Un anno esatto dall’uscita in sala è parso un tempo minimo sufficiente per estratte Blackhat [id., 2015] dalle norme dell’esperienza e inserirlo nel limbo della memoria. Straziante flop al botteghino per i suoi caratteri d’avanguardia inscritti all’interno di un processo produttivo industriale, l’ultimo film di Michael Mann si rivela invece un’opera di straordinario interesse per riflettere sulla contemporaneità, non solo cinematografica. Dal prepotente emergere della figura centrale del fantasma (comune per giunta anche a molto cinema europeo, da Christian Petzold a Philippe Grandrieux), al ripensamento del ruolo del corpo nell’era postmediale, dall’autoriflessione sulle possibilità di rappresentare il virtuale (e, per certi versi, l’invisibile) alla sperimentazione delle potenzialità d’espressione offerte dalla tecnologia digitale: sono solo alcuni degli snodi che vengono affrontati dai tre articoli che compongo lo speciale.
Si inizia con la dettagliata analisi del film e si conclude con un consuntivo delle inclinazioni e delle tendenze che hanno informato l’epica del cyberpunk, e che Blackhat in qualche modo contemporaneamente riprende, aggiorna e supera. In mezzo, un’importante intervista al critico Pier Maria Bocchi, il maggior studioso italiano del cinema di Michael Mann.
Blackhat, a cura di Alberto Libera
C’è però, tra i precedenti manniani, un titolo che più di tutti viene continuamente riecheggiato in Blackhat. Si potrebbe quasi dire che quest’ultimo sia, latentemente, un criptoremake o una parafrasi di Heat – La sfida aggiornato al presente pantecnologico. Se nel film del 1995 “la sfida” era concertata attraverso una doppia presenza speculare in cui i corpi attoriali erano il polo attrazionale, in Blackhat (uscito a venti anni esatti di distanza) la contesa si fonda invece sul nesso presenza/assenza. Il corpo di Sadak irrompe (esclusa la breve inquadratura di spalle nell’incipit) solo nella parte finale, ma la sua “presenza” fantasmatizzata guida costantemente le azioni di tutti i personaggi coinvolti (e se l’incontro topico tra Hanna e McCauley in Heat avveniva tête-a-tête in una tavola calda, in Blackhat quello tra Hathaway e Sadak è mediato da un’ennesima linea di separazione: il telefono). La vulnerabilità di Sadak affiora nel momento in cui diventa esso stesso materiale, quindi direttamente visibile, filmicamente comprensibile. C’è un’ulteriore direttrice infatti che il film insegue: il tentativo disperato del cinema (quivi potenziato dall’iper-definizione del master digitale che rende ogni dettaglio perfettamente nitido) di raggiungere una dimensione autarchica di onniscienza visiva. Il tentativo di visualizzare l’intangibile o l’invisibile. continua…
Architetture di sguardi: intervista con Pier Maria Bocchi a proposito di ‘Blackhat’, a cura di Alberto Libera
Ai tempi di Strade violente e di Manhunter, i personaggi manniani sceglievano la rinuncia alla realtà (alla vita?) per risolvere – o tentare di risolvere – le cose… col rischio di non potervi più rientrare, nella realtà… In questo senso, mi sembra dunque che il cinema di Mann abbia sempre messo in scena delle ghost stories: se per fantasmi intendiamo uomini che decidono di seguire il proprio istinto e il proprio ruolo, a costo di rinunciare consapevolmente alla realtà e alla vita, allora sì, i film di Mann sono delle ghost stories… continua…
William Gibson e Blackhat: universi a confronto, evoluzioni e tendenze, a cura di Gabriele Suffia
È una precisa scelta di superamento, si lasciano indietro le immagini fantascientifiche di Tron, le fantasie da “Repubblica del Desiderio” di Gibson, le idee che l’informatica possa essere qualcosa di positivo o negativo di per sé, che il mondo virtuale sia una realtà espansa carica di possibilità e di felicità per tutti. Tutti frammenti che, davvero, nel bene e nel male, in positivo o in negativo, avevano descritto i paradigmi degli ultimi trent’anni. Per farla breve, Blackhat accantona progressivamente hardware e software per lasciare al centro della scena l’unico componente in grado di decidere come utilizzare e utilizzarsi: lo humanware. continua…