Le classifiche della redazione de «Lo Specchio Scuro» relative ai film usciti ufficialmente nel 2013.
LORENZO BALDASSARI
I 10 film del 2013
1. Stray Dogs [Jiaoyou] di Tsai Ming-Liang
Il capolavoro di Tsai Ming-Liang rappresenta un punto di non-ritorno per il cinema d’autore fondato sull’incanto del fuoricampo. Attraverso un Campo/controcampo geniale, il regista di Vive l’amour rivela il luogo-narrazione di tutta la sua filmografia: il murales che ipnotizza i due protagonisti nel finale è l’immagine di un passato glorioso, di un altro mondo – è il Cinema. Tutte le storie nascono e finiscono qui.
Per una quindicina di minuti, li guardiamo guardare – la torsione visiva immaginata da Tsai ci trascina letteralmente dentro l’inquadratura, dentro un altro mondo. Ci getta nell’abisso. Loro siamo noi. Il cinema di Tsai è quel murales. Brividi.
2. Solo Dio Perdona – Only God Forgives [Only God Forgives] di Nicolas Winding Refn
Come Tsai, ma con metodi opposti, Refn costruisce una prigione per lo sguardo spettatoriale: Only God Forgives è un film sull’impotenza, su una situazione di stallo. Gli stessi artifici formali di cui abusa il film vanno in questa direzione: esaltare le forze centripete del quadro, attrarre e imprigionare lo sguardo. Refn si mette a nudo, e confessa i limiti del proprio cinema: Only God Forgives è una prigione allegorica di segni, corpi, colori. Puro terrorismo formale: un film sull’agonia del cinema formalista, sullo svuotamento progressivo del segno cinematografico – sul gesto formale in sé. Da qui la stilizzazione sfinita, mai libera o gioiosa, sempre gravata dall’oscurità, dalla paura e dal senso di colpa. Dal rischio della gratuità.
2. Nymph()maniac Vol. 1 & 2 Director’s Cut di Lars Von Trier
Con Idioti, il film più importante e stratificato di Lars Von Trier; una riflessione sulla serialità; come scrive Giulio Sangiorgio su FilmTV, una metafora del cinema. Von Trier in Nymphomaniac mette a nudo il rapporto ineludibile e incestuoso fra opera artistica, mercato, pubblico e critica, rispondendo a tutte accuse ricevute durante la sua lunga e burrascosa carriera.
Pochissime opere sono state così esplicite nella storia del cinema nel rivelare i meccanismi che regolano la fruizione e la vita commerciale di un film. Da questo punto di vista, riprendendo le parole di Giona A. Nazzaro, «la campagna [commerciale di Nymphomaniac], in termini strettamente post post-moderni, può essere considerata come una sorta di film a parte. Detto con un paradosso, una sorta di pro-filmico prefilmico».
4. Hard to be a God [Trudno byt bogom] di Aleksej German
L’unico film di fantascienza possibile oggi: materico, violento, sgradevole, eccessivo. Una riflessione sulla Storia senza storia; un ufo cinematografico, tutto piani-sequenza e bianco e nero accecante. Lo schermo contiene a stento le immagini di questo film-esperienza, in particolare nel concitato prefinale, che precipita la (non) storia e le immagini del film nel buio dello schermo nero.
5. Lo sconosciuto del lago [L’inconnu du lac] di Alain Guiraudie
L’amour à mort. Un impossibile incrocio fra Hitchcock e Bruno Dumont. Guiraudie sembra adottare un’estetica naturalistica, e riprende impassibile i coiti e i bagni dei protagonisti. Ma il sesso, nel suo film, dice altro. Lo sconosciuto sul lago parla di sguardo e, soprattutto, di desiderio: passano i minuti, e il film accede a una dimensione completamente interiore. Il tutto è risolto, dumontianamente, attraverso il montaggio, i corpi, i paesaggi, il rumore del vento, gli sguardi dei protagonisti.
Un film po’ derivativo, ma perfetto, con un finale da brividi, che cita Philippe Grandrieux (in particolare La Vie nouvelle).
5. Under the Skin di Jonathan Glazer
L’ossessione scopica (grande tòpos kubrickiano) è il tema del nuovo film di Glazer. Per questo, la scelta di un’attrice famosa come Scarlett Johansson è geniale: non solo confonde i due piani, filmico ed extrafilmico, ma fa saltare i formati, mostrando i paradossi del mercato e delle formule critiche. Science-fiction? Cinema d’autore? Film da festival? Under the Skin è un’opera-limite, fra il cinema contemplativo e la videoarte. Il film più innovativo dell’anno.
