non solo: Malgré la nuit sviluppa anche un’acuta riflessione sulla figura del fantasma, sempre più centrale nel cinema contemporaneo (europeo e non: si pensi a Blackhat [id., 2015] di Michael Mann). Come i dipinti di Francis Bacon ridiscutevano la nozione di realismo nell’epoca dell’affermazione dell’espressionismo astratto, così Malgré la nuit è innanzitutto un’opera che affronta e smaschera la natura simulacrale delle immagini contemporanee oscillanti tra le tentazioni illustrative di un realismo piatto e i rischi dell’astrazione digitale, inseguendo i fantasmi di un Reale solo apparentemente scomparso, che Grandrieux evoca, alla maniera del pittore irlandese, attraverso il primato di realtà del proprio gesto creativo – del lavoro sul set.
Per questo, nello speciale, a partire dall’analisi di Malgré la nuit fino alle interviste con il regista e il direttore della fotografia, Jessica Lee Gagné, abbiamo deciso di fare particolare attenzione ai processi di incarnazione del film: sono questi, come abbiamo ripetuto più volte nel corso degli altri saggi dedicati al regista, il vero soggetto del «cinema d’azione» di Philippe Grandrieux.
Malgré la nuit, a cura di Lorenzo Baldassari. (translated into English)
Malgré la nuit rappresenta non soltanto la naturale prosecuzione del cinema di finzione di Grandrieux, ma anche la riformulazione, in un contesto apparentemente più narrativo, delle riflessioni sviluppate dal regista nella realizzazione degli sperimentali White Epilepsy e Meurtrière, dove l’atto di creazione risultava decisamente più importante del suo esito. La domanda centrale nel cinema di Grandrieux è sempre la stessa: che tipo di relazione si instaura tra l’oggetto che sta dinanzi alla macchina da presa, l’immagine che lo rifigura e il corpo del regista che agisce da medium? Con la realizzazione di White Epilepsy e Meurtrière, Grandrieux è arrivato, passando attraverso un cinema popolato da fantasmi digitali, alle stesse conclusioni di Bacon: catturare «il mistero dell’apparenza» è un’operazione sinestetica ed intensiva sempre più slegata dalla realtà (ma non dal Reale), che mira a produrre immagini parzialmente accidentali (come per La Vie nouvelle, in Malgré la nuit Grandrieux non ha guardato i rushes durante le riprese), indipendenti da ancoraggi referenziali, che gridano presenza in un modo assoluto. Perché l’arte, ricorda Grandrieux citando Blanchot, nasce da una sconfitta eccezionale: la vita non si può rappresentare. Non resta allora che affidarsi a casualità manipolate, come Bacon ha confidato al critico britannico David Sylvester, per rompere con la rappresentazione e ritrovare quella bellezza che «salverà il mondo» a cui le immagini contemporanee, ridotte a vuoti simulacri, non sembrano essere più interessate. continua…
Malgré la nuit: Intervista con Philippe Grandrieux, a cura di Lorenzo Baldassari (in English)
Philippe Grandrieux: «Amo molto il dialogo fra Bacon e Sylvester, in particolare il punto in cui Bacon racconta che quando metti la pittura non sai che forma apparirà sulla tela, e come due forme andranno a legarsi l’una all’altra: possono diventare un deserto o un topo, perché non puoi sapere ciò che stai cercando e raggiungendo prima che le cose appaiano davanti a te. Quest’aspetto è davvero importante per il mio lavoro, se sapessi in anticipo cosa sto facendo non potrei fare nulla. Ovviamente devi sapere qualcosa perché devi prepararti, ma quando comincio le riprese è qualcosa di diverso. La luce nel film esprime esattamente questo. Ho deciso di mettere la luce intorno all’obbiettivo, in modo tale che la luce e la camera diventassero la stessa cosa. Ho utilizzato un anello di luce, ho messo un anello di LED intorno all’obbiettivo, così quando giravo stavo filmando e illuminando la scena con lo stesso movimento. Talvolta chiedevo al d.o.p. di aumentare l’intensità della luce, soprattutto quando mi avvicinavo ai volti, quando mi avvicinavo ai corpi, così improvvisamente i volti e i corpi diventavano eccessivamente luminosi. Alla fine è stata una notte misteriosa, una notte luminosa, una notte accecante quella in cui mi sono addentrato, e l’ho fatto con la camera e la luce puntati nella medesima direzione.» continua…
Malgré la nuit: Intervista con Jessica Lee Gagné, a cura di Lorenzo Baldassari e Alberto Libera (in English)
Jessica Lee Gagné: «Malgré la nuit non è mai stato pensato come un film dominato dal buio, l’illuminazione è stata concepita per essere unidirezionale e in una condizione di continuo movimento. Era necessario che cambiasse durante le inquadrature e, talvolta, tra una ripresa e l’altra, Philippe avrebbe potuto chiedere una maggiore luminosità e noi di conseguenza avremmo dovuto aggiungere una luce oppure aprire il diaframma e quindi muoverci in una direzione completamente opposta rispetto a quella determinata dal buio completo. Più ci allontavamo dal far sembrare le cose reali, più eravamo felici, dovevamo sentirci come se fossimo in un sogno.» continua…