I have forgotten a lot of things. I am losing my memory. What’s my name?
[Florentina Hubaldo, CTE, Lav Diaz, 2012]
Nel panorama dell’editoria sul cinema, il libro-intervista non è una novità. Pensiamo al fondamentale Il cinema secondo Hitchcock di Truffaut o alla serie di volumi editi da Minimum Fax che raccolgono anni di interviste a grandi nomi della settima arte, come Non ho risposte semplici, con Kubrick come protagonista, o Perdersi è meraviglioso su David Lynch. Action! Conversations with Lav Diaz (Massimiliano Piretti Editore) di Michael Guarneri si colloca nella lunga e fortunata tradizione di questo format e racchiude sette interviste condotte nell’arco di dieci anni ad uno dei nomi più influenti dello slow cinema contemporaneo, il regista filippino Lav Diaz.
Naked under the Moon [Hubad sa ilalim ng buwan, 1999].
Il volume si estende per circa 190 pagine e fa luce sulla poetica e sulla storia dell’autore di Death in the Land of Encantos [Kagadanan sa banwaan ning mga engkanto, 2007]. Numerose sono le interviste reperibili online nelle quali Diaz riflette sulla propria filmografia: una su tutte, Emancipated Cinema, presente sul canale YouTube di Mubi1. Tuttavia, grazie a Guarneri le interviste racchiuse in Action! favoriscono un approfondimento a tutto tondo dell’opera del regista filippino. L’immagine di Diaz che emerge, infatti, risulta arricchita da un maggior numero di dettagli che contribuiscono ad una comprensione più profonda della sua poetica.
Prendiamo, ad esempio, la rievocazione dell’esperienza vissuta da Diaz nel mondo del cinema commerciale. A più riprese, Guarneri e Diaz discutono del passato dell’industria cinematografica nelle Filippine. Ciò che ne emerge è un sistema in cui le maestranze erano sottoposte a condizioni di quasi schiavismo: «The pito-pito (“seven-seven”) was one of the most exploitative and brutal schemes ever done in film production»2, ricorda il regista con parole che fanno quasi rima con lo «sfruttamento aperto, spudorato, diretto ed arido»3 perpetrato dalla borghesia ai danni del proletariato descritto da Marx ed Engels. Diaz si sofferma poi sul periodo di malessere e di fatica psicofisica dei suoi primi lungometraggi – a proposito di Serafin Geronimo: The Criminal of Barrio Concepcion [Serafin Geronimo: ang kriminal ng Baryo Concepcion, 1998], confessa di essere svenuto durante l’ultimo giorno di riprese e di aver sofferto di una grave influenza che lo ha costretto ad assumere ingenti dosi di antibiotici4–, periodo che ha contribuito a delineare quello stile che rappresenterà una fonte d’ispirazione per un gran numero di autori indipendenti filippini (Raya Martin e Lyric De La Cruz tra gli altri). Le lunghe inquadrature, statiche e monopuntuali, che caratterizzano il suo cinema a partire da Evolution of a Filipino family [Ebolusyon ng isang pamilyang Pilipino, 2004] sono infatti una reazione al modus operandi dell’industria cinematografica filippina. È grazie alla strategia del «“full coverage” kind of shooting», caratterizzata dalla realizzazione di un numero tale di riprese da coprire ogni angolo, campo e piano in cui una data scena potesse essere frammentata5, che è venuto a definirsi un uso del piano sequenza così peculiare. È il terzo principio della termodinamica applicato al cinema: «[a]d ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria»6.
A Lullaby to the Sorrowful Mystery [Hele sa hiwagang hapis, 2016].
A partire da Evolution of a Filipino Family, ambientato durante gli anni della dittatura di Ferdinand Marcos, fino all’opera di fantascienza The halt [Ang hupa, 2019], passando per l’evocazione della rivoluzione filippina guidata da Andrés Bonifacio contro l’invasore spagnolo in A Lullaby to the Sorrowful Mystery [Hele sa hiwagang hapis, 2016], il cinema di Diaz ha mostrato una forte dimensione politica di chiaro stampo socialista. Leggendo le interviste racchiuse in Action!, tuttavia, questa dimensione, già di per sé piuttosto palese, si fa ancor più evidente e risulta chiaro come essa non inglobi semplicemente l’aspetto narrativo del suo cinema ma anche quello realizzativo. Come abbiamo accennato, è in reazione al regime di lavoro asfissiante del pito-pito che l’estetica del regista ha finito con l’assumere connotati fortemente anticommerciali già con Batang West Side [id., 2001] ed ancor di più con l’avvento del digitale (come ripete Diaz: «digital is liberation theology»7) – basti menzionare la durata non convenzionale della maggioranza delle sue opere. Come afferma nelle interviste, in questo modo Diaz vorrebbe “risvegliare” l’animo del popolo filippino8: il suo cinema non solo fissa nella memoria collettiva l’orrore vissuto in passato, i tormenti della dittatura di Marcos, del dominio giapponese e di quello spagnolo, ma evoca anche un personaggio controverso come l’attuale presidente delle Filippine Rodrigo Duterte9.
Season of the devil [Ang panahon ng halimaw, 2018].
Sebbene in diverse interviste ritornino più volte concetti già espressi in precedenza – esemplare è l’insistenza di Diaz nell’evidenziare la disastrosa crudeltà di Marcos – se tale reiterazione non risulta mai ripetitiva è soprattutto per merito di Guarneri. In particolare, è meritevole di menzione il lavoro di ricerca effettuato dall’autore del volume: le interviste che ha condotto sono spesso arricchite da una serie di riferimenti puntuali al contesto storico e socio-culturale delle Filippine.
Consigliamo dunque la lettura di Action tanto agli spettatori appassionati del cinema del regista filippino quanto a coloro che vi si avvicinano per la prima volta, grazie all’abilità di Guarneri di presentare con chiarezza l’arte e la personalità di Diaz.
The last Filipino looked up and saw a cloud. He tried to reach the cloud while the water slowly submerged him.
[Dalla Postfazione firmata da Lav Diaz di Action. Conversations with Lav Diaz]
NOTE
1. Emancipated Cinema. In conversation with Lav Diaz, https://www.youtube.com/watch?v=Eyc8nrIOWvE (url consultato in data 16/11/2020)
2. M. Guarneri, Massimiliano, Action! Conversations with Lav Diaz, Piretti Editore, p. 58.
3. K. Marx, F. Engels, D. Losurdo (trad.), Manifesto del partito Comunista, Editori Laterza, p. 9.
4. M. Guarnieri, op. cit., p. 58.
5. Ivi., p. 129.
6. I. Newton, A. Pala (a cura di), Principi matematici della Filosofia naturale, UTET, p. 115.
7. T. Baumgärtel, Southeast Asian independent cinema, University Press, p.177.
8. Vedi M. Guarneri, op. cit., p. 181.
9. Ivi., p. 175.