7. Les Salauds di Claire Denis
Grande film politico di Claire Denis: ellittico e inafferrabile, Les Salauds si regge tutto su intesi primi piani e sulla fisicità magnetica degli attori (superlativo Lindon). Finale agghiacciante, che riversa sullo spettatore tutta la violenza che in precedenza il film aveva suggerito.
7. Camille Claudel 1915 di Bruno Dumont
Dopo il capolavoro Hors Satan, Bruno Dumont non si ripete, e intraprende una nuova, emozionante sfida: dirigere un’attrice professionista, famosa, come Juliette Binoche. Il risultato è rigoroso e, come tutti i film dumontiani, crudo e astratto allo stesso tempo.
Riprendendo l’ambientazione chiostrale di Hadewijch, Dumont estremizza filmicamente i concetti di assenza e presenza, e trasforma la struttura di cura in cui è rinchiusa Camille in un luogo mentale: Camille Claudel 1915 è l’ennesimo, indispensabile tassello della ricerca del regista, un’opera avvicinabile alla Giovanna d’Arco bressoniana.
7. Atlas di Antoine d’Agata
D’Agata trasferisce le immagini iperrealistiche del proprio universo fotografico direttamente sul grande schermo, e utilizza uno stratificato apparato visivo per informare lo spettatore, per catturarne l’attenzione e costringerlo a guardare immagini che, altrimenti, senza il filtro della patina fotografica, non saprebbe né vorrebbe sostenere. Allo stesso tempo, la scelta di pulire le immagini, estetizzarle, non funziona solo come processo di distanziamento dal profilmico: è anche un gesto che annulla lo scandalo dei corpi in scena, e che restituisce ai non attori (che, bisogna ricordarlo, sono davvero prostitute, tossicodipendenti ecc.) la dignità e la purezza che circostanze sciagurate hanno negato loro. Da qui la potente sostanza etica di Atlas. Un film necessario.
10. La moglie del poliziotto [Die Frau Des Polizisten] di Philip Gröning
Sokurov incontra i décadrage sezionatori di McQueen e Haneke nei 59 capitoli di questo film di denuncia di Philip Gröning: una sorta di video-installazione su un tema – la violenza domestica – che sembra imporsi sul filmato quasi per caso, e le cui ragioni rimangono insolute, come un puzzle di cui si sono persi i pezzi.
ALBERTO LIBERA
I PRIMI 10…
1. È difficile essere un Dio [Trudno byt bogom], Aleksej German
Da Controllo sulle strade in poi, German ha realizzato solo capolavori, ma È difficile essere un Dio è il collasso definitivo del suo cinema, l’apoteosi delle sue forme. E – per chi scrive – marca un punto di non ritorno, come Metropolis e 2001 prima di lui.
2. L’altra Heimat. Cronaca di un sogno [Die andere Heimat – Chronik einer Sehnsucht], Edgar Reitz
Quinto capitolo (non dimentichiamoci dei Fragmente) della grande saga proustiana. Reitz sa che il Tempo del Cinema non è il Tempo della Storia: un’alterità che situa il film fuori dal Tempo stesso. Una Wunderkammer e un Musée de la vie romantique. Parafrasando Enrico Ghezzi da La Verifica incerta: un film bello come lo spegnersi di una candela.
3. Follia e amore [Feng ai], Wang Bing
Un girone dantesco tra i corridoi concentrici di un manicomio cinese, dove la vera follia è quella del sistema. Un eterno ritorno nello spazio, in cui la fuga è impossibile e la corsa porta sempre al punto di partenza.
4. Norte, the End of History [Norte, hangganan ng kasaysayan], Lav Diaz
Tra Dostoevskij e Hugo, tra il romanzo dell’Ottocento e il postmodernismo, tra A Brighter Summer Day di Yang e L’umanità di Dumont non c’è separazione ma una miracolosa contiguità. Un capolavoro per i nostri tempi.
5. Història de la meva mort, Albert Serra
Horror concettuale declinato nei «piani di un verismo fantastico» [Giulio Sangiorgio], Història del la meva mort è il miglior film di uno dei maggior autori spagnoli contemporanei e getta a ritroso una nuova luce sulla sua intera filmografia.
6. Stop the Pounding Heart, Roberto Minervini
Documentario e finzione, vero e falso, cinema e vita: le categorie collassano e si dimostrano inadeguate. Il cinema di Minervini non assomiglia a quello di nessun altro. Ed è, per questo, ancora più prezioso.
