Tra il 1969 e il 1977, in mezzo a numerosi capolavori, Robert Altman realizza tre film che indagano in profondità l’anima e il cuore di personaggi femminili dall’Io franto e dissociato, mettendo in luce con straordinaria intensità il loro rapporto con una realtà sempre più mutevole e indecifrabile.
Le opere in questione, ancora in attesa della giusta rivalutazione critica, sono Quel freddo giorno nel parco (1969), Images (1972) e Tre donne (1977)
Buona lettura.
Quel freddo giorno nel parco, a cura di Nicolò Vigna.
Quel freddo giorno nel parco [That Cold Day in the Park, 1969] di Robert Altman può essere considerato il primo tassello di una ideale trilogia sulla schizofrenia femminile, continuata con Images [id., 1972] e conclusa, otto anni più tardi, con Tre donne [3 Women, 1977]. Tre film che costituiscono, tematicamente, quasi un capitolo a parte nella filmografia del prolifico regista americano, e che dimostrano la capacità di Altman di portare alla luce, con il suo cinema, non solo le contraddizioni del sistema (hollywoodiano e, più in generale, americano), ma le falle stesse dell’animo umano. Tre film che dimostrano la disinvoltura dell’autore di Nashville [id., 1975] nel riuscir a passare dai «fantasmi dell’inconscio collettivo» a quelli dell’«inconscio individuale» mantenendo vive quelle sperimentazioni stilistiche che lo avrebbero reso, negli anni, forse il più rappresentativo cineasta di una intera generazione.
Certo, il cinema di Altman è ben lungi dal poter essere facilmente classificato o piegato a semplici schematismi. Eppure, i tre film sopra citati possiedono fra loro più di un punto in comune nello sviluppo di alcune tematiche specifiche. È, in primis, l’universo femminile ad essere chiamato in causa, attraverso inquietanti giochi di specchi, di «transfert, di scissioni, di sdoppiamenti, di mutamenti di ruolo e di funzione». Protagoniste sono appunto le donne, spesso sole (Quel freddo giorno nel parco), che vivono un complicato rapporto con il passato (Images). Spesso vivono in luoghi chiusi o isolati: specchi esteriori delle loro inquietudini.
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Images, a cura di Alberto Libera.
Alla visione, l’intreccio di Images si manifesta chiaramente come la materializzazione di incubi, paure, impulsi, sogni, desideri e fantasmi partoriti dall’inconscio della protagonista; da quello che Hegel, con una bellissima espressione, definì «il pozzo notturno dell’Io. Metaforicamente, la scenografia stessa ideata da Altman con Leon Ericksen si può interpretare come un tentativo di visualizzazione delle pareti dell’inconscio entro cui si dipana la vicenda. Una scenografia asettica che la mente di Cathryn popola progressivamente di presenze (e, conseguentemente, satura di décor) e si distingue per la pervasiva presenza di dominanti cromatiche bianche.«L’inconscio è quel capitolo della mia storia che è marcato da un bianco od occupato da una menzogna: è il capitolo censurato», scrive Lacan
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Tre donne, a cura di Nicolò Vigna.
Tre donne è, in primis, l’occasione per il regista de Il lungo addio [The Long Goodbye, 1973] di dichiarare esplicitamente il proprio amore nei confronti del cinema europeo, come mai prima d’allora. In particolare, il debito con il cinema di Ingmar Bergman è lampante. Tre donne può essere infatti considerato una sorta di “versione americana” di uno dei film più celebri del cineasta svedese, Persona [id., 1966]. Il film di Altman, al pari del capolavoro bergmaniano, affronta casi di personalità multiple, di doppi e di scambi identitari, visti attraverso una cornice dichiaratamente onirica. Tre donne sviluppa dunque ulteriormente il tema della schizofrenia femminile già affrontato nei due film precedenti (Quel freddo giorno nel parco e Images), ampliandolo, come suggerisce il titolo, a ben tre figure: Millie (Shelly Duvall); Pinky (Sissy Spacek); Willie (Janice Rule). Altman scinde l’io femminile in tre personaggi le cui relazioni fra loro vengono continuamente riscritte e messe in discussione nel corso del film. Un’opera, questa, in cui il sonno e la veglia spesso si confondono, complicando continuamente lo statuto di realtà del rappresentato. Così come incerto è il senso ultimo del film: perché il film di Altman, come vedremo, suggerisce più che spiegare, allude più che chiarire.
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