7. Animo resistente, Simone Massi
Prima de L’attesa del maggio, un indimenticabile poema in forma di sogno – della durata di quattro e minuti e mezzo – in cui il grande cineasta urbinate torna a parlarci della Resistenza. A futura memoria.
8. At Berkeley, Frederick Wiseman
Dopo i due capitoli di High School, Wiseman ritorna ad indagare l’evoluzione del sistema scolastico U.S. e il suo rapporto con i mutamenti del sistema produttivo tardo capitalista. Tra Frederic Jameson e Marc Augé.
9. Solo Dio perdona – Only God Forgives [Only God Forgives], Nicolas Winding Refn
Dio è in silenzio e i suoi figli si annientano nel degrado raggelato di una Bangkok notturna. La patina è quella delle luci pastose del Club Silencio di Lynch, la stilizzazione è quella de Il vagabondo di Tokyo di Suzuki; ma il cuore è quello dello smarrimento esistenziale e identitario di Strada a doppia corsia di Hellman immerso in un tempo che è quasi sempre aiòn e quasi mai krònos.
«Un film in cui l’estetica diventa estatica.» [Matteo Marelli]
10. Tokyo Family [Tôkyô kazoku], Yôji Yamada
In principio era Cupo tramonto. Poi vennero Ozu e il suo Viaggio a Tokyo (di cui Yamada fu assistente alla regia). Sessant’anni esatti dopo, il regista aggiorna lo stesso, immortale soggetto ma non si limita alla serigrafia: l’incontro/scontro tra generazioni diventa, in filigrana, quello tra il cinema classico giapponese e quello contemporaneo.
… e altri film irrinunciabili
Alberi [Michelangelo Frammartino], L’immagine mancante [L’image manquante, Rithy Panh] Lo sconosciuto del lago [L’inconnu du lac, Alain Guiraudie], Si alza il vento [Kaze tachinu, Hayao Miyazaki], La storia della principessa splendente [Kaguya-hime no monogatari, Isao Takahata], Stray Dogs [Jiao you, Tsai Ming-liang], L’ultimo degli ingiusti [Le dernier des injustes, Claude Lanzmann], Under the Skin [Jonathan Glazer]
MANUEL PIRAS
1. Solo Dio perdona – Only God Forgives
Solo Dio perdona è il film più estremo di Nicolas Winding Refn, il quale ha letteralmente spaccato in due critica e pubblico. Il filmmaker esaspera, radicalizza la messa in scena, saturando il piano formale, così da rendere l’Immagine soffocante e stringente, di conseguenza non v’è più spazio per alcun tipo di movimento, cerebrale o fisico che sia, lasciando, appunto, il pubblico bloccato, inglobato nello stesso tessuto filmico, chiuso dentro l’analisi interpretativa; il senso si incista nell’opprimente mise en scène. Il lungometraggio di Refn si presenta anche come un’ammaliante analisi sulla violenza apatica, sgonfiata, spurgata da ogni tipo di partecipazione e passione, totalmente dissanguata, destinata a reiterarsi passivamente, senza interesse. Il regista danese confeziona una pellicola dalle forti tinte surreali e immaginarie che, con il passare dei minuti, si fanno sempre più corporee, fisiche; Solo Dio perdona è una mancata tragedia greca dal sapore onirico e visionario. Un’opera dalla forza straordinaria che si insinua sotto la pelle dello spettatore, cibandosi delle sue insicurezze esistenziali. Per chi scrive, Solo Dio perdona è uno dei film più terapeutici del Cinema tutto.
2. Stray Dogs
L’urlo silenzioso di Tsai Ming-liang al Cinema. Poesia minimale sull’irreparabilità del tempo. Il canto del cigno del regista taiwanese. Il collasso elegiaco della stasi antropologica.
Stray Dogs, come Il cavallo di Torino, risulta essere un testamento cinematografico sulla fine dell’immagine. Entrambi i film portano avanti un discorso definitivo sulla morte del Cinema, della visione e, soprattutto, dell’uomo.
Di una cosa si ha la certezza: Under the Skin è Cinema nuovo, del futuro; tra le opere più importanti del decennio – si potrebbe azzardare e dire “del XXI secolo” -, insieme a Post tenebras lux, in quanto riscrive la grammatica filmica e destruttura il linguaggio cinematografico. Un’esperienza originale e fondante. La pellicola più conturbante del 2013.
4. Die Andere Heimat – Chronik einer Sehnsucht
Die Andere Heimat è un film-fiume, che scorre attraverso immagini e suoni magnifici. È un Cinema, quello di Reitz, che scolpisce (fuori dal tempo) e che illumina. È un’Immagine, questa, che solca e vola, intrisa di bagliori, che ritorna costantemente o, meglio, che non abbandona mai lo spettatore. Perché è Cinema puro, di grazia, in cui la sensibilità viene soffiata, quindi regalata al pubblico con estrema leggerezza. È’ un’opera di una bellezza disarmante ed evidente.
5. Educaçao sentimental
Lo sbarco della Luna sull’Uomo. Educação sentimental è un film che reintegra, ripristina la gloria dell’Immagine, che restituisce ad essa, con passionale rispetto, l’onore smarrito.
Educazione (sentimentale) all’occhio, allo sguardo, al linguaggio. Un bacio lunare al (corto)circuito visivo dello spettatore. Bressane, nella parte finale, nel momento in cui spoglia il lungometraggio dalla sua medesima finzione, taglia [“curta”] ripetutamente la scena, quindi l’orbita (oculare e lunare) che porta (al)la visione stessa. Gli eyes wide shut sono lacerati, e in essi si intravede un chien andalou che ri-passa e abba(gl)ia.
6. Hard to Be a God
Ecco che cos’è l’Inferno: uno spazio fangoso e paludoso, senza bellezza, cultura e Storia, in cui i suoi febbricitanti abitanti sono destinati all’oblio.
Un’opera monumentale innervata da inquadrature straordinariamente composte. Un film saturo e traboccante; lo spettatore non ha più spazio, non può immergersi, ma, stavolta, è obbligato ad emergere. Ecco cos’è Hard to Be a God: Cinema che emerge, che quindi si rinnova, rinasce – un punto di svolta, irripetibile. Appunto per questo, il film di German è definibile un’esperienza emersiva, piuttosto che immersiva.
Cinefila (sov)versione spagnola della Storia.
Història de la Meva Mort è un’opera a sé, che si sviluppa ai bordi della Storia, per poi saltare fuori da essa, superarla, creare quindi una storia nella Storia, dare vita alle “pagine bianche che stanno tra un capitolo e l’altro”. Più che un lavoro originale, è un lavoro sull’originale, quindi Cinema nuovamente originale, doppiamente originante. Ecco che Serra trasmuta l’immaginifico in immagine – la potenzialità dello sterco che diventa l’effettività dell’oro – portando il Cinema ad una (nuova) dimensione immaginante, verso nuovi territori da esplorare.
8. Why Don’t You Play in Hell?
Finalmente si ritorna a fare Cinema, a divertirsi con esso e in esso. Si ritorna bambini per dimostrare la propria maturità stilistica, la propria crescita artistica.
Nella sua spensieratezza, Why Don’t You Play in Hell? è un urlo di tenacia verso un mondo cinematografico che rischia di sparire, di implodere, di involversi. Quella di Sono è evoluzione necessaria, ipercinetica e spasmodica, ma piena di energia funzionale. E come il personaggio che interpreta il regista nel film, Sono salvaguarda il proprio mondo, porta avanti, ineluttabilmente, il proprio sogno, l’atto del vedere, la potenza della finzione, l’illusione magnifica del gesto cinematografico. Fa sì che questo – il suo – universo sopravviva e venga protetto ad ogni costo.
9. A Spell to Ward Off the Darkness
A Spell to Ward Off the Darkness è un film inconsueto, anormale; una svuotante operazione ontologica impressa su pellicola; un’opera imprendibile e misteriosa: rappresenta l’incontro iridescente tra il Cinema magico e quello antropologico. Il lungometraggio di Rivers e Russell tende a stregare lo sguardo, a scomporlo per poi ricomporlo attraverso cangianti e impercettibili incantesimi visuali che, in maniera inspiegabilmente archetipale, comunicano con l’interiorità dello spettatore; una sorta di subliminale magia cinematografica. A Spell to Ward Off the Darkness è un viaggio che rimane sospeso tra la luce e l’oscurità; un Cinema nomade e sciamanico, che funge da ipnosi regressiva in cui il pubblico compie una sorta di viaggio iniziatico e liberatorio.
10. Follia e amore
Una folle assenza di spazio, in cui collassa un’umanità ai margini, quindi, forse, l’ultima e vera umanità rimasta, destinata a danzare, in maniera circolare e ossessiva, sotto l’effetto di pesanti anestetici, tra le fiamme di quell’inferno geometrico. È un’opera che incastra, Feng ai. Sì, che incastra lo sguardo del pubblico e lo costringe a contemplare, a vedere, ad immergersi, a subire. Lo spettatore sente. È partecipe a livello fisico, si identifica, reagisce. Quello di Wang Bing è un Cinema fondamentale e imprescindibile.
… e altri film irrinunciabili
Nymph()maniac Vol. 1 & 2 [Lars Von Trier], Lo sconosciuto del lago [L’inconnu du lac, Alain Guiraudie], The Wolf of Wall Street [Martin Scorsese]
NICOLÒ VIGNA
#1 | Del cinema totale.
Stray Dogs | Hard to Be a God | Història de la meva mort
–
#2 | Corpi di cinema, esplosi.
Under the Skin | Solo Dio perdona
–
#3 | Odissee sessuali.
Nymphomaniac | Les salauds | Lo sconosciuto del lago
–
#4 | Fine (della Storia).
Die Andere Heimat – Chronik einer Sehnsucht | Norte, the End of History
–
#5 | Menzioni speciali: ovvero, ricordare i maestri.
Blue Jasmine | Venere in pelliccia
ALESSIO MIASCHI
1. Stray Dogs, Tsai Ming-liang
Stray Dogs è un’opera che destabilizza, che smuove le corde più profonde dell’anima e immerge lo spettatore nelle viscere della sua tessitura filmica. L’invito si trasforma in necessità: dobbiamo scrutare, dobbiamo inabissarci tra quelle immagini così tormentate e prolungate. Senza ombra di dubbio, una delle pellicole più significative degli ultimi anni.
2. Nymphomaniac (Director’s Cut), Lars von Trier
Distruzione ri-creazione del cinema. Nymphomaniac è un’opera profondamente complessa e affascinante, in grado di far riflettere sulle infinite possibilità del racconto e sulle innumerevoli incarnazioni della materia cinematografica vontrieriana.
3. Only God Forgives, Nicolas Winding Refn
L’esplorazione visiva di Nicolas Winding Refn, con Only God Forgives, raggiunge il suo culmine. L’estetica fredda e congelata dell’inquadratura riporta il cinema alla sua natura primordiale, costringendo così lo spettatore a sperimentare solo ed esclusivamente attraverso lo sguardo.
4. Hard to Be a God, Aleksei Yuryevich German
Lo sguardo di Aleksei German si insinua e si contorce nelle complessità di una mise en scène sovraccarica di dettagli, restituendo tutta la violenza e lo squallore dell’inferno di una civiltà parallela. Hard to be a God è un’opera totalizzante e straordinariamente potente.
5. Feng Ai, Wang Bing
Feng Ai osserva un modo reale, tangibile e, spogliando il cinema dei suoi eccessi, lo riporta definitivamente a contatto con la nuda e cruda realtà. Sentimento e ossessione.
6. Història de la meva mort, Albert Serra
Al calare del XVIII secolo, l’eclissi di Casanova diventa, per Albert Serra, il presupposto per abbandonare il racconto e la storia, una volta per tutte. La morte (il suo avvicinarsi) non è altro che un nuovo inizio, una nuova possibilità: oltre l’azione, in favore della parola e del pensiero.
7. Kaze tachinu, Hayao Miyazaki
Kaze tachinu porta in primo piano l’anima più pura del cinema di Hayao Miyazaki, quella disposta a fare i conti con la realtà del mondo e pronta a mettere in discussione le nostre stesse convinzioni, mostrandoci come anche dietro un aereo da guerra si possa nascondere la meraviglia.
8. L’inconnu du lac, Alain Guiraudie
Unendo abilmente il thriller e «lo studio […] sociologico su amore, attrazione e le loro spesso sfuggenti dinamiche» (come scrive Roberto Rippa su Rapporto Confidenziale), L’inconnu du lac si distingue per la sua dimensione sospesa tra naturalismo e artificio, corpo e dimensione psicologica. Una delle migliori pellicole (se non la più riuscita) della 66ª edizione del Festival di Cannes.
9. Why Don’t You Play In Hell?, Sion Sono
Why Don’t You Play in Hell? è un’opera folle e stravagante, un turbine metacinematografico che, attraverso la potenza delle sue immagini, pone l’accento sull’importanza della finzione nell’arte visiva.
10. La Vénus à la fourrure, Roman Polanski
Lo spazio chiuso di un teatro parigino diventa lo sfondo dell’ultimo adattamento di Roman Polanski. Tra scambi di ruoli e giochi di seduzione/sottomissione, il maestro del cinema francese realizza l’opera più riuscita dei suoi ultimi anni di carriera (grazie anche alle notevoli interpretazioni di Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